Sabato della scorsa settimana,
quando con la Fg eravamo in giro per Roma, non abbiamo mancato di andare a
prenderci il caffè al Sant’Eustachio, storica caffetteria che fa quello che,
per entrambe, è il miglior caffè di Roma e forse del mondo.
Ce lo siamo sorbito lentamente
per assaporarne tutte le qualità e poi, ancora con quel divino sapore sul
palato, siamo andate a sederci a piazza Navona sotto un cielo blu infinito e
davanti alla bellezza che Bernini ha regalato a noi romani.
Come, tanti anni fa, la Fg e suo
padre, ispirati da un formaggio che stavano mangiando per cena, crearono l’
“indice di caciosità”, disquisendo per lungo tempo dei requisiti del formaggio
perfetto, che identificarono nell’armonia tra sapore e consistenza, arrivando a
definire la Caciotta Senese quale regina indiscussa del mondo dei formaggi,
così io e la Fg abbiamo filosofato dell’ “indice di caffeinosità”, così l’ha
definito la Fg. Non c’è stata discussione: i parametri da prendere in esame non
potevano che essere l’aroma,la corposità e la persistenza; ovviamente il re dei
caffè è risultato essere, per noi, quello del Sant’Eustachio.
Però, mentre per la caciosità, la
vittoria fu data ad un formaggio che, usando la scala identificativa
dell’apofonia (Grado Zero, Medio e Forte. E da una che ha fatto il classico
come me, che volevate aspettarvi?!), si attestava sul Grado Medio, per il caffè
la vittoria l’abbiamo assegnata ad una bevanda che, inesorabilmente, si attesta
sul Grado Forte. Questo ha stimolato una mia riflessione, un po’, come dire,
fondamentalista.
Ho detto alla figlia: ”Oddio,
magari non tutti sarebbero d’accordo, c’è pure gente che gradisce il caffè
leggero.” E ho aggiunto: “Anche se, per me, dovrebbero essere bruciati sul
rogo, anzi, meglio,andrebbero torrefatti!”
La prima reazione della Fg è
stata di meraviglia e mi ha detto che sono perfida, poi, ripensando alle
schifezze che producono in Francia e osano chiamare caffè, ci ha ripensato, mi
ha detto che in fondo avevo ragione e, considerando la mia scelta lessicale, ha
cominciato a ridere come solo lei sa fare, una risata contagiosa che mi fa
sentire sulla sua lunghezza d’onda e che mi riconcilia con l’universo creato.
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