Il naso di Cyrano: 2007

lunedì 31 dicembre 2007

Di nuovo a Parigi 2


Stamattina mi sono svegliata con il classico mal di testa parigino, il letto dove dormo quando abito dalla FG è una faccenda diabolica, comunque nulla che non si potesse risolvere con 30 gocce di analgesico, infatti le ho ingurgitate e dopo mezz'ora ero pronta per il tour de force di questa mattina: il Louvre.

La FG deve dare un esame di Storia dell'arte e doveva visionare i ritratti presenti nel famoso museo parigino di David, Ingres e Prud'hon, così abbiamo preso il metrò che ci ha portati proprio dentro al museo. Non sto scherzando, a Parigi al Louvre si entra anche dal metrò.

Abbiamo fatto diligentemente la fila per il biglietto e poi siamo salite al secondo piano dove ci sono le opere dei pittori francesi e per quasi quattro ore è stata una vera goduria: ritratti bellissimi di facce francesi, gente vissuta tanto tempo fa ma che somiglia incredibilmente ai parigini che incontro per strada.

Io e la FG abbiamo dimenticato il tempo e la stanchezza e ci siamo tuffate nei dipinti, guardavamo, commentavamo, condividevamo lo stupore e l' ammirazione. Mi sono resa conto di quanto mi manca questa figlia, da quando è partita visitare mostre e musei è molto meno bello perché non ho nessuno con cui condividere la gioia dalla bellezza. Oggi ho potuto farlo ed ero felice.

Alle due e mezza abbiamo terminato il giro, la figlia era affamata, io avevo voglia di una sigaretta.

Ci siamo avviate per uscire e là mi si è scatenato un attacco di panico! Solo allora mi sono resa conto che eravamo circondate da una folla incredibile di gente, peggio che al supermercato il sabato mattina!

Per fortuna siamo uscite abbastanza rapidamente e siamo tornate a casa non senza aver alleggerito di una discreta cifra la mia credit card per l' acquisto di libri e bijoux.

Abbiamo mangiato insalata e fromage e poi la FG si è messa a studiare e io sono uscita. Da sola. Ormai me la cavo a girare per il quartiere e quanto a farmi capire non ho problemi, parlo in francese e, se non mi vengono le parole, passo all'inglese. Ho comperato le tartelettes per domani e il pane.

Stasera ceneremo in brasserie e poi andremo in giro a vedere la ville lumiere e i fuochi all'Etoile a mezzanotte.

Domani vi racconto, intanto Buon anno, anzi Bonne Année a tutti.

domenica 30 dicembre 2007

Di nuovo a Parigi 1


Stamattina alle 4.30 è suonata la sveglia.
L'aereo partiva alle 10.00 (o meglio doveva partire alle 10.00)

Ma per raggiungere Ciampino, fare il check-in, fare l'imbarco etc. bisogna alzarsi alle 4.30 e questo per me è già un trauma.

L'aereo è partito con mezz'ora di ritardo ma il pilota doveva essere il fratello di Schumaker perchè siamo arrivati a Parigi esattamente nell'orario previsto.

Non ho avuto paura, ormai son una abituée e poi avevo una sacchettata di nocciole di giffoni ricoperte di cioccolato che mi sono diligentemente sparata in fase di decollo e di atterraggio.

Molto meglio delle pillole contro il mal d'aereo!

Stavolta la FG, su mia richiesta, si è accaparrata due posti vicino ad un finestrino di destra (anche se lei predilige la sinistra), tutte le altre volte in effetti avevo viaggiato vicino ad un finestrino di sinistra e avevo potuto ammirare il Mediterraneo, l'isola d'Elba, Genova e Torino.

Della Francia non ho mai visto nulla perché, appena l'aereo varcava la frontiera, si vedevano solo nuvole.

Stavolta le nuvole c'erano anche mentre sorvolavamo l'Italia però non così fitte.

Così ho visto l'Arno e il monte bianco.

La Francia era sempre sepolta da un piumone di nuvole.

Mi piace guardare dal finestrino dell'aereo. Sembra di sorvolare una cartina geografica.

Di Parigi, per il momento, non posso dire granchè.

Infatti oggi pomeriggio abbiamo più che altro messo a posto un po' la casa della FG e siamo andate a fare la spesa.

La FG ha un albero di Natale piccolo ma con una grande personalità. Si chiama Sapino ed è un alberoccolo, cioè una via di mezzo tra un albero di Natale e un bel cavolfiore addobbato.

Ha anche le lucine che lampeggiano e fanno allegria.

Naturalmente ho già fatto una notevole scorpacciata di fromage sia a pranzo che a cena.

martedì 25 dicembre 2007

Vacanze e cibo


La FG è tornata da Parigi. A modo suo.
Ora vi spiego: doveva prendere l’ aereo sabato pomeriggio, le avevo prenotato il volo a settembre, aveva tutta la documentazione completa di orari.
Ovviamente, è arrivata in ritardo all’ aeroporto e ha perso l’ aereo.
Il fatidico messaggio: “ mamma ho perso l’ aereo “ a me è arrivato mentre stavo andando a Ciampino a prenderla. Sono tornata a casa stanca e infreddolita (pioveva) e non sapevo se piangere o ridere.
Intanto lei, disperata ( si fa per dire ), è riuscita prenotare un volo per domenica mattina presto e, per non perdere anche quello, ha passato la notte in aeroporto.
Io, per il nervoso ho dormito due ore, lei una soltanto.
Lascio a voi immaginare che facce avevamo domenica alle dieci del mattino a Ciampino quando, finalmente, ci siamo abbracciate: Sembravamo due zombie uscite da un film di Dario Argento: colorito sepolcrale, occhiaie da panda, lei anche un odore da profugo.
Appena arrivate a casa l’ ho ficcata nella vasca da bagno e ho avviato la lavatrice con i suoi indumenti.
Io sopporto tutto ma, essendo dotata di un naso che ricorda da vicino quello di Cyrano, non riesco a tollerare la puzza.
Poi siamo andate al ristorante, la FG, che a Parigi mangia cose francesi, non vedeva l’ ora di gustare cibo italiano, sognava supplì e lasagne.
Al ristorante aveva la faccia beata e soddisfatta di chi, dopo mesi di digiuno, può finalmente sfamarsi ( non che a Parigi digiuni, beninteso!). Nel pomeriggio siamo uscite con mia sorella e la FG ha avuto due supplì per merenda, se li è mangiati con espressione estatica.
Per queste vacanze le ho preparato i cibi che preferisce, tutta roba ingrassante e piena di colesterolo, va be’ poi si metterà a dieta, spero.
Ho cucinato sughi e tortini di carne e di pesce anche se io ODIO cucinare; tra le tante attività cui una donna è costretta, questa mi innervosisce proprio, ho sempre paura di sbagliare, di sprecare cibo, di bruciare qualcosa. Due sono le cose che odio di più: cucinare e partecipare ai Collegi dei docenti, io campo di spremute e insalate, accendo il gas praticamente soltanto per fare il caffè, però voglio tanto bene alla FG e così in questi giorni sto cucinando tanto.
Per fortuna il 30 partiamo e a Parigi mangerò quelle meravigