Il naso di Cyrano: 2008

martedì 30 dicembre 2008

A spasso per Roma


Io adoro camminare per le strade di Roma, guardo i palazzi e il cielo, le terrazze piene di piante e il grigio dei sanpietrini che a Roma sono i cubetti di selce che formano il pavé.
In questi giorni di beata vacanza ho girato parecchio per le vie di questa città che ha centomila difetti e centounmila bellezze.
Me ne sono andata a spasso da sola e con Cat che condivide con me l’amore per Roma, solo che lei, oltre ai monumenti, guarda le vetrine, entra nei negozi, prova dieci capi di vestiario e ne compra uno. Uno per ogni negozio, intendo, poi si meraviglia che nostra madre, quando la vede tornare carica di pacchetti, la rimproveri. Ma fa tutto parte del gioco.
Ieri, tra le altre cose, siamo andate a piazza Navona. Io e Cat nutriamo una sanissima passione per questo luogo magico e meraviglioso che Bernini e Borromini hanno plasmato nel Paese delle Meraviglie. I francesi (ma anche gli inglesi, i tedeschi, i giapponesi e tutti i popoli del mondo) se lo sognano un posto così!!
Quando andiamo a piazza Navona io mi beo guardando la fontana dei Fiumi e i palazzi, Cat pure, preferibilmente gustando un magico tartufo in un mitico caffè della piazza.
A Natale la piazza si veste di bancarelle coloratissime e irresistibili per due spendaccione. Infatti ieri abbiamo fatto acquisti, piccole cose da regalare a coloro che ci sono cari.
Poi siamo andate a cena dalla mia amica M. dove, insieme alla FG, abbiamo chiacchierato e ci siamo divertite a guardare le foto della bellissima nipotina di M.
Oggi sono tornata a piazza Navona con la FG che ieri avevo lasciata a studiare, sepolta da Shakespeare, intendo in senso letterale: studiava distesa sul letto dove stazionavano una trentina di testi sul vate inglese e sul teatro elisabettiano!!
Stamattina sono riuscita a estirparla dai sacri testi e ce ne siamo andate in giro. Per prima cosa abbiamo fatto il giro dei teatri a razziare biglietti per i prossimi spettacoli, poi, dopo un caffè in una mitica torrefazione storica, siamo andate in piazza, tra le bancarelle e abbiamo comperato cose carine da inviare ad alcuni amici francesi. Ad un certo punto la FG si è immobilizzata davanti alla bancarella con la pesca dei cigni.
A Tarquinia, quando era piccola, la pesca dei cigni era uno dei passatempi preferiti delle sue serate estive.
Guardava in silenzio e nei suoi occhi c’era la nostalgia di tutta una vita. Le ho chiesto se voleva giocare, ha annuito in silenzio, sopraffatta dai ricordi, credo. Le ho regalato cinque euro e, per cinque minuti, è tornata la bamboccia felice che inchiodava me e il padre, nelle sere d’estate della sua infanzia, davanti alla baracca del luna park. Ha vinto un lupetto di peluche ed era felicissima.
Poi abbiamo pranzato al fast food (orrore!?) e quindi siamo andate a vedere la mostra di Giovanni Bellini e ci siamo gustate le più belle Madonnine dipinte da mano umana. Una mostra davvero bellissima. Alla fine siamo tornate a casa, stanchissime ma decisamente felici.

sabato 27 dicembre 2008

Vacanze pericolose


L’anno scorso le mie vacanze natalizie sono state alquanto spericolate, in quel di Parigi tra salsicce mutanti, aerei e folla impazzita.
Quest’anno, a Roma, la situazione è più tranquilla: passeggiate con mia sorella, teatro, mostre, pomeriggi in famiglia e Disney a go go, nel senso che io e la FG ci stiamo riguardando un mucchio di cassette e DVD.
Tuttavia anche queste vacanze presentano dei rischi. Anzitutto il colesterolo. Temo che il sette gennaio io e la FG dovremo metterci a dieta, anzi proprio a digiuno, stile Gandhi, perché tra sughi di carne e di pesce, olive di tutti i colori, panettoni, vino e dolci, dolci e ancora dolci colesterolo, glicemia e quant’altro sono alle stelle. Ma che ci posso fare? Io adoro i dolci natalizi, torroni, mandorle, nocciole, cioccolato… non posso resistere alla tentazione! Tra l’ altro, con mia sorella abbiamo scoperto un negozio fantastico che vende cioccolata di tutti i tipi, ne ho assaggiata una bianca, aromatizzata alla rosa che è una cosa da Paradiso! Devo tornarci in quel negozio, ci sono troppe cosucce da sperimentare.
L’altro pericolo è rappresentato dal computer. Io me la cavo con questo fantastico strumento di conoscenza e comunicazione, adoro navigare per trovare risposta alle mille domande che mi nascono nella testa, mi basta un clic (talvolta più di uno e voila la risposta) però mi capita, come adesso, che, mentre sto scrivendo o inviando una mail o preparando un test per i miei alunni, qualcuno si connetta su Messenger o Facebook e allora io rispondo ma poi mi trovo a fare due o tre cose in contemporanea e non sono molto brava, mi impiccio e poi mi innervosisco perché, invece, le mie figlie e i ragazzini lo sanno fare benissimo! E allora, mi dico, ma che io sono scema? E ci provo ma faccio ancora più confusione, mi infurio e per farmi passare i nervi…mi mangio un torroncino o un dolcetto!
L’ultimo problema sono i sogni. In questo periodo dormo benissimo perché mi addormento senza il fastidioso pensiero che la mattina dopo devo andare a scuola (mica solo gli alunni, anche i prof!!) ma faccio diversi sogni strani. L’ altra notte ho sognato che sapevo volare, dovevo solo muovere le braccia e mi alzavo in volo e, se ero felice, volavo ancora più in alto. Mi piaceva tantissimo e ho volato tutta la notte, svolazzavo sul mio quartiere e vedevo la gente piccola come formichine. Un sogno bellissimo però, la mattina dopo, mi facevano male braccia e spalle. Vuoi vedere che non era un sogno e ho volato davvero? Mah!

mercoledì 24 dicembre 2008

La poesia di Natale


Quando le figlie erano piccole e la sera di Natale i parenti venivano a casa mia per il cenone, era uso comune che le due sventurate dovessero recitare davanti a tutti le maledettissime poesie natalizie.
Io le odiavo quelle poesie, un po’ perché generalmente le maestre, chissà perché, scelgono sempre le più sceme e le più difficili, un po’ perché alla fin fine ero io che dovevo fargliele imparare!
Il che significava ripetere le diaboliche tiritere in continuazione nei giorni precedenti le vacanze. Ripetevamo le orrende filastrocche la mattina mentre le figlie si vestivano, per strada, andando a scuola, per strada tornando da scuola, mentre preparavo il pranzo, dopo aver fatto i compiti, mentre preparavo la cena, durante la vestizione dei pigiami e prima di spegnere la luce!!!
Poi arrivava la fatidica sera. Davanti alla tavola imbandita, il pubblico di parenti reclamava la poesia.
La FI si alzava, rendendosi conto dell’importanza del momento e, dimentica delle parolacce che per quindici giorni aveva rivolto con assoluta imparzialità alla poesia e alla maestra, recitava, proprio bene, bisogna riconoscerlo, gli immortali versi di qualche poetastro ormai caduto nel dimenticatoio. Ovviamente alla fine riceveva applausi e complimenti dal pubblico soddisfatto.
Poi toccava alla FG. La FG da piccola Odiava recitare. Era la disperazione delle maestre, nei saggi di fine anno, quando saliva sul palco con un muso lungo un chilometro e a stento biascicava Una battuta, una sola che per lei era pure troppo.
La sera di Natale non faceva storie però. La FG è un tipo sensibile e mi vuole molto bene. Probabilmente il suo amore per me la rendeva pietosa nei confronti di una povera madre che aveva passato quindici giorni in compagnia continua di versi idioti e un’ intera giornata a tentare di mettere insieme una cena decente, impresa titanica per una che era soprannominata Lucrezia Borgia.
La FG si alzava dalla sua sedia, rigorosamente fornita di cuscino poiché le sue dimensioni bonsai non le permettevano di arrivare al piatto senza un supporto aggiuntivo, si avvicinava alla nonna e le recitava la poesia all’ orecchio, rigorosamente sottovoce! Quindi ripeteva l’operazione con tutti i commensali suscitando l’ilarità generale. Terminata la noiosa incombenza tornava al suo posto, dava la scalata alla sedia, aiutata dal padre orgoglioso e si dedicava, soddisfatta e beata alla sua attività preferita: mangiare in religioso silenzio e con assoluto piacere.

sabato 20 dicembre 2008

Una grande attrice


Ieri sono cominciate le vacanze di Natale. Alle 14 meno dieci i miei alunni friggevano, cercavano anche di stare attenti a quello che dicevo ma non vedevano l’ora che la campanella suonasse. Anch’io. Facevo la seria e mi sforzavo di fare al meglio il mio lavoro ma non ce la facevo più. Finalmente la dannata campanella ha squillato, accolta con un grido liberatorio da tutti gli alunni della scuola, tutti tranne i miei che sono troppo gentlemen stile inglese per urlare. Io, invece, avrei voluto urlare a squarciagola la mia gioia per la libertà ma, naturalmente, mi sono adeguata all’ English style dei miei alunni e siamo usciti compostamente da scuola scambiandoci gli auguri.
In serata sono andata con la FG a teatro a vedere Giorni felici di Samuel Beckett, autore di drammi tremendamente tristi e anche molto noiosi.
“E allora perché ci sei andata?” potreste chiedermi. Perché il dramma era interpretato da Anna Marchesini. Sì, proprio lei, quella del Trio. Mi incuriosiva cederla in un monologo tragico e difficilissimo da recitare.
La Marchesini mi è sempre piaciuta nei ruoli comici, i suoi personaggi sono indimenticabili, basti pensare alla cameriera scema, o al celebre tormentone:”Siccome che so’ cecata…”, non riuscivo,però, ad immaginarmela in un ruolo drammatico del calibro di Winnie, la protagonista di Giorni felici.
Dovete sapere che Winnie recita per quasi due ore semisepolta in una buca, in un deserto di sabbia, prima si vedono il suo busto, le braccia e la testa, poi solo la testa. Winnie parla sempre, il suo unico interlocutore è Will, il marito che è sepolto dietro di lei e che raramente le risponde mugugnando per lo più.
E’ il teatro dell’assurdo, del quale Beckett fu creatore e maestro, è la metafora dell’inutilità della vita, dell’impossibilità di comunicare, dell’illusione di essere.
Io la Marchesini proprio non ce la vedevo in un ruolo così. Invece…Invece lei è stata eccezionale, ci ha catturati e trascinati nel suo buco, nella testa di Winnie, nella spirale perversa di un’illusione troppo amara per essere descritta. Il teatro era pieno ma non si sentiva un fiato, a parte qualche sciocco che ogni tanto ridacchiava a quelle che potevano sembrare battute comiche ed invece descrivevano tragicamente la condizione di solitudine, di isolamento, di incomunicabilità dell’uomo moderno.
C’era tutta la filosofia di Beckett ma anche quella di Leopardi, di Pirandello, di Svevo e Joyce, c’era la solitudine amara e disperata di chi parla e sa che nessuno lo ascolta, di chi parla e sa che non ha più nulla da dire perché nessuno vuole ascoltare.
Insomma una prova affrontata con la professionalità e il talento di una grande attrice. Una bellissima sorpresa, io ascoltavo Winnie e la capivo, mi sentivo vicina a lei, condividevo appieno il suo dramma. Anna Marchesini ci ha regalato un’ interpretazione magistrale da non perdere assolutamente. E’ stato un bel modo di cominciare le mie vacanze.

mercoledì 17 dicembre 2008

Amore e letteratura


Ci si può innamorare del protagonista di un romanzo?
Voi mi chiederete:”Ma che razza di domanda è?”
Il fatto è che a me succede spesso. Non sto parlando di apprezzare il personaggio, come creazione d’arte, come invenzione di un autore, no, io sto parlando proprio di innamoramento. In altri termini, se quel personaggio esistesse davvero, così com’è nella finzione letteraria, voi ve ne innamorereste? La comincereste una storia con lui o con lei?
Io, nella mia lunghissima e affollatissima carriera di lettrice mi sono innamorata tante volte di personaggi appartenenti a epoche e storie diversissime tra loro.
Il primo fu Edmond Dantes, il mitico conte di Montecristo. Anzi no, il primo fu un personaggio del romanzo della Alcott “Gli otto cugini”, Marc, ero una ragazzina, fu il mio primo amore letterario.
Poi, a seguire, tanti altri: Cyrano (e ancora dura), William Dobbin, nella Fiera delle vanità, Il principe Andrej e Pierre Bezukov in Guerra e pace e tanti altri.
Attualmente sono stata sedotta dai due protagonisti di una serie di romanzi gialli francesi, ambientati a Parigi alla fine dell’ Ottocento: Victor Legris e Kengij Mori.
Sono due librai, uno è francese e l’altro giapponese, hanno una libreria in rue Saint Peres, quando sono andata a Parigi, sono andata a visitare la strada e gli altri luoghi dove si svolgono le vicende.
Sono due uomini molto affascinanti e raffinati, sensibili e intelligenti.
Quando mi tuffo nelle loro avventure dimentico tutte le noie e le meschinità che mi circondano e mi lascio portare dalla fantasia.
Le due sorelle,autrici del ciclo, hanno scritto, al momento, sette romanzi che vedono protagonisti Victor e Kengij ma in Italiano ne sono stati tradotti solo tre.
Però a me le prime tre storie sono piaciute troppo, non potevo aspettare la traduzione degli altri, così gli ultimi quattro romanzi li ho comprati lo stesso, li sto leggendo in francese, faccio un po’ di fatica ma ne vale la pena, necessariamente, devo leggere più lentamente per comprendere bene ma questo è un vantaggio, il libro dura più a lungo e me lo gusto meglio e poi loro due, Victor e Kengij, sono troppo forti!!!

sabato 13 dicembre 2008

Giulio Cesare


Ieri sera, a teatro, mi sono rivista il Giulio Cesare di Shakespeare e mi sono chiesta ancora una volta perché l’immortale genio abbia intitolato così questa tragedia, io ho sempre pensato che sarebbe stato meglio intitolarla Bruto.
In effetti, Cesare muore quasi subito, pugnalato dai congiurati, la fine più logica di un tiranno ambizioso.
Il personaggio che riempie la scena non è Cesare è Bruto, l’idealista, l’uomo che crede nella libertà, nel rigore morale, nell’integrità stoica di un’ etica politica peraltro irrealizzabile.
Infatti, dopo che lui ha ammazzato il tiranno, vede i suoi ideali traditi dai suoi stessi compagni, vede la vittoria dell’ opportunista Marcantonio e, soprattutto, vede l’ascesa di un tiranno peggiore di Cesare: Quell’ Ottaviano che affosserà definitivamente la Repubblica romana.
Ieri sera lo spettacolo è stato buono, a parte le discutibili scelte dei costumi: tute mimetiche e divise militari, forse a voler dire che la lotta tra l’integrità morale e la corruzione della politica sono ancor oggi attuali (ma lo sapevamo!).
Bruto ha recitato alla grande, chiuso in un sogno che spera di trasformare in una realtà che sa impossibile.
Al momento del celebre discorso mi sono commossa, io sto dalla parte di Bruto, sempre; avrei quasi voluto consolarlo, dirgli che i sogni sono la consolazione degli idealisti, purché si abbia la consapevolezza che è assolutamente inutile tentare di trasformarli in realtà, se ci si prova si rischia inevitabilmente la delusione. E infatti Bruto alla fine, quando tutto è perduto si uccide, non perché così evita di cadere nelle mani di Antonio e Ottaviano, no. Bruto si suicida perché non vuole vivere in una società che accetta i compromessi, la corruzione, l’avidità, la tirannia.
Bruto si suicida perché in un mondo di omiciattoli ambiziosi lui è un eroe.
Ogni volta che assisto ad una rappresentazione del Giulio Cesare ringrazio silenziosamente Shakespeare per aver scritto questa storia, tanto bella, tanto commovente,tanto vera.

mercoledì 10 dicembre 2008

Gli evanescenti Etruschi


Alla faccia dell’evanescenza!!
A scuola ci hanno insegnato che gli Etruschi pensavano solo alla morte e alle tombe ma quante scemenze si insegnano a scuola!
Io gli etruschi li conosco bene: ho girato il Lazio e la Toscana in lungo e in largo alla ricerca delle città etrusche, ho visitato tanti musei e mostre, da ultimo quella che in questo periodo si tiene a Roma, al Palazzo delle Esposizioni.
Beh, vi posso garantire che gli Etruschi non erano affatto gente triste, anzi!
Si divertivano parecchio gli Etruschi, amavano i megabanchetti, amavano la musica e i giochi, magari un po’ feroci come il phersu ma giocavano e ballavano anche.
Erano gente pulitissima in un’ epoca nella quale l’acqua e il sapone non erano tanto amati, per tenere pulite le loro città inventarono il sistema fognario che, con qualche variazione, funziona ancora oggi.
Amavano i colori vivaci per le loro vesti, le loro case e i loro templi, persino le tombe e i sarcofaghi erano coloratissimi.
Erano raffinati, si circondavano di cose bellissime come i vasi di bucchero, loro personalissima creazione, e quelli attici e corinzi che importavano dalla Grecia.
Amavano i gioielli, soprattutto quelli d’oro. Ce ne sono rimasti pochi perché i tombaroli hanno fatto un accuratissimo lavoro di spoliazione ma quelli che abbiamo sono di mirabile fattura. Inventarono persino una tecnica: la granulazione, che ancora nessuno a capito come fosse realizzata, ci hanno provato in tanti a riprodurla ma non ci sono riusciti.
Erano moderni, pensate che nella loro società la donna aveva pari dignità rispetto agli uomini, le donne sedevano a banchetto, partecipavano alle cerimonie e assistevano ai giochi sportivi con i loro uomini, cosa che a quei tempi, presso tutte le altre società, era scandalosa.
Mi piacciono gli Etruschi, peccato che i Romani li abbiano sconfitti e, in qualche modo, cancellati dalla storia e peccato che loro abbiano scritto in una lingua per noi incomprensibile, chissà che cose belle scrivevano, quante storie, racconti, poesie che per noi sono perse per sempre.
Ci restano i loro vasi, le loro pitture, le sculture ma ci danno appena un’ idea di come vivessero…a me piace pensare che fossero simpatici e scanzonati, un po’ come i Toscani, per intenderci.

domenica 7 dicembre 2008

Antiapologia di Sherlock Holmes


Ho trascorso un finesettimana fantastico, nonostante il raffreddore e la tosse.
Venerdì sera sono andata a teatro, mi sono gustata un tristissimo e bellissimo Gabbiano di Anton Cechov, tutto da vedere.
Ieri e oggi due giornate full immersion in un convegno su Sherlock Holmes all’Università.
Ho imparato un mucchio di cose e mi sono divertita, i relatori erano persone competenti ma anche spiritose, hanno condotto l’iniziativa con brio e humor.
Io adoro leggere i libri gialli e Conan Doyle è un must.
Tuttavia ho deciso di scrivere, dopo tante lodi al più famoso detective della storia del giallo, un’ apologia alla rovescia. Eccola qui:
Sherlock Holmes è il massimo, d’accordo.

Come direbbe Baricco: lui è l’investigatore più bravo del west…e del nord, del sud e dell’ est.
Lui, per primo, da un frammento insignificante è in grado di ricavare la verità.
E’ l’iniziatore, il modello di quelli che sono venuti dopo.
Cosa sarebbero stati Miss Marple, Nero Wolfe, Montalbano, Poirot senza di lui?
Forse non sarebbero neppure mai nati dalla fantasia dei loro autori.
Tuttavia…Sherlock Holmes è antipatico. Diciamocelo.
E’ un genio, nessuno oserebbe negarlo ma, purtroppo, lui sa di esserlo.
E’ assolutamente consapevole della sua straordinaria abilità logica e, insomma, un po’ “se la tira”. Un po’ tanto.
Assume con tutti un atteggiamento supponente, si mette su un piedistallo inarrivabile per noi comuni mortali.
Sherlock Holmes mi fa pensare ad un “Pierino”. Avete presente?
Sherlock Holmes è il primo della classe, è quello bravo, anzi bravissimo in tutte le materie, quello che te la fa pesare, quello che non sarà mai amico tuo, quello che inviti alla tua festa soltanto perché se non lo inviti poi non ti passa il compito di matematica.
E allora, mi chiedo, perché a me e a tanti altri, piace tanto leggere le sue avventure?
Per un sacco di ragioni…più una. E quell’una è che, in fin dei conti, a tutti noi piacerebbe tanto essere bravi come Sherlock Holmes.

mercoledì 3 dicembre 2008

Shakespiriana


Mi sto facendo una full immersion di opere Shakespeariane.
Voi direte: “ Ma con tutti i guai che hai, te li vai pure a cercare?” .
Ma per me Shakespeare non è proprio un guaio, anzi.
Il fatto è che in questa nostra epoca, dominata dalla stupidità e dall’arroganza senza limiti, uno l’intelligenza se la deve andare a cercare con il lumicino e io, poiché mi sono stufata di fare minuziose ricerche per trovare un briciolo di buon senso, l’intelligenza me la vado a cercare nelle opere degli scrittori del passato.
Così mi dimentico di un presente che non mi piace affatto e mi sento a casa mia tra personaggi, magari strani, ma decisamente più affascinanti dei miei contemporanei in carne ed ossa.
In questa mia ricerca della saggezza sono aiutata dalla FG che, studiando letteratura inglese, mi dà spiegazioni filologiche e linguistiche.
Il nostro viaggio alla ricerca di William e delle sue creature (effettuato rigorosamente in traduzione italiana, il mio inglese è troppo misero per una lettura in lingua originale) è cominciato all’Eliseo con Re Lear (Howl, howl,howl).
Mi è piaciuto da matti. C’è tutto nel Re Lear (dissento, nota della FG che tifa The Tempest): il rapporto padre-figli, la lotta tra il bene e il male, tra la saggezza e l’idiozia, la guerra, l’amore. Il tutto su una scena nuda, priva di ogni riferimento temporale o storico a significare, credo, l’universalità e l’atemporalità delle passioni umane.
Il viaggio è proseguito al Quirino con un Otello che alla filologa FG non è piaciuto (e nemmeno all’attrice che faceva Emilia caduta di brutto sul palco nella scena della sua morte). A me invece, che sono filologa si ma per le opere italiane, latine e greche, lo spettacolo è piaciuto. A parte la recitazione del protagonista terribilmente gigionesca, la messa in scena offriva una buona lettura del conflitto che Otello vive tra amore e gelosia. Soprattutto mi è piaciuto Iago, cattivissimo, quasi come l’Edmund del re Lear.
Quello che mi piace in Shakespeare è che i cattivi sono veramente cattivi, non sono un po’ cattivi, non vivono il conflitto etico del bene e del male, no, loro il male lo fanno proprio per bene.
A casa, poi, per tre sere di seguito ci siamo sparate la Tempesta in DVD nel mitico allestimento del Piccolo Teatro di Milano, diretta dall’altrettanto mitico Streheler, tradotta dal super-mitico Agostino Lombardo e recitata dai miticissimi Tino Carraro, Massimo Foschi e Giulia Lazzarini. Roba che dopo di loro voglio vedere se qualcun altro avrà il coraggio di mettere di nuovo in scena quest’opera.
La Lazzarini, inimitabile Ariel, vola, letteralmente, sul palcoscenico. Carraro, nei panni di Prospero è sufficientemente antipatico e saccente, Foschi (Gran fico! Nota della FG, ma mamma è d’accordo) interpreta un Calibano tenerissimo nella sua sofferenza di emarginato, di vittima di un razzismo ottuso e superbo.
Guardavo lo spettacolo e pensavo che anche oggi ci sono tanti, troppi, Calibani, odiati e rifiutati solo perché diversi. Non li capiamo i Calibani, ci fanno paura e, poiché siamo troppo vigliacchi per ammettere la nostra paura, li odiamo.
Mi sa che aveva ragione Einstein quando diceva: “Ci sono due cose infinite: L’Universo e la stupidità umana ma sull’Universo ho ancora qualche dubbio”.
Certo è che Shakespeare la stupidità umana ce l’ha raccontata in maniera proprio intelligente.

giovedì 27 novembre 2008

Franti, Derossi e il "cinque in condotta


La ministra della Pubblica Istruzione ha imposto a noi insegnanti di assegnare il bruttissimo voto “cinque” agli alunni che si comportano mooolto male.
Mi è venuto in mente Franti, quello del libro Cuore, quello cattivissimo, ve lo ricordate? Quello che nessuna madre vorrebbe avere per figlio.
Però mi sono tornate alla memoria anche le auree pagine dedicate a Franti da quel genio che è Umberto Eco, quelle pagine sono intitolate “Elogio di Franti” e sono tutte da leggere, soprattutto dalle madri e dagli insegnanti.
Io tifo per Franti. Se è così “cattivo” un motivo ci sarà stato, peccato che il De Amicis Edmondo non ce lo abbia raccontato. Edmondo ci ha soltanto detto che Franti è malvagio e gli fa fare una brutta fine, Franti viene addirittura cacciato da scuola!
I buoni sono altri, Garrone, Enrico e Derossi. Soprattutto Derossi, buono, bello (pure!) e generoso (sai com’era difficile, lui era ricco.) e poi è il più bravo della classe. Studia sempre ma proprio sempre. Derossi aiuta tutti. Quasi tutti. Derossi non aiuta Franti, lui no, è troppo “cattivo”
Io tifo per Franti, per tutti i Franti che mi capita di avere per alunni. Io ai miei Franti il cinque in condotta, con buona pace della signora ministra, non glielo do. Qualche volta mi viene voglia di darlo, il famigerato cinque in condotta, ai Derossi,ad esempio quando non aiutano i Franti. Ma questo non si può fare, ai Derossi bisogna sempre dare 10. E allora, sapete che vorrei fare? Vorrei dare 10 in condotta a tutti, ai Derossi, agli Enrico, ai Garrone e anche a tutti i miei Franti.

martedì 25 novembre 2008

Vergognati

Quando ero piccola e mi comportavo male mia madre mi diceva:”Vergognati!” e, poiché io ero una peste, accadeva spesso. Non mi piaceva sentirmelo dire ma sapevo che era dannatamente giusto, che dovevo vergognarmi. E mi vergognavo.
Ancora oggi, se non mi comporto bene mi risuona in testa la voce di mamma, io mi vergogno e cerco di rimediare.
Ecco, io credo che ogni tanto sia necessario dirglielo ai ragazzini “vergognati!”, altrimenti crescono con la convinzione che tutto sia permesso e le cose non vanno per niente bene.
Care mamme, ditelo qualche volta ai vostri figli, quando si comportano male, magari spiegate loro anche perché devono vergognarsi, non è che loro lo sappiano sempre.
Forse se qualche mamma avesse detto, che so:”Mario, vergognati!”,”Giovanna, vergognati!”, ”Silvio, vergognati!”, “;Mariastella vergognati!” magari oggi, davanti alla morte di un ragazzino, assassinato da una scuola che gli è caduta in testa non sentiremmo frasi come:”E’ stata una tragica fatalità”, “Non è compito nostro”, “I soldi ci sono ma…”
Come se quella morte fosse una cosa qualunque. Invece no, quel ragazzino rappresentava il futuro, il nostro futuro, come tutti i ragazzini, non soltanto i nostri propri figli.
I ragazzini sono tutti nostri figli e quella morte ci riguarda. Tutti. E gli indifferenti dovrebbero vergognarsi di esserlo ma, forse, le loro madri (e i loro padri) non glielo hanno mai spiegato, non hanno mai detto loro:”Vergognati!”
E allora glielo dico io ma,forse è troppo tardi.

venerdì 21 novembre 2008

Picasso a Roma


Sono andata a vedere la mostra su Picasso al Vittoriano.
Mi è piaciuta da impazzire: era piena di colore, di forme, di linee, di volumi…di Tutto!
Il fatto è che, quando uno, per esempio, va a visitare una mostra di Monet, sa di trovarci la luce, l’aria, l’acqua come le vedeva l’artista, le sue impressioni, se guarda le opere di Beato Angelico, ci vede un mondo di angeli e di santi, se guarda le opere di Caravaggio ci trova il buio e la luce…ma nell’ opera di Picasso uno ci scopre milioni di mondi!
Classicismo, impressionismo,cubismo, astrattismo…Picasso ha attraversato ogni stile senza mai lasciarsene invischiare, è riuscito a restare sempre Picasso , nel bene e nel male, la sua personalità multiforme e originalissima lo ha preservato dalle scuole e dagli stili.
Picasso si può odiare o ammirare, rifiutare od amare, non c’è via di mezzo, come tutti i grandi geni, se ne è infischiato delle mode e dei tempi e ci ha regalato la sua visione dinamicissima del mondo e della vita.
Nelle opere esposte c’era tanto colore, esplosioni di colori, rossi, verdi, azzurri.
Tutto era un inno alla vita, un invito a viverla nella sua pienezza, a cogliere con piacere la bellezza che c’è in ogni sua manifestazione. Persino negli schizzi preparatori di Guernica, il grande affresco sull’orrore della guerra civile spagnola, ho percepito il suo amore per la vita, nella fisicità dei cavalli e dei personaggi travolti dall’orrore e dalla morte.
Tutto era un canto alla vita, quella dell’uomo, quella della natura, quella degli oggetti inanimati ed era un canto pieno di rispetto e di amore profondo, una lezione altissima per tutti noi.

martedì 18 novembre 2008

La sinistra sta meglio della destra


Non sto parlando di politica, ci mancherebbe altro!
Sto parlando di mani. Delle mie mani, per l’esattezza.
Io sono mancina e perciò impugno attrezzi ed utensili con la mano sinistra ma sono anche molto maldestra e spesso, invece di usare gli strumenti correttamente mi faccio male, in particolare, chi spesso fa le spese della mia inettitudine è la mano destra che regge gli oggetti che devo trattare.
Due mesi fa, mentre stiravo, mi sono data il ferro da stiro rovente sulla mano, destra ovviamente, col bel risultato di procurarmi un’ ustione profonda sul dorso della mano. L’ustione è guarita da poco ma sul dorso della mano è rimasta una cicatrice, piccola ma proprio brutta.
Ieri, tentando di separare due fette di carne congelata, mi sono autopugnalata un dito sempre della mano destra che teneva fermo il pacco delle fettine. La ferita è piccola ma profonda e, non riuscendo a fermare l’emorragia, sono andata al pronto soccorso.
Meno male che prima di uscire ho avuto il buon senso di mettere in borsetta i compiti che dovevo correggere.
Al pronto soccorso mi hanno fatto accomodare in sala d’attesa e mi hanno lasciata là.
Io mi sono messa a correggere i compiti con la mano avvolta da abbondante garza. Dopo due ore ero ancora lì, ho finito la correzione e ho visto che la ferita gocciolava ancora ma assai meno di prima. Ho chiesto quanto ancora dovevo aspettare e mi hanno risposto che prima di me c’erano cinque persone. Due ore prima mi avevano detto esattamente la stessa cosa.
Il fatto è che, se arrivano casi più urgenti, i medici, giustamente, danno loro la precedenza.
Ma io dovevo fare la spesa e cucinare, così me ne sono andata, senza farmi medicare. Mi sono medicata da sola a casa, ormai sono un’esperta autoinfermiera, con disinfettante e cerotti (ne ho sempre un’abbondate scorta). Il dito ha continuato a sanguinare (poco) per tutta la serata ma io ho comunque portato a termine tutto ciò che dovevo fare.
Oggi va meglio, l’emorragia sembra essersi fermata ma il dito fa male e il cerotto mi dà noia quando faccio i lavori domestici.
Lo so, sono una frana ma non ci posso fare nulla e la mia povera mano destra lo sa benissimo!

sabato 15 novembre 2008

Umanista e Scienziato


Homo e Umanista

Qualche tempo fa mi è capitato di ascoltare un dibattito nel corso del quale si esaltava la ricerca scientifica in confronto agli studi umanistici. Naturalmente io, essendo un’ umanista, non sono affatto d’accordo e ora proverò a dirvi perché.
In sostanza lo scienziato, che qui io definisco Homo scientificus per evidenziarne non la professione ma la natura della sua forma mentis, non comprende le ragioni dell’ Umanista perché ritiene utile studiare la materia e inutile indagare l’animo umano.
Ora, io mi chiedo: ma l’ Uomo non ha sempre studiato la materia per piegarla ai suoi bisogni di uomo? In effetti lo ha sempre fatto, fin dai tempi primitivi, quindi, non si scappa, al centro c’è sempre lui: l’ Uomo.
Poi, come si fa a dire che è inutile investigare lo spirito umano se è proprio attraverso l’analisi filosofica della natura umana che gli uomini sono riusciti ad inventarsi cosette come sistemi politici, economici, sociali, hanno lavorato per costruire la libertà, la democrazia, il wellfare, che non sono proprio inutili.
Terza considerazione: nell’ indagine filosofica l’uomo è oggetto di studio ma può diventare soggetto studiante, per così dire, può cioè indagare e conoscere il mondo che lo circonda, una molecola o una galassia invece no. C’è insomma un interscambio affascinante che è sempre causa di crescita e maturazione.
Ancora: la materia è sicuramente un oggetto di studio intrigante ed estremamente complesso, rappresenta una sfida per l’Homo scientificus che la studia ma mai una molecola o una galassia sarà complicata come l’animo umano che è l’oggetto delle attenzioni dell’ Umanista.
Si potrebbe continuare ma mi fermo qui, vi lascio soltanto un’ultima considerazione, quella che mi piace di più: l’Homo scientificus non comprende perché si debba studiare l’Uomo, non capisce e, talvolta, disprezza l’Umanista, invece l’ Umanista comprende benissimo perché all’Homo scientificus piaccia tanto studiare la Materia, egli sa che l’Uomo è per sua natura curioso di tutto ciò che lo circonda, l’Umanista comprende e ammira, sempre, l’Homo scientificus perché, studiando l’Uomo, egli è diventato tollerante.

mercoledì 12 novembre 2008

Teatro


Quest’anno con la FG abbiamo deciso di andare a teatro e abbiamo lavorato a questo progetto con metodo rigorosamente scientifico.
Prima fase: accurata ricerca su Internet delle programmazioni dei teatri romani.
Seconda fase: scelta degli spettacoli interessanti, in base ad autori, storie, interpreti.
Terza fase: selezione delle programmazioni al fine di trovare l’abbonamento più rispondente ai nostri gusti.
Quarta fase: compilazione di un calendario elettronico compatibile con gli impegni molteplici della FG e con le riunioni scolastiche mie (infinite e spesso lunghissime).
L’abbonamento lo abbiamo fatto al teatro Eliseo, per gli altri, quando uno spettacolo ci interessa, compriamo i biglietti. Quest’anno la programmazione è ricca di spettacoli interessanti e,a saper scegliere bene i posti, non è troppo costosa. Io sono bravissima nel settore, quando ero giovane e non avevo molti soldi ho imparato quali sono i posti a basso costo da dove si vede meglio!
Insomma, stiamo andando a teatro spessissimo.
Abbiamo inaugurato la stagione nel bellissimo Auditorium di Renzo Piano con un Recital di Cecilia Batoli che ha cantato arie d’opera in omaggio alla Malibran, una goduria di musica immerse nella sala di legno dall’ acustica perfetta, sembrava di stare dentro un violino.
Il primo spettacolo di prosa è stato “Il piacere dell’onestà” di Pirandello. Non mi è piaciuto molto: mancava il ritmo pirandelliano, il primo attore ha tenuto un tono basso e piatto alquanto snervante. Ma forse la mia critica dipende dal fatto che io ho visto tante opere di Pirandello recitate dalla mitica Compagnia dei giovani; De Lullo, Valli e la Falk mi hanno regalato emozioni talmente intense che è difficile, per me, ritrovarle.
Poi al Valle abbiamo visto una commedia di Dario Fo, da morire dal ridere ma, a pensarci bene, raccontava una storia tristissima: la storia dell’Italia. La piece è stata scritta nel 1974 e racconta la vita grama degli operai, gli scioperi, la polizia, i ricchi e la gente come me.
Era attualissima, il che mi fa pensare che in trent’anni non è cambiato niente e che quelli che ci governano sono, a voler essere gentili, degli incapaci. Beh, anche prima del ’74…
Vuoi vedere che per trovare un politico valido bisogna risalire al 1848 e al buon Massimo D’Azeglio? Che poi politico non era ma almeno ci metteva un po’ di buona volontà!
Comunque la commedia ci è piaciuta e le abbiamo dato dieci, sì, noi diamo il voto agli spettacoli che vediamo, abbiamo ripreso la mia vecchia abitudine e il quaderno che usavo tanti anni fa.
La stagione è continuata al teatro Argentina con la Compagnia di Luca De Filippo che ha messo in scena Filumena Maturano del grande Edoardo, interpretata da una Lina Sastri assolutamente superba. Non mi ha fatto rimpiangere la magistrale interpretazione di Regina Bianchi. Ci ha regalato una Filumena durissima, essenziale, un grumo di sofferenza e di coraggio. Non mi vergogno a dirlo ma io mi sono commossa. Per noi è stato uno spettacolo da dieci e lode.
Poi, di nuovo all’ Auditorium per ascoltare Mendelssohn: Le Ebridi, il Concerto per violino in Mi minore e la Scozzese.
L’esecuzione delle Ebridi è stata deludente, mancava di tensione ma il Concerto e la sinfonia scozzese ci sono piaciute, starsene in poltrona a godersi il romanticismo del compositore, lasciarsi trasportare nel mare in tempesta delle sue emozioni e dimenticare la noia e la fatica del proprio quotidiano è un’ esperienza liberatoria, volare in alto sulle ali delle note è meglio di una seduta dallo psicanalista. Siamo uscite dall’ Auditorium rasserenate e felici.
Adesso ci aspettano tre tragedie di Shakespeare, una dietro l’altra, una full immersion che sarà utile alla FG per il suo esame di letteratura inglese ma che piacerà anche a me che adoro il drammaturgo di Stratford –upon-Avon.

venerdì 7 novembre 2008

Il tradimento

Epilogo 3
-Io kredo ke Amedeo abbia perfettamente inkwadrato la situazione nei suoi ciusti kontorni: hanno kwindici anni kwesti ragazzi, è giusto ke vifano la vita dei loro coetanei, per essere felici.- intervenne Frau Julia che aggiunse: -Wolfgang non era mai riuscito a fare amicizia kon altri ragazzi, solamente il rock lo ha afficinato ad altri adolescenti.-
Clara annuì e chiese al figlio: -Ma tu, Wolfango, quando hai suonato, ti sentivi felice?-
Wolfango tirò fuori un “si” talmente stupito e senza fiato che quando sua madre lo udì le sembrò la sintesi perfetta di un sogno segreto.
-E allora che suoni la batteria, che canti il rock se questo lo rende felice!- sfidò marito e suocero -Lo sapete quanto amo la musica classica ma amo assai di più i miei figli e desidero la loro felicità.-
Clara era sempre stata arrendevole, quasi sottomessa, al volere di Ludovico e Giuseppe, essi la guardarono meravigliati, stupiti da quell’audacia insolita.
Wolfango stupito non credeva ai suoi orecchi.
-Secondo te, dovremmo accettare questa cosa senza protestare? Dovremmo rinunciare all’idea del collegio?- chiese Ludovico.
-Si- risposero all’unisono tre voci: Clara, Amedeo e, soprattutto, la tonante Frau Julia avevano chiaramente espresso il loro pensiero.
-E siamo in maggioranza- ridacchiò Amedeo che sapeva che suo padre, innamoratissimo di Clara, non le avrebbe mai dato il dolore di allontanare Wolfango.
- E sia, però ti iscriverai al Conservatorio e studierai seriamente musica: Tutta la musica!-impose,mugugnando, Giuseppe Rossini.
Wolfango, incredulo e felice, promise solennemente.

Fine

martedì 4 novembre 2008

Il tradimento

Epilogo 2

Il volto di Amedeo era più colorito del solito, erano i segni di un attesa terminata, di una di quelle morbide esplosioni di veemente passione adolescenziale.
-È pur sempre musica- esordì Amedeo con un’insolita determinazione negli occhi -Rock, Grunge, Epic-Metal, tutto il metal è musica. Una musica che lascia più spazio alla ritmica e che esprime sentimenti e passioni in maniera diversa e a volte su temi diversi.- Gli adulti ammutolirono.
Amedeo riprese: -Anche Mozart fu rifiutato perché troppo moderno, anche Rossini fu fischiato…-
-Ma quella fu una congiura di Paisiello!- lo interruppe il nonno
-Certo, perché il Barbiere di Siviglia di Paisiello rappresentava il vecchio e quello di Rossini era il nuovo. Anche Verdi fu fischiato!- Amedeo riprese fiato, quindi continuò: -Un tenore come Placido Domingo non si fa problemi a cantare con una Rock Star come Michael Bolton, i Rhapsody reinventano la tarantella di Rossini e i Manowar suonano con la chitarra elettrica “il volo del calabrone” !-
-E tu come le sai certe cose ?!?- intervenne il padre mentre Wolfango si poneva in silenzio la medesima domanda.
Amedeo tirò fuori il suo lettore di mp3 -Ma credevate davvero che qui dentro avessi solo Tchaikowskij? Ho quindici anni, papà, anche io amo la musica moderna!-
-Vorrà dire che manderemo in collegio anche te!!- sfuriò il nonno.

venerdì 31 ottobre 2008

Il tradimento


Epilogo 1
Wolfango non sapeva quanto tempo fosse passato, a lui sembravano secoli.
La porta della biblioteca si aprì e Frau Julia disse:-Entra.-
Wolfango entrò, seguito dalla governante che rimase presso la porta.
Erano tutti là: suo padre e sua madre seduti sul divano, Amedeo in poltrona, il nonno in piedi, di spalle, quasi non volesse vederlo, presso la grande finestra.
Tacevano. Suo padre era accigliato, la mamma aveva un’aria così triste che il ragazzo se ne addolorò, Amedeo guardava per terra imbarazzato.
Giuseppe Rossini si voltò lentamente e ironicamente disse: -Dunque abbiamo un altro “musicista” in famiglia!-
Wolfango tacque, era totalmente svuotato, pensò che soltanto un condannato a morte, poco prima dell’esecuzione, doveva sentirsi come si sentiva lui.
Ludovico intervenne, furioso: -Come hai potuto fare una cosa simile? Non hai pensato che ci avresti ricoperto di vergogna?-
-Un rockettaro nella nostra famiglia è inammissibile!- tuonò il nonno -E quell’ idiota del padre del tuo compagno ha pure osato fare i complimenti a tuo padre per la tua “bravura”! Sei stato proprio bravo, non c’è che dire!-
-Wolfango ma perché ti sei andato a mettere con quei ragazzi?- chiese Clara, con voce triste -Se volevi suonare uno strumento potevi andare al Conservatorio, nessuno sarebbe stato più felice di noi di iscriverti-
-Ma se è sempre stato negato! Ricorda quello che ci hanno sempre detto i suoi insegnanti di musica!- ribatté il padre.
Wolfango continuava ostinatamente a tacere, qualunque cosa avesse detto sarebbe stata inutile. Aspettava la sua condanna, che arrivò puntualmente per bocca del nonno:-C’è solamente una soluzione per ovviare a questo increscioso incidente: tu andrai in collegio, in Svizzera o in Germania, lontano da qui, ti affideremo a insegnanti severi che ti levino questi grilli dalla testa.-
Lui lo sapeva: lo avrebbero mandato via, via dai suoi amici, via dal rock, via da Stella, non riusciva a sopportarlo ma non poteva farci niente.-Io vorrei dire qualcosa…- Come in sogno Wolfango udì la voce di suo fratello irrompere nella sua disperazione.

mercoledì 29 ottobre 2008

Il tradimento

Capitolo 16
Il concerto fu un successo ma fu anche l’inizio della fine.
Wolfango visse il periodo successivo al concerto in uno stato di totale beatitudine: era Lupo per tutti, nessuno lo prendeva più in giro, per la prima volta nella sua vita si sentiva totalmente accettato, era amato da Stella, la sua Stella.
Un giorno, però, tornando a casa la sera, lo accolse una Frau Julia particolarmente accigliata.
-Herr Wolfgang, fuoi andare nella tua stanza, bitte!?-
Wolfango obbedì, chiedendosi cosa fosse successo. A parte le bugie, alle quali ormai si era abituato, non aveva altre colpe sulla coscienza, esclusa quella, terribile, di amare il Rock ma era abbastanza sicuro che il suo segreto fosse al sicuro.
Era appena entrato nella sua stanza quando irruppe Amedeo agitatissimo.
-È vero?- domandò.
-È vero cosa?- ribatté Wolfango
-Che hai suonato la batteria in un concerto Rock! Che fai parte di una band!- Esplose Amedeo.
-Come l’hai saputo?- chiese terrorizzato suo fratello.
-L’ha saputo papà: oggi è andato a parlare con i nostri insegnanti e, a quanto pare, un genitore che era presente al concerto gli ha fatto i complimenti per la tua bravura. Papà è tornato a casa furibondo, mi ha fatto il terzo grado ma io non sapevo nulla, poi si è chiuso nella biblioteca con la mamma ed il nonno!-
Wolfango sentì il cielo cadergli sulla testa: era la fine, mai più avrebbe potuto suonare, i suoi, giudici inflessibili, glielo avrebbero proibito senza ombra di dubbio.
Oppresso dalla disperazione, cominciò a parlare: su Amedeo cadde un fiume di parole, l’intera storia di una felicità che stava per essere distrutta fu raccontata con gli accenti più accorati.
Amedeo stava per rispondere quando comparve Frau Julia e disse: -Amedeo, sei atteso in biblioteca e tu sei pregato di aspettare nell’atrio.-
I due si avviarono silenziosamente.

venerdì 24 ottobre 2008

Il tradimento


Capitolo 15
Wolfango guardava dal limitare del garage la folla, aveva l’impressione che il sangue non gli scorresse nelle vene, aveva soprattutto un grosso dispiacere che faceva da culla a tutta la sua tensione: non aveva potuto, per ovvie ragioni, invitare Amedeo.
Gli sarebbe piaciuto aver vicino suo fratello in quel momento così emozionante.
Erano tutti tesissimi, Stella giocherellava con le numerose spille da balia della maglietta interrompendosi, ogni tanto, solo per guardare l’orologio e tutti controllavano in maniera quasi ossessiva che gli strumenti fossero a posto eccetto Wolfango, poiché la batteria era stata già tirata fuori dal garage.
Stella gridò in un misto di gioia ed angoscia che erano le 17.00, i quattro, all’unisono, deglutirono ed uscirono. Videro Claudio in prima fila, cosa che li tranquillizzò molto, mentre la folla esplodeva in un boato.
Wolfango lanciò un’occhiata alla piazzetta piena di gente, Claudio gli gridò: -Vai Lupo!!- e lui batté tre volte le stecche.
La folla scomparve, c’erano solo i piatti e le membrane della batteria e una sorta di fremente eccitazione che lo faceva sorridere e scatenare sullo strumento.
La voce di Stella, le vibrazioni delle corde del basso lo infiammavano e lo infilavano in quello che lui sapeva essere il ritmo giusto. Si fermò solo per consentire ai suoi amici gli assoli ma il resto fu come una magica e scatenata follia musicale.
Forse solo in quel momento riuscì a condividere la stessa passione che animava suo nonno per la musica, anche se la sua nasceva da armonie ben diverse.
I brani erano scritti sul flyer e Stella, non dovendoli presentare, si riforniva d’acqua quando poteva e sentiva la batteria di Lupo ritmarle il battito del cuore.
L’ultimo brano finì quasi senza che il gruppo se ne accorgesse, guardarono radiosi e sorpresi la folla che applaudiva e gridava saltando mentre la tensione scendeva e la fatica e la soddisfazione cullavano quella stupenda riuscita.
Wolfango si alzò senza fare un passo, come rassicurato dalla presenza della batteria davanti a sé, sentì una piccola mano battergli sulla spalla, si voltò e si ritrovò fra le braccia di una Stella che gli stava dando, con un certo entusiasmo, il suo primo bacio.
Il concerto fu un successo.

mercoledì 22 ottobre 2008

Il tradimento

Capitolo 14
Durante una delle tante uscite da scuola arrivò l’incidente: mentre gli studenti si accalcavano per scendere l’imponente scalone del Liceo, Claudio scivolò rotolando fino al primo pianerottolo e rimase a terra lamentandosi.
Fu prontamente portato al pronto soccorso e il radiologo diagnosticò la frattura dell’omero.
Claudio fu ingessato ed ebbe la prognosi di trenta giorni.
I cinque erano sgomenti: mancavano solo sette giorni al concerto, non si poteva rimandare ma senza batteria come suonare?
Nel pomeriggio i cinque si riunirono a casa di Claudio che semi-sdraiato sul letto guardava seccato le facce mogie e tristi degli altri.
Stella stava pigramente disegnando sul suo gesso quando finalmente proprio Claudio prese l’iniziativa.
-Verrò al concerto come spettatore.- dichiarò senza guardare gli amici.
-Senza di te non si fa niente- rispose secco e triste Giorgio
-Che vuoi che suoniamo senza batterista!- aggiunse Marco, mal nascondendo la sua aria tormentata.
Stella e Wolfango tacquero ed evitarono di guardarsi.
-Sai ho un “discepolo” che ha imparato tutti i nostri pezzi- disse Claudio, giocando a fare un po’ il martire ed un po’ solo il buffone e fissando Wolfango.
Wolfango impallidì, spalancò gli occhi e si indicò il petto guardando Claudio con aria interrogativa.
-Si tu.- rispose con olimpica calma alla domanda che l’amico non avrebbe mai posto.
Stella si illuminò rivolgendo a Wolfango il più bello dei suoi sorrisi - È perfetto!!!- esclamò lei.
Giorgio la guardò perplesso e proferì con un filo di voce: -Oh mio Dio! Il nome sulla locandina!-
Marco rincarò: -Mica possiamo scrivere…-
Wolfango iniziò a fissare insistentemente il pavimento.
Stella intervenne stizzita: -Infatti da oggi in poi si chiamerà Lupo, in tedesco Wolf significa lupo. Avremo un batterista con un nome feroce-
Gli altri approvarono entusiasti.

sabato 18 ottobre 2008

Il tradimento

Capitolo 13
Anche a scuola le cose andavano meglio. I compagni non lo prendevano più in giro, almeno quando c’erano in giro i suoi amici, Claudio aveva spalle possenti e mani robuste, Marco era cintura nera di aikido e Stella era universalmente temuta perché, pur essendo magra e bassina, era armata da anfibi con rinforzi di ferro con i quali sparava terribili pestonate. I quattro avevano fatto capire chiaramente che avevano accettato Wolfango e che qualunque sgarbo fatto a lui era fatto a loro e sarebbe stato crudamente vendicato
Wolfango continuava a carezzare Stella con gli occhi ovunque lei fosse, eccetto nei momenti in cui Claudio lo lasciava esercitarsi con la batteria e non si accorgeva affatto che era proprio e solo in quei momenti che lei si permetteva di fissarlo con notevole interesse.
Presto avrebbero dato il loro primo concerto, davanti ad un pubblico vero: avevano distribuito diversi flyers nel quartiere ed invitato i compagni di classe.
Le prove si susseguivano a ritmo serrato in ogni momento libero dallo studio e questo, per Wolfango, significava stare più tempo con gli amici, con la musica, con Stella.Fu il periodo più bello della sua vita.

mercoledì 15 ottobre 2008

Il tradimento

Capitolo 12
-Wolfango?- chiese il nonno.
-E’ a casa di un compagno di scuola- rispose Ludovico.
-Bene- commentò suo padre -finalmente quel ragazzo è riuscito a fare amicizia con qualcuno, speriamo soltanto che frequenti persone per bene-
-Papà, lo abbiamo iscritto nel Liceo più prestigioso di Milano- ribatté, un po’ stizzito Ludovico
-E’ frequentato dai figli delle migliori famiglie- soggiunse sua moglie.
-Siamo tutti ragazzi per bene al liceo, nonno, e poi Wolfango è più sereno, sembra proprio felice da un po’ di tempo- rincarò Amedeo, che ignorava chi suo fratello frequentasse ma, poiché gli voleva molto bene, gioiva della nuova condizione psicologica del suo gemello.
Frau Julia non intervenne nella discussione, si accontentò di annuire, sorridendo, alle parole di Amedeo.
Wolfango era diventato un bugiardo provetto, ormai aveva un repertorio di menzogne che usava a turno per non destare sospetti.
Doveva, però, stare attento. Una volta si era quasi fatto scoprire mentre fra sé canticchiava un pezzo che i suoi amici avevano provato tutto il pomeriggio e che gli era rimasto nella testa. Doveva nascondere con grande cura i CD che i quattro gli avevano regalato.
Ma anche questo lo eccitava, lo faceva sentire un ribelle, un contestatore dell’ordine costituito, un oppositore della feroce tirannia imposta da suo nonno.

venerdì 10 ottobre 2008

Il tradimento


Capitolo 11
Wolfango tornò nel garage ogni volta che i quattro si riunivano.
Sedeva in silenzio e si godeva la musica e la visione di Stella della quale ogni giorno era silenziosamente più cotto.
Finché i quattro suonavano lui era felice.
Quando tornava a casa, però, i sensi di colpa cominciavano un loro rock personale nella sua testa.
Ai ritmi della batteria si sostituivano pensieri che tormentavano il ragazzo: quella musica, che lui amava ogni giorno di più, era “il rumore” tanto odiato da suo nonno e, riteneva, neppure i suoi genitori avrebbero approvato. Inoltre gli pesavano tutte le bugie che doveva raccontare per giustificare i suoi ritardi.
In quella musica Wolfango aveva trovato uno sfogo, quella potenza di suoni, dai lamenti della chitarra fino ai colpi dei piatti, erano ormai un modo per gridare tutto ciò che non poteva dire, tutta la sua delusione, la sua rabbia, il suo tormento.
Era una musica importante che lo impegnava e lo sfiniva, lasciandolo trasognato e felice specialmente da quando Claudio aveva iniziato ad insegnargli i primi rudimenti per diventare un buon batterista, nonostante una certa riluttanza a far toccare ad un profano la sua sacra batteria.
Wolfango aveva scoperto di non essere stonato, anzi, aveva, a detta dei quattro, un certo senso del ritmo e la cosa gli piacque.

mercoledì 8 ottobre 2008

Il tradimento

Capitolo 10


Wolfango tornò a casa con l’impressione di aver scoperto un mondo nuovo.
È vero che i quattro avevano accuratamente evitato di chiamarlo per nome ma, incredibilmente, l’avevano invitato a tornare tutte le volte che avesse voluto.
Eccome se voleva! Quella musica lo aveva stregato, insieme agli occhi di Stella.
Soprattutto il suono della batteria lo aveva preso, quei battiti potenti come grida che entravano in tutto il corpo e sembravano dettare le vibrazioni del mondo intero a partire dal pavimento del garage.
Quando rientrò, con tre ore di ritardo, lo accolse la voce metallica di Frau Julia: -Herr Wolfgang, come giustifichi kwesto ritardo?-
-Il professore di greco ci ha trattenuti per farci fare degli approfondimenti– mentì lui dicendo la prima cosa che gli passava per la testa.
-In tal caso dofefi affertire!– disse Frau Julia che, sebbene parlasse perfettamente l’Italiano, conservava un tantino d’accento tedesco.
Wolfango non rispose e Frau Julia, che era una donna intelligente, scosse il capo: il ragazzo mentiva ma aveva un’aria che lei non gli aveva visto mai, sembrava felice. Frau Julia tacque.
Anche Amedeo si accorse che il fratello non aveva la solita aria cupa, lo interrogò a lungo, era curioso, ma il suo gemello rispose evasivamente ed eluse le sue domande.Amedeo ci rimase male, da che erano nati i due si erano sempre confidati tutto ma decise di rispettare il riserbo di Wolfango.

