Il naso di Cyrano: dicembre 2011

sabato 31 dicembre 2011

Natale con Cat

Vacanze natalizie ricche di attività piacevoli, come è logico visto che Cat è a Roma.

Abbiamo fatto lunghe passeggiate in centro, evitando le strade più affollate, percorrendo vie e viuzze che noi conosciamo e la maggior parte degli altri no. Stradine e piazzette sulle quali affacciano antichi palazzi, facciate deliziose di chiese poco note, eleganti negozi e botteghe artigiane rare ed affascinanti.

Siamo andate a teatro a vedere una esilarante commedia di Francesca Nunzi, si intitola Natale a Capracotta e abbiamo riso dall’inizio alla fine. E’ la storia di tre sorelle, alquanto demenziali, che si ritrovano la sera di Natale, tre tipe diversissime e molto umane, ciascuna con la sua storia e le sue manie che entrano in rotta di collisione ma sanno anche ritrovarsi. Uno spettacolo divertente ma che fa anche riflettere.

Ieri abbiamo visitato la mostra “Homo sapiens”, sull’evoluzione della specie Homo, un percorso interessante effettuato, purtroppo, tra adulti ignoranti e ragazzini annoiati e maleducati ma ormai ci siamo abituate. Abbiamo pranzato all’Open Colonna, il ristorante sul tetto del Palazzo delle Esposizioni, tra l’altro ho assaggiato una fantastica crema di lenticchie, da alta cucina.

Nel pomeriggio siamo andate a vedere il film di Sherlock Holmes, gradevole anche se c’era, a mio giudizio, un po’ troppa azione e poca riflessione, Il grande detective, nei romanzi di Conan Doyle, usava più il cervello che i cazzotti.

Deludente, invece, è stato Il gatto con gli stivali, visto l’altro ieri: una storia senza capo né coda, con un Humpty Dumpty, tradizionale personaggio inglese, emigrato, chissà perché, in Messico, nessuna battuta divertente dialoghi da decerebrati. Ai miei tempi i cartoni animati erano ben altra cosa, anche le figlie lo hanno irrimediabilmente stroncato, se io sono cresciuta con La bella addormentata e Cenerentola, loro sono state accompagnate nella loro crescita dalla Sirenetta e dalle Follie dell’imperatore, opere di ben altro livello sotto tutti i punti di vista!

Stasera Cat resta da mamma, io e la FG festeggeremo il nuovo anno a casa mia, viene anche una simpatica amica della FG, ho passato tutta la mattina a preparare tartine, ne ho fatte di tanti tipi diversi, con alcuni accostamenti arditi ma gustosi, ho cotto anche le lenticchie con le salsicce, uno dei pochi piatti che so cucinare bene.

Speriamo che il nuovo anno non ci faccia troppo soffrire, dovremo fare un po’ più di sacrifici ma io finché ho libri da leggere e spettacoli teatrali da vedere non mi spavento, quando proprio non ne posso più, mi infilo in una bella storia, stacco la spina per un po’ e poi riparto, lancia in resta e spada in mano, come don Quijote e il mio amato Cyrano.

sabato 24 dicembre 2011

Il ”Sugo di mamma”

Ieri, primo giorno delle tanto sospirate vacanze natalizie, ho passato tutta la mattinata a cucinare. Io non amo cucinare, è un’attività che mi snerva, temo sempre di sciupare gli ingredienti, di non riuscire a realizzare delle pietanze mangiabili. In effetti, cucino raramente, a casa mia è la FG che si occupa dell’ingrata incombenza; non so perché ma a lei piace, riesce a ridurre la cucina come Austerlitz dopo la battaglia famosa anche se cuoce due patate lesse ma, di solito, poi pulisce e riordina e a me va bene così.

Ieri però ho dovuto cucinare il famoso “Sugo di mamma”, mitico condimento, a sentire le mie figlie, che io farei da grande chef.

La cosa mi lusinga ma devo confessare che il sugo in questione non è che un banalissimo ragù a base di carne di vitella e maiale, con aggiunta di passata di pomodoro. Niente di che, insomma.

Le mie figlie il vero “Sugo di mamma” lo hanno assaggiato da piccole ma loro lo dovrebbero chiamare “Sugo di nonna”. Quello sì che era una poesia!

Quando ero piccola il suo aroma mi svegliava la domenica mattina ed era proprio un bello svegliarsi. La mia mamma si alzava presto e preparava il ragù, meraviglioso come quello di Donna Rosa nella commedia di Eduardo.

Anche la mia mamma usava gli stessi ingredienti che uso io (lei ci metteva pure la cipolla ma non si sentiva) però il suo sugo era incomparabilmente più buono del mio, non so perché, forse perché mamma amava cucinare e ci metteva il cuore nel farlo, forse perché gli ingredienti erano genuini allora, forse perché a noi figli sembrava più buono di tutti gli altri. Non so, sicuramente il “Sugo di mamma” mia era più buono del mio.

Adesso la mia mamma quel sugo non lo fa più, è anziana, si stanca facilmente, non può più dedicarsi a realizzare pietanze troppo elaborate ma io il suo ragù me lo ricorderò sempre.

Credo che anche le mie figlie il “Sugo di mamma” loro se lo ricorderanno per sempre; forse perché, alla fine, buonissimo o soltanto decente, il “Sugo di mamma” è un po’ il condimento di quel periodo bello della nostra vita che è l’infanzia il condimento dei ricordi felici, dei compleanni e dei Natali vissuti nell’abbraccio della famiglia.

mercoledì 21 dicembre 2011

I giacobini

Oggi sono stata a teatro a vedere “Vita, morte e miracoli del 1799” di e con Alfonso Sessa; un affascinante monologo, la storia di un sogno bellissimo, un sogno di giustizia e di libertà, il sogno dei giacobini napoletani della fine del Settecento.

Fu, è vero, il sogno di pochi, di un gruppo di intellettuali che non seppero o non poterono comprendere che le masse non li avrebbero di certo seguiti, il sogno di un gruppo di utopisti, di illusi ma, alla fine, i sogni più belli (e i meno realizzabili) li sognano sempre in pochi.

La rivoluzione del 1799 fallì, non poteva essere altrimenti, il re tornò e la repressione fu spietata.

Certo, poi, sessant’anni dopo arrivò Garibaldi, anche lui aveva un sogno, di giustizia e di libertà e per quel sogno partì, con pochi altri, si batté da leone e, contro ogni probabilità, vinse. Poi si svegliò. Quando, dopo aver sconfitto definitivamente “ ’o RE” Borbone, si trovò davanti “il RE” Savoia e comprese che nulla sarebbe cambiato, che ingiustizia, privilegio e tirannide avrebbero continuato ad imperversare in Italia. Allora si ritirò nella sua isola, altro non poteva fare ma, forse, continuò a sognare.

Ma quella è un’altra storia o forse no, forse è sempre la solita storia. Forse lo spettacolo di oggi ha messo bene in evidenza che i sogni appartengono a pochi, che le masse “vogliono” ‘o Re, perché non possono comprendere la grandezza della libertà o perché, in fin dei conti, è più facile essere Lazzari che cittadini, è più facile ubbidire che essere responsabili.

C’era nel monologo, almeno mi è sembrato, anche un’ansia di insegnare, di educare, c’era un messaggio forte contro l’ignoranza ma anche contro un apprendimento acritico, Tore e Lucio, i due fratelli protagonisti, l’uno Lazzaro ed ignorante, l’altro giacobino e indottrinato, rappresentano le due facce di una stessa medaglia, non sono liberi e non possono esserlo perché entrambi non riescono a capire.

Alfonso Sessa ha saputo coinvolgere me e quanti sono stati in grado di comprendere, ha suscitato emozioni profonde e anche dolorose: l’amore per la libertà e la giustizia, il desiderio di agire per conquistarle, la dolorosa delusione, la consapevolezza dell’impotenza di fronte all’ignoranza dei più, dei vecchi e dei giovani che si accontentano, oggi come ieri, di essere sudditi d’ ‘o Re.

domenica 18 dicembre 2011

Rinascimento e Risorgimento

Ieri sera, con la FG e la FI, siamo andate al Quirino a vedere La bisbetica domata. Come sempre, quando andiamo al Quirino, abbiamo prima cenato nel simpatico Bistrot del teatro e la cena è stata decisamente migliore dello spettacolo, che valeva proprio poco, dei caratteri inventati da Shakespeare non è rimasto nulla, gli attori, più che recitare, urlavano, costumi e scena erano del tutto inappropriati. La cena, invece, è stata gradevole.

Decisamente migliore è stato, dal punto di vista culturale lo scorso fine settimana, all’insegna del bello e della storia.