venerdì 3 ottobre 2008

Il tradimento


Capitolo 9
I quattro s’interruppero bruscamente e corsero nello stanzino prima che Wolfango potesse rialzarsi. Nonostante il buio Stella lo riconobbe subito: -E tu che diavolo ci fai qui?!-
Silenzio.
Wolfango aveva l’impressione che la sua lingua si fosse incollata al palato, non poteva certo esordire dicendo che l’aveva seguita e li guardò con occhi spersi.
-Mica siamo alieni- Marco disse un po’ per sfottere ed un po’ per scherzare.
-Magari è venuto per sentire un po’ di vero Rock!- esclamò Giorgio lieto di avere un pubblico.
-Ammesso che sappia cos’è- soggiunse Claudio con la sua aria abbastanza costruita da batterista maledetto.
-Se non sa cos’è possiamo sempre insegnarglielo, ti va?- concluse Stella, guardandolo incuriosita.
Sapeva essere dolce Stella a modo suo.
Wolfango estrasse a fatica un -Si- dalle sue impastatissime corde vocali.
Stella lo prese per un braccio rialzandolo con un’energia alquanto brusca per farlo sedere sul pavimento della sala dove suonavano, più sicuro delle panche.
-Ok ricominciamo!– ordinò Claudio, le stecche batterono ancora e fu l’inizio di un’ora all’insegna del rock.
I battiti degli amplificatori erano così forti che Wolfango ebbe l’impressione di sentirli sostituire quelli del suo cuore che pure marciavano a mille.

martedì 30 settembre 2008

Il tradimento

Capitolo 8

I quattro si avviarono per uno dei tanti vialetti che si diramavano dietro la scuola, intenti a dibattere sui voti dell’ultimo compito di matematica.
Costeggiarono un muro grigio e si infilarono in un cortiletto, abbastanza sporco e pieno di mobili da buttare, sul quale si affacciavano le immense saracinesche di diversi garage.
Claudio si fermò davanti ad uno con la saracinesca ricoperta di scritte disegnate con la bomboletta, vi si accovacciò davanti, estrasse una chiave da una tasca del giubbotto e ne tolse il lucchetto. Giorgio e Marco lo aiutarono a sollevare la pesante saracinesca che dava sull’ambiente completamente buio, Stella entrò e gli altri la seguirono.
Wolfango lasciò la sua postazione dietro l’angolo del muro grigio, vide che il locale era composto di due stanze: la prima piccola e completamente buia dove non c’erano che due panche di legno e la seconda, la stanza dove erano entrati gli altri, poco più grande e fiocamente illuminate da una luce rossastra.
Si lasciò scivolare nella prima stanza mettendosi quieto a sedere al margine della panca a sinistra e, protetto dal cemento della struttura divisoria, poté osservare nell’altra stanza.
Vide Stella aggiustare un microfono, Marco litigare con l’amplificatore della sua chitarra elettrica che lanciava tremendi fischi, Giorgio sistemare con calma l’attacco del suo basso, ripetendo più volte note metalliche e velocissime e Claudio carezzare, dapprima con lo sguardo quindi con le mani, la sua batteria.
In mezzo un abat-jour rosso, preso chissà dove, illuminò i preparativi.
Claudio batté tre volte le stecche una sull’altra e al terzo colpo fu musica.Wolfango socchiuse gli occhi gustando la voce di Stella e quella furia di strumenti sotto ma, mentre lei era nel pieno di un acuto, lui cadde con un gran tonfo. Il legno della panchina era evidentemente marcio.

sabato 27 settembre 2008

Il tradimento


Capitolo 7
Da quel giorno le cose cambiarono, nel senso che i compagni continuarono a prendere in giro il ragazzo ma soltanto quando Stella era fuori portata.
Le cose cambiarono anche nel senso che Wolfango si era innamorato perdutamente di Stella.
Ovviamente, non fece assolutamente nulla per conquistarla, era convinto che la ragazza provasse pietà per lui, per il suo nome, non sapeva che lei non provava neppure pietà, era semplicemente infastidita dalla stupidità dei compagni.
Per Wolfango, andare a scuola significò da quel giorno anche guardare Stella. Si accontentava, come Cyrano, di amarla a distanza. Mai le avrebbe rivolto la parola, mai le si sarebbe avvicinato.
Stella faceva gruppo fisso con altri metallari: Giorgio, Claudio e Marco. I quattro stavano sempre insieme e il loro argomento preferito era la musica, non quella classica ma il rock, l’heavy metal, il grunge, il punk e altri generi che Wolfango conosceva per sentito dire e che a casa sua erano severamente proibiti. Era, quella musica, definita “rumore” dal nonno Giuseppe.
I quattro, all’uscita da scuola, se ne andavano sempre insieme confabulando. Wolfango era incuriosito, innamorato e anche un po’ geloso.
Un giorno decise di seguirli.

mercoledì 24 settembre 2008

Il tradimento

Capitolo 6



I giorni di scuola si susseguivano con la loro atroce dose di sfottimenti, un lunedì mattina successe però qualcosa di nuovo, una voce ruppe i lazzi grotteschi dei ragazzi.
-La volete fare finita!- tuonò Stella dall’ultimo banco della fila a destra.
Calò il silenzio per un attimo mentre tutti si giravano verso di lei.
-Se non la finite ve lo spacco in testa quel registro!- gridò ancor più furibonda, prima che qualcuno potesse osare una risposta.
Stella era una ragazzina esile, capelli lisci, scuri, che le coprivano metà della figura e occhi azzurri ma aveva due polmoni di potenza terrificante ed il suo corpo, ad eccezione dei capelli, era ricoperto al novanta per cento di metallo, a partire dal collo: collare con borchie di metallo, catena di metallo con un teschio, una maglietta composta per lo più di spille da balia con perline nere e viola, pantaloni tintinnanti per le enormi catene nere, viola ed argento e un paio di anfibi con punta in metallo dall’aria abbastanza minacciosa, senza contare i quattro orecchini, i braccialetti borchiati e i grossi anelli con castoni a forma di teschio o dotati di grosse pietre che non avrebbe esitato a stampare in fronte a chi la seccava.
Usava un linguaggio da fare invidia ad uno scaricatore di porto se qualcuno la seccava ed in classe era considerata strana o amata e rispettata a seconda dell’apertura mentale del suo interlocutore.
Il professore di Italiano colse la palla al balzo ricordando a Stella di moderare i toni e “pregando” in tono minaccioso il resto della classe di evitare le solite agitazioni mattutine.
Tutti si voltarono verso la cattedra, solo due occhi rimasero puntati ed incantati su Stella: quelli di Wolfango.

sabato 20 settembre 2008

Il tradimento


Capitolo 5
Wolfango, quindi, portava il nome del “grande Mozart!”, peccato che Mozart lo avesse portato in Austria quel nome, senza la o finale e che non venisse preso in giro ai suoi tempi; era odiato a volte ma dileggiato e tormentato mai, almeno non a causa del suo nome.
Quel nome, così odioso, stonava tutte le volte che veniva pronunciato, soprattutto nell’appello mattutino, in classe.
Stonava il nome come stonava il ragazzo. Wolfango odiava la musica, quella musica che per lunghi periodi gli portava via la madre, lontana per i concerti o vicina ma irraggiungibile perché impegnata a studiare. Lui detestava la musica che gli aveva regalato quel nome atroce, la musica che governava i pensieri di suo padre e di suo nonno.
Li aveva ferocemente delusi, ne soffriva un po’ ma, d’altro canto ne gioiva perversamente: era la sua vendetta!
Amedeo, invece, aveva perfettamente corrisposto alle aspettative, suonava l’oboe, era il completamento ideale di una famiglia votata alla melodia e all’armonia, capace di ascoltare sempre e di non entrare in attrito ogni volta con la fissa che i suoi avevano per la musica classica.Amedeo era dentro, come lui ne era fuori, da tutto un mondo di suoni delicati e ricordi di teatri e concerti che tanto premevano ai suoi genitori ed al nonno.

mercoledì 17 settembre 2008

Il tradimento

Capitolo 4

Wolfango non riusciva a capire se amasse i suoi o se li odiasse.
Adorava sua madre ma non era tanto sicuro di voler così bene a suo padre e, soprattutto, a suo nonno, il famosissimo Giuseppe Rossini.
Suo nonno era noto in tutto il mondo, era un valentissimo pianista, dava concerti nei maggiori teatri del mondo. Era un appassionato musicista e musicofilo, diceva che nel suo nome era scritto il suo destino: Giuseppe come Verdi e Rossini come il famoso autore del Barbiere di Siviglia. E aveva chiamato suo figlio Ludovico, naturalmente in omaggio a Beethoven.
Ludovico era stato avviato agli studi musicali in tenerissima età ed era diventato un virtuoso del violino, come il padre teneva concerti in ogni Paese del mondo ed aveva sposato Clara, la madre di Amedeo e Wolfango, che era una eccellente arpista.
Quando Giuseppe Rossini seppe che Clara aspettava due gemelli maschi decise immediatamente che essi avrebbero dovuto chiamarsi coi nomi del musicista più grande di tutti i tempi, da lui amatissimo, il genio di Salisburgo. E così fu.

sabato 13 settembre 2008

Il tradimento


Capitolo 3
Dietro quella porta c’era la sua famiglia.
Stranamente, in quel periodo erano tutti in sede, cosa rara perché spesso lui e Amedeo erano affidati alle teutoniche cure di Frau Julia, la governante che adorava i gemelli anche se aveva loro imposto una disciplina degna dell’esercito prussiano.
Entrò, cercando di non fare rumore, voleva soltanto rifugiarsi nella sua stanza ma, implacabile, la voce di suo nonno risuonò:-Wolfango!-
Lo stavano aspettando, volevano sapere com’era andato il primo giorno di Liceo, rassegnato entrò e si preparò all’ interrogatorio.
-Allora, com’è andata?- chiese suo nonno
-Bene- buttò là lui ma non era sufficiente a placare la curiosità dei parenti
-Bene in che senso?- insistette il padre
-Non abbiamo fatto granché, è solo il primo giorno.- mormorò
-E i professori come ti sono sembrati e i compagni?- domandò sua madre, con quella voce dolcissima che lo faceva sciogliere in un mare di tenerezza.
-Mi sembrano simpatici- mentì spudoratamente.
-Ciao a tutti!- la voce squillante di suo fratello salvò Wolfango. La curiosità degli adulti si spostò sulle avventure scolastiche di Amedeo che fu ben lieto di raccontare, con dovizia di particolari, la sua giornata.

martedì 9 settembre 2008

Il tradimento

Capitolo 2


Una giornata schifosa che ne inaugurava tante altre a venire. Wolfango lo pensava mentre camminava sotto quel cielo talmente azzurro che sembrava lo sfottesse, anche il cielo come i dannati compagni di classe.
Rovinava così, accigliandosi e fissando l’asfalto, quei pochi minuti che lo portavano da un inferno all’altro, da scuola a casa e s’incurvava sotto uno zaino ancora leggero e privo dei libri di scuola per non guardare le facce della gente.
Nessuno avrebbe ascoltato i suoi guai, salvo forse suo fratello, sempre gentile e perfetto in ogni cosa, l’invidiabile Amedeo.
Wolfango sapeva benissimo di non invidiare Amedeo, anzi lo ammirava, avrebbe solo voluto essere come lui: perfetto, o almeno capace di sentirsi a suo agio a scuola e in famiglia.
Amedeo era perfetto nel ritmo di quella vita e di quella casa ed era anche il suo più grande amico, gli dispiaceva averlo lasciato indietro ma in quel momento si sentiva come ciò che era sempre stato a lezione di musica: un flauto stonato, fuori tempo.La porta di casa gli si parò davanti interrompendo quella cascata di pensieri. Lasciate ogni speranza o voi che entrate.