Giovedì, con l’inseparabile FG, sono andata a vedere la mostra su Filippino Lippi e Sandro Botticelli. Me ne sono andata a spasso per le sale circondata da una bellezza inenarrabile, mi sono riempita gli occhi di meraviglia ed il cuore di gioia; uno può fare tutte le analisi critiche o storiche che voglia, alla fine quello che ti rimane dentro è la felicità della bellezza. Tra i tanti dipinti c’era anche la formidabile Adorazione dei Magi di Botticelli, uno dei miei preferiti in assoluto, sono restata in adorazione anch’io, come i Magi ma io ero in adorazione del dipinto!

La sera siamo andate a palazzo Braschi per una visita guidata con spettacolo teatrale incluso. Un’esperienza insolita ed affascinante tra papi, aristocratici, carbonari, pasquinate e sonetti del Belli.

Venerdì sera al teatro Argentina abbiamo visto “Quello che prende gli schiaffi”, un dramma di Andreev con Roberto Sturno e Glauco Mauri. Sturno è stato bravissimo, ha reso il suo personaggio con tragica ironia e mi ha commosso, Glauco Mauri ha costruito il suo con perizia estrema, ironico ed affettuoso, distaccato e tenero, con la sua voce unica, pazzesca trascinava lo spettatore nella storia dolorosa e sconsolata, persino gli studenti, che di solito a teatro rompono e non seguono, ieri sera stavano zitti, come sospesi nella irrealtà troppo reale del palcoscenico. Insomma, uno spettacolo da brividi!

A Roma hanno acceso le luci natalizie, via del Corso è coperta da un lunghissimo velario di luci tricolori, parecchio kitch ma a loro modo affascinanti, forse un richiamo all’Unità in un momento difficile per l’Italia. Peccato che gli Italiani, o almeno gran parte di loro, funzionino proprio male! E pensare che Botticelli, Lippi, Verdi, Donizetti e tanti altri grandi erano italiani, loro sì che funzionavano bene!

domenica 11 dicembre 2011

VERGOGNA!

In questo mio Blog io non parlo mai di politica o quasi mai. Non è un caso ma una precisa scelta: per me la politica è ben altra cosa rispetto a quello che l’ informazione ci dice riguardo all’operato di coloro che abbiamo eletto.

Oggi, però, faccio un’eccezione, oggi voglio esprimere tutto il mio disgusto.

In questi giorni il Governo dovrà varare una manovra tremenda, saremo chiamati a sacrifici economici che la maggior parte degli italiani sosterrà con grande difficoltà.

Quelli che siedono in Parlamento e i sindacalisti rivolgono pesanti critiche ai vari provvedimenti ma io ho l’impressione che, come dice Camilleri, facciano “Tiatru”, facciano la commedia, la sensazione è che a nessuno importi niente se la gente dovrà pagare.

Chi critica l’ ICI, chi la Patrimoniale, chi la riforma delle pensioni, su una cosa però quelli della casta sono tutti d’accordo: “Il mio stipendio non si tocca!”

Questo è il grido di dolore che si leva dai seggi parlamentari. “Gli Italiani paghino, noi no.”

Al telegiornale ieri hanno detto che i parlamentari italiani (senza contare altre prebende) ricevono 11.000 euro al mese (dico al mese!) di stipendio mentre la media europea sarebbe di soli (?) cinquemila euro.

Non so se la notizia sia vera, con i mezzi di informazione non si può mai sapere, se è vera e se si equiparassero le retribuzioni dei politici italiani a quelle europee, si avrebbe un risparmio di seimila euro al mese per seicentotrenta deputati e trecentoquindici senatori, che in un anno farebbe € 68.040.000.

Io il conto l’ho dovuto fare con la calcolatrice perché le cifre erano troppo alte per calcolarle a mente.

La cifra è grande ma, sono sicura che qualche acuto pensatore obietterà che, rispetto al debito pubblico, è una goccia nel mare. D’accordo ma il mare è fatto di gocce! E poi, possibile che le gocce di questo mare ce le dobbiamo mettere solo noi, gente comune?

Io, se potessi parlare con il Capo del Governo, gli direi:” Gentile Professore, non riduca di seimila euro gli stipendi dei parlamentari, faccia di più: li faccia vivere con lo stipendio pari a quello di un insegnante o con una cifra equivalente ad una pensione sociale, elimini tutti gli sconti e le gratuità, il debito pubblico si ridurrebbe, eccome!”

Certo, se questo non fosse un sogno impossibile, resteremmo senza parlamentari, infatti, credo, nessuno si candiderebbe più se non ci fosse più da guadagnare (e tanto) dalla politica.

domenica 4 dicembre 2011

Ancora sui libri

In questa settimana di influenza, quando gli analgesici facevano effetto ed il mal di testa diminuiva, ho letto tre libri, uno più interessante dell’ altro.
Rincantucciata sotto le coperte, piena di dolori, con il mio fido ebook reader mi sono tuffata nell’ultima storia di Alessandro Baricco: Mr Gwin. Mr Gwin è uno scrittore che non vuole più scrivere romanzi (forse), lui vuole “scrivere ritratti” della gente; non è una faccenda facile spiegare cosa vuol dire e poi non ve lo voglio spiegare, vi toglierei il gusto di leggere il libro che poi è una riflessione sofferta e dolcissima sul mestiere dello scrittore, sul valore della parola, sull’importanza delle “storie”.
A me è piaciuto da matti, forse è la cosa migliore di Baricco, a parte Novecento, ovviamente.
Poi ho letto L’educazione delle fanciulle, scritto a due mani da Franca Valeri e Luciana Littizzetto, pensieri e riflessioni sulla formazione sentimentale ed umana delle ragazze, quelle di ieri, quelle dell’altro ieri e quelle di oggi. Che nostalgia! D’accordo, noi ragazze dell’altro ieri venivamo tenute all’oscuro di molte cose, le nostre madri erano reticentissime, dovevamo arrangiarci con le letture, i film, le amiche più sveglie ma…
Noi avevamo il sogno, l’amore ci sembrava una conquista difficile, una sfida affascinante, un traguardo ed un punto di partenza che ti cambiava la vita. Per molte la realtà è stata deludente, per me no, io l’Amore immenso, infinito, quello che mi ha cambiato la vita ce l’ho avuto davvero.
Oggi è diverso, forse non si sogna più, i modelli proposti alle ragazze sono ben diversi, non più eroine romantiche (e un po’ sceme) ma tipe furbe che usano il sesso come scorciatoia per prendersi ciò che vogliono…e poi il vuoto. Certo non per tutte le fanciulle di oggi è così ma l’impressione che si ricava osservandole e leggendo il libro è quella.
La cosa che mi è piaciuta di più del libro è il contrasto tra la passionalità, a tratti rabbiosa, della Littizzetto e la pacata ironia della Valeri, così riposante e rassicurante.
L’ultimo dei tre libri che mi hanno tenuto compagnia nei giorni dell’influenza è “La manomissione delle parole” di Carofiglio, un’amara riflessione su come le parole vengano sistematicamente usate dal potere (in ogni epoca) per falsare la realtà, per ottenere consenso irragionato ed irragionevole. L’autore sostiene che i demagoghi sanno benissimo che le idee sono i loro peggiori nemici, bisogna uccidere le idee se si vuole uccidere la democrazia e sanno alla perfezione che la parola è il loro migliore alleato. Naturalmente se la parola viene sottoposta chirurgicamente ad una sistematica operazione di equivoco, di ambiguità di svuotamento. Allora, quando la parola non ha più senso o addirittura non esiste più, gli uomini non possono più pensare, quindi non possono più scegliere, semplicemente non “possono” più; “devono” subire il potere di turno, passivamente, come animali caricati di una soma, pesante o leggera non importa.
E’ avvenuto ed avviene ovunque il potere non “serve” il cittadino ma diviene monarca di sudditi, poi, se e quando quelli che le parole ce le hanno e le idee pure riescono a trasmetterle, succedono le rivoluzioni che, però, non sempre finiscono bene. Basta pensare a quella francese, gli Illuministi credevano alla libertà ma la loro rivoluzione ha prodotto uno come Napoleone.
Il libro di Carofiglio è angosciante perché descrive una realtà attualissima con la quale mi scontro tutti i giorni, io le parole (e le idee) cerco di insegnarle, è il mio mestiere ma mi rendo conto, ogni giorno di più, che non mi è più possibile. Da giovane vidi un dramma tremendo e bellissimo di Giuseppe Patroni Griffi, si intitolava “Prima del silenzio”, un dialogo doloroso tra un vecchio intellettuale ed un giovane, il vecchio cerca di spiegare al giovane l’importanza della parola ma non ci riesce. Ecco, io mi sento peggio del vecchio: a me pare che ormai non resti altro che il silenzio.