sabato 6 settembre 2008

Il tradimento


Capitolo 1

-Wolfango, ma che cavolo di nome è!?- disse uno. Gli altri iniziarono a sghignazzare, come sempre accadeva quando lui diceva il suo nome.
Lo sapeva già, sarebbe stato, a causa di quel suo dannatissimo nome, lo zimbello di tutti gli altri.
Era inutile essere avvenente, era inutile essere bravo, tutti lo avrebbero preso in giro, maschi e femmine.
Era cominciata all’asilo, continuata alle elementari e alle medie e anche adesso, in prima liceo, sarebbe andata così.
Wolfango aveva 15 anni, a scuola era sempre andato bene, in tutto, soltanto in musica era un disastro, non come il suo gemello, Amedeo, che era caruccio quanto lui, andava bene anche in musica, tanto che si era iscritto al Conservatorio, piaceva alle ragazze e, soprattutto, aveva un nome non troppo usuale ma non ridicolo come il suo.
L’ingresso del professore mise fine agli sfottò che ripresero puntualmente durante la ricreazione.
All’uscita lui se li risparmiò schizzando dall’aula a palla di fucile, senza aspettare il fratello, che stava nello stesso Istituto ma in un’altra sezione, e filò velocemente verso casa.

mercoledì 3 settembre 2008

Il tradimento


Questo racconto è nato da un’idea che mi è venuta una mattina, a me le idee vengono ad ogni ora del giorno ma quelle della mattina sono in genere le migliori.
La scrittura, però, non è solo opera mia, ho coinvolto nella faccenda anche la FG, che si è prestata con piacere. Ho coinvolto la FG perché mi serviva una “voce” giovane che sapesse parlare il linguaggio dei giovani e anche perché mi piace scrivere “a quattro mani” con lei.
Perciò, se la storia, che vi proponiamo a puntate (ogni mercoledì e sabato), vi piace attribuitene il merito ad entrambe, se non vi piace considerate che non siamo scrittrici e smettete tranquillamente di leggerla!

Prologo

Wolfango stava immobile Davanti alla porta chiusa della biblioteca.
Il pesante uscio di legno massiccio non gli permetteva di udire nulla di quanto stava avvenendo là dietro, Wolfango poteva solo immaginarselo e se lo immaginava benissimo.
Wolfango aveva compiuto un terribile misfatto, incredibile, inaudito, inimmaginabile. Sapeva che gliel’avrebbero fatta pagare e cara. Avrebbe voluto essere mille miglia lontano, avrebbe voluto fuggire ma i suoi piedi rifiutavano di obbedire al suo cervello, era inchiodato là, davanti al suo destino, davanti ad una punizione che sapeva orribile ma che non avrebbe potuto evitare.Non poteva fare nulla se non ripercorrere con la mente il non lungo cammino che lo aveva portato davanti a quella porta, non poteva far altro che ricordare…e ricordò.

domenica 31 agosto 2008

Finale di vacanze


Quest’ultima settimana di vacanze è stata bellissima: è arrivata Cat a Roma e, insieme, abbiamo fatto molte cose interessanti e divertenti.
Naturalmente, siamo andate a fare shopping! Veramente, più lei che io che già mi ero scatenata a Parigi. Comunque è stato divertente, come sempre.
Abbiamo visitato la mostra sul Quattrocento a Roma, è interessante soprattutto dal punto di vista storico, anche se non ci sono molte opere, il fatto è che a Roma di opere del Quattrocento ne sono rimaste proprio pochine, per il Quattrocento bisogna andare in Toscana o in Umbria.
Abbiamo passeggiato per le vie del centro, ripassandoci le bellezze romane, insieme alla FG, e ci siamo gustate il colore di smalto del cielo romano, quell’azzurro che c’è solo qua, come ben sanno la FG, che a Parigi vedeva il cielo sempre grigio e Cat che in Piemonte lo vede di tutti i colori ma mai color “Della Robbia”, come dico io, cioè di quell’azzurro unico che i Della Robbia usavano come sfondo per le loro ceramiche, cioè, esattamente, il colore del cielo di Roma!
Ieri sera siamo state al Globe theater a villa Borghese. Abbiamo visto “Il mercante di Venezia” nello scenario shakespeariano del teatro in legno. Lo spettacolo era carino e ben recitato, il teatro invece è un po’ scomodo: non ci sono poltrone ma soltanto panche di legno nei palchi e posti in piedi in platea. Nel Cinquecento i teatri erano così. La FG si è bellamente seduta per terra, io e Cat sulle panche. Alla fine dello spettacolo ho dovuto fare qualche esercizio di stretching perché mi si erano addormentate le gambe. Certo all’ epoca di Shakespeare andare a teatro era proprio un atto d’amore per questa nobile arte! Per fortuna che oggi i teatri sono più comodi!
Comunque ci siamo divertite. Peccato che martedì Cat ritorni a casa sua e che io domani ricominci a lavorare. Nel corso di queste vacanze mi sono divertita, ho visto (e gustato) mille cose piacevoli, interessanti, belle, vorrei che le mie vacanze non finissero mai ma non si può, devo lavorare, non sono miliardaria. Comunque mi sono ripromessa (insieme alla FG) di gustarmi la vita anche durante il periodo lavorativo: andremo a teatro, visiteremo mostre, parteciperemo a eventi e conferenze e, quando la FG avrà finito la sua dieta, ce ne andremo a cena a gustarci i piatti tipici della tradizione italiana. Insomma ci ritaglieremo dei tempi e degli spazi per una nostra personalissima “vacanza tutto l’anno".

sabato 23 agosto 2008

In piscina


Tre giorni di piscina hanno lasciato il segno. Nel senso che io sembro Toro Seduto e la FG sembra Geronimo.
Siamo entrambe di carnagione chiarissima e, quando ci esponiamo al sole, facciamo ricorso a costosissime creme solari che, su di noi, si rivelano assolutamente inefficaci.
Almeno io al sole mi ci metto, la FG, quando sta fuori dall’acqua, rincorre l’ombra dell’ombrellone. Il fatto è che la FG, quando vede una piscina, non resiste e ci passa quasi tutta la giornata.
A sera, oltre ad avere le tonalità di un gambero buttato nell’acqua bollente, ha tutti i muscoli dolenti, soprattutto gli addominali. Però si diverte.
Anche io mi sono divertita in questi giorni, sono persino rientrata in acqua, dopo anni di astinenza. Non è che io proprio nuoti, più che altro fluttuo.
Il mio trigemino è arrabbiatissimo e la sera protesta con notevole energia ma io non mi scoraggio, prendo un analgesico ed il giorno dopo ricomincio.
C’è un altro notevole motivo di divertimento in piscina: l’osservazione degli altri.
La piscina è frequentata da varia ed interessante umanità: bambini urlanti, quelli che mia figlia chiama i truzzi, cioè persone che usano un linguaggio privo di congiuntivi e marcato da un pesante accento romano, parlato a voce considerevolmente alta ed utilizzato per trattare argomenti sotto il livello subumano dal punto di vista culturale, sono simpatici i truzzi. Molto naives, raramente teneri. Invece i signori che se la tirano parlando della “barca” non mi stanno simpatici.
Poi ci sono le signore ciccione in due pezzi, fanno tanta tenerezza anche se l’esposizione di chilometri di cellulite non è proprio un bello spettacolo. Le signore ciccione sono comunque meglio delle ragazze magrissime e carinissime che sembrano delle miss… finché non aprono bocca, perché quando lo fanno si ha la certezza assoluta che lavorino in qualche porto come scaricatrici.
Una caratteristica comune a truzzi, signore ciccione, signori con la barca, fanciulle in bikini è che, quando parlano al cellulare, alzano il volume della voce a livelli da discoteca rock e se uno sta leggendo si deconcentra, come capita a me che in questi giorni sto leggendo dei saggi di linguistica di Umberto Eco, roba difficile che richiede attenzione, così ogni tanto devo interrompere la lettura e mi diverto a “leggere” la gente e ad immaginare tante storie, una per ogni persona.

mercoledì 20 agosto 2008

Ancora shopping


La FG mi aveva detto:”Mi servono un po’ di cartoline graziose per il pupo e gli amici francesi”, le ho proposto di andare in centro per acquistarle.
Dovevamo comperare solo quelle ma io mi conosco e conosco anche la FG, così ho portato parecchio contante.
In effetti è servito, vuoi perché le card le abbiamo prese in uno dei più bei negozi di Roma e anche costosissimo vuoi perché, oltre alle card, abbiamo comperato molte altre cose deliziose come un collier e degli orecchini per la FG e dei prodotti di bellezza per me (non che pensi di diventare bella ma mi piace coccolarmi con creme ed unguenti).
Lo shopping è servito a risollevarmi un po’ il morale, infatti sono in piena sindrome leopardiana: le vacanze stanno finendo e io mi deprimo, avete presente il Sabato del villaggio? No!? Va bene non importa tanto ve lo spigherò a breve, purtroppo!
Poi la FG mi ha portato dietro piazza Navona e ci siamo prese una mega-granita alla romana, meglio conosciuta in vernacolo come gratta-checca, lei ha scelto latte di mandorla e cocco, io ho puntato su mandarino e papaia. Una delizia, solo che era gigantesca e mi si è gelata la mano mentre la mangiavo!
Domani mi porta in piscina oppure sono io che ci porto lei? Non lo so, in questo periodo non è molto chiaro chi prende l’iniziativa, diciamo che mi sento come un membro di un’associazione a delinquere, più complice della diabolica FG che genitrice. Sarà che un anno a Parigi l’ha fatta diventare adulta, sarà che io non ho troppa voglia di responsabilità, sarà che la lontananza ha dissolto il legame madre-figlia per crearne un altro più rilassante, non so, so soltanto che quando esco con la FG mi diverto da matti.

sabato 16 agosto 2008

Le fontanelle


La FG è degna figlia di suo padre. In tutto, nel bene e nel male.
Uno dei caratteri ereditari più evidenti in lei è la passione per le fontanelle.
Le fontanelle pubbliche, che i romani chiamano “nasoni” a causa della cannella dalla quale esce l’acqua che ricorda un naso, appunto, sono una caratteristica di Roma. Solo noi ce le abbiamo. A Parigi se uno ha sete l’ acqua se la deve comprare, al non molto modico prezzo di € 4 la bottiglietta.
A Roma, romani e turisti possono bere gratis alle fontanelle!
Ora, la FG, quando vede una fontanella, non sa resistere, a quanto pare, le si sviluppa una sete intollerabile. Si avvicina alla fontanella e compie il rituale: tappa con il dito la base della cannelle e beve dallo zampillo che esce dal buchetto apposito.
Naturalmente si bagna (i romani dicono “se fracica”) tutta e inzuppa tutto quello che la circonda per un raggio di alcuni metri, perciò io, che lo so, mi tengo a distanza di sicurezza.
Se sul suo cammino incontra dieci fontanelle, la FG si ferma e beve a tutte e dieci, con gran piacere di chi è con lei.
Ora voi mi chiederete: ma che centra tutto questo con l’ereditarietà?
C’entra e come!
A quanto pare, il padre della FG, da piccolo era anche lui un appassionato cliente delle fontanelle, a tal punto che i suoi genitori, quando uscivano con lui, studiavano appositi itinerari e facevano talvolta lunghe deviazioni per evitare di incontrare le fontanelle e per evitare di riportarsi a casa un ragazzino completamente fradicio.
Se non è ereditarietà questa!?

mercoledì 13 agosto 2008

Uno scherzo


Eravamo a Firenze con le figlie. Avevamo pranzato, benissimo, nella solita trattoria. La FG,che all’epoca aveva nove anni e non beveva alcolici, aveva preteso di chiudere il lauto pasto con i cantuccini e il Vin santo. Uscimmo allegri dal ristorante e ci avviammo verso l’albergo, decisi a prenderci un espresso in un vicino bar.
L’ insegna del bar recava anche la pubblicità di una marca di caffè. Il Caffè Essse. Proprio così: con tre “S”.
La FG, che già allora aveva attitudine per la linguistica, ci fece rimarcare quello che a suo giudizio era un grave errore di ortografia.
E allora ci scattò dentro un sadico desiderio. Io, con l’aria più tranquilla del mondo, le risposi:-Ma che dici? Guarda che hai letto male, là c’è scritto “caffè esse” con due “S”-
La FG mi guardò male poi chiese conferma al padre di quanto sosteneva ma evidentemente non sono solo io la bastarda dentro perché anche lui sostenne la mia tesi, rincarando:-Ho paura che il Vin santo ti abbia ubriacata-
La FG, non troppo convinta, si rivolse alla FI per avere appoggio e sostegno ma la FI è la regina dei bastard inside e confermò con assoluta serietà le parole di noi genitori.
A questo punto la FG si preoccupò, non tanto per l’ortografia ma perché il Vin santo le era piaciuto parecchio e temeva che non le avremo più permesso di berlo, cosa che, ovviamente, ci guardammo bene dal fare.
La verità gliela dicemmo anni dopo e quel che ci disse lei non ve lo racconto perché, sebbene linguisticamente corretto, è eticamente riprovevole anche se assolutamente meritato!

sabato 9 agosto 2008

Alle quattro di mattina


Oggi scrive la FG:
Riordinavo i miei vari scartafacci quando mi è apparsa dalle nebbie polverose del cassetto una pagina di diario.
Diario che tenevo a 9 anni in orrida grafia e mediocre ortografia.
Diario segreto ovviamente.
Era telegrafica e diceva: “Oggi mi sono svegliata e ho messo su il caffè, papà mi ha ripescato e rinfilata a letto ma ho finalmente visto le luci del night.”
Non ho dovuto decifrare quell’appunto ho rivisto tutto esattamente com’era mentre ridevo come una pazza.
Ho rivisto una bambina che si alzava sperando che fosse buio, prendeva rumorosamente uno sgabello, incurante del trascorrere del tempo, caricava, con gran dispersione di polvere una moka per due persone (il caffè mi era negato), volendo fare una sorpresa ad un povero padre costretto, da pigrissima moglie, a fare lui il caffè “tutte” le mattine.
Mi sono rivista mentre scivolavo, o meglio evitato per un soffio di cadere dallo sgabello e mettevo con un lieve “tin” la macchinetta sul fornello senza accenderlo, lo avrebbe acceso poi papà.
Iniziava per me il mio momento: mi infilavo sotto la serranda semi-abbassata e cercavo con gli occhi o l’alba o qualcosa della notte che mi interessava molto: eravamo in vacanza in un paese di mare e abitavamo davanti ad un Night—Club, che non sapevo esattamente cosa fosse ma avevo visto la sua insegna al neon sistematicamente spenta perché all’epoca mi mandavano a letto abbastanza presto.
Mi svegliavo sempre all’alba ed era sempre spenta quella maledetta insegna.
Ma quella notte, a mia insaputa, Morfeo mi aveva lasciata perdere alle quattro del mattino, forse anche un poco prima, così vidi e mi incantai davanti all’insegna al neon rosa che si alternava con un’altra insegna al neon azzurro, come nell’America di Sister Act.
Mentre una tondeggiante principessina in camicia da notte si appoggiava sui gomiti, rapita dal neon, un gattescamente silenzioso padre, alquanto disperato, le appariva alle spalle chiedendosi, come sempre, un accorato “perché?!?!”.
Senza neanche osare un rimprovero che avrebbe turbato il dolce silenzio della notte e provocato un interminabile dibattito, insostenibile per lui che si era strappato al letto in stato di semi-incoscienza, il padre in questione mi agguantò e mi rinfilò nel mio letto.
Poi tornò nel suo, accanto alla sua ignobile moglie che, ignara di tutto, continuava beatamente a dormire il sonno del giusto.
Io non capivo, perché mi doveva riportare a letto? Ma come un Belluca di Pirandelliana memoria che sente che “il treno ha fischiato” mi buttavo, pazza di muta gioia, sul letto pensando che quelle luci brillavano. Davvero.

mercoledì 6 agosto 2008

Passeggiate romane 2


Con la FG siamo andate a ripassarci un po’ di Roma in notturna.
Quanto è bella questa città! Anche d’estate, con il caldo d’ Agosto, ti intriga nella sua magia.
Niente grands Boulevards ma vie e viuzze da dove puoi vedere solo un pezzetto di cielo pieno di stelle e senza una nuvola. Poi, all’improvviso, ti appare il frontone del Pantheon, quello vero, degli antichi romani, oppure la mole illuminata di Castel Sant’Angelo che si specchia nel Tevere, silenzioso e pieno di colori, altro che la Senna!
E poi, alzi gli occhi sui palazzi illuminati dei principi romani, ti incanti davanti alle rovine dei fori romani, sogni con Bernini e Borromini, mentre ti gusti una granita, a piazza Navona.
La FG era felice e anche io, un chitarrista di strada suonava musica moderna ma io nella testa avevo le note della Tosca: E lucean le stelle.
Questa città, nonostante tutti i suoi guai, di igiene e viabilità, l’indecente amministrazione di chi la governa e l’ha governata, la maleducazione dei suoi abitanti, resta sempre una città magica, troppo bella per soccombere al tempo e io mi sentivo, come sempre quando vado a spasso per le sue strade, parte del tempo e della sua storia pluri millenaria.

sabato 2 agosto 2008

La nuvoletta


Quando in cielo vedo una nuvoletta bianca e vaporosa io me li immagino lassù.
Pietro, Claudio e il Professore.
Tre persone meravigliose che mi hanno lasciato troppo presto.
Tre colleghi, tre amici.
Claudio, grosso, barbutissimo, estroverso, dotato di una dialettica trascinante ma capace di ascoltare i problemi degli altri, soprattutto dei suoi allievi, dei suoi figli sarebbe meglio dire.
Pietro, magro e non molto alto, spesso silenzioso (ma che battute fulminanti, quando parlava), ascoltatore perfetto, osservatore acuto, adorato da tutti, parenti, amici, alunni che ne riconoscevano la superiorità intellettuale e morale.
Claudio e Pietro, così diversi, erano diventati amicissimi, si completavano, a guardarli sembravano Stanlio e Ollio ma a conoscerli te ne innamoravi.
Entrambi ammiravano il Professore, lo consideravano un vero maestro.
E lo era, un grande maestro, il Professore. Alto, magro, sulla sua faccia un po’ triste due occhi, incredibilmente turchesi, conservavano tutto lo stupore e la meraviglia di un bambino.
Alle domande, di allievi e colleghi, rispondeva sempre con altre domande, solo che, poi, era facilissimo, riflettendo su quelle domande, trovarsi da soli le risposte.
Ecco, io me li immagino così: tutti e tre sulla nuvoletta, a guardare giù, a discutere su qualche problema misterioso di fisica o di chimica, ad osservare quello che succede sulla terra, a commentare i nostri gesti e i nostri pensieri.
E immagino Claudio che si lancia in infocate orazioni critiche, Pietro che analizza con lucida ironia e il Professore che, tacendo, scuote la testa e sorride coi suoi incredibili occhi turchesi.
Anche io vorrei stare con loro su quella nuvoletta.

mercoledì 30 luglio 2008

Ordine


La Francia ha compiuto un miracolo!
HA reso la FG ordinata!!
Cioè, insomma, non proprio ordinata, per lo meno, non come intendo io che, però, sono maniaca, diciamo che è migliorata parecchio.
La FG era la dimostrazione vivente del Caos primigenio, del brodo primordiale, nei suoi cassetti, sui suoi scaffali, tutto si fondeva e si mescolava in un unicum nel quale era impossibile ritrovare i singoli oggetti, che, naturalmente, tornavano ad assumere una loro propria identità soltanto quando si era ormai proceduto all’acquisto di una copia conforme.
Ebbene, da quando siamo tornate, ormai da oltre dieci giorni, la FG sta riordinando. Tutto. Scaffali, cassetti, scrivania, contenitori.
Quando usa qualcosa, qualunque cosa, invece di lasciarla dove capita, com’era suo costume,…la rimette al suo posto!
Non credo ai miei occhi, diciannove anni di prediche mie non avevano ottenuto risultati, dieci mesi di vita da sola e guardate che meraviglia.
Ovviamente sono al settimo cielo e spero solo che la faccenda duri nel tempo.
Ho raccontato la novità a mio cognato che mi ha suggerito di spedire a Parigi anche la FI ma gli ho risposto che sarebbe inutile: la FI è assolutamente in grado di mettere in disordine anche una città ordinata come Parigi, la FI è paragonabile ad un’esplosione nucleare: dove passa lei restano abbondanti macerie e polvere.
Accontentiamoci che almeno una delle due abbia imparato!

sabato 26 luglio 2008

I fuochi d'artificio


Ero fidanzata con colui che poi sarebbe diventato mio marito. Per Pasqua decidemmo di andare in Sicilia a trovare suo fratello che viveva lì.
Andammo e tornammo con il treno perché io, allora, non sarei salita su un aereo nemmeno sotto minaccia armata (ci voleva la FG per farmi fare questa esperienza!).
La vacanza fu piacevole, i cannoli siciliani e gli arancini di riso erano squisiti, il barocco siciliano non mi piacque: le chiese sembravano tutte cassate siciliane, quelle con la glassa bianca e i confettini argentati.
A ritorno il treno arrivò alla stazione dalla quale dovevamo partire con un’ora di ritardo e continuò, implacabilmente ad accumulare minuti, oltretutto era strapieno perché molti, come noi, tornavano dalle vacanze pasquali.
Noi non eravamo preoccupati, avevamo avvertito i genitori (prima di partire perché a quei tempi i cellulari non c’erano proprio) di possibili ritardi ed eravamo tranquilli.
Mentre il treno, ormai a tarda notte, percorreva la piana di Napoli vedemmo in lontananza dei bellissimi fuochi d’artificio che, evidentemente, celebravano il Santo patrono di qualche località della zona, ci precipitammo tutti ai finestrini per ammirare lo spettacolo che fu abbastanza lungo e meraviglioso. Il treno si era fermato e così potemmo vedere tutto con agio.
Al termine dello spettacolo io esclamai:”Che bello! Meno male che il macchinista ha fermato il treno, così abbiamo potuto gustarci tutto!”
Poi guardai il mio futuro marito e vidi nei suoi occhi lo spavento, anzi il panico vero e proprio. Non capii finché non osservai anche gli altri viaggiatori: nei loro occhi c’era di tutto, dallo sconcerto alla rabbia, dall’ incredulità all’odio.
Arrossii profondamente e, scortata dal mio fidanzato che mi sussurrava all’ orecchio che una signorina di ventotto anni dovrebbe pensare prima di parlare, tornai al mio posto.
Tenuto conto che viaggiavamo con circa cinque ore di ritardo, era comprensibile che la mia frase avesse destato in molti sentimenti omicidi.Ma io che ci posso fare? A me i fuochi d’artificio piacciono da morire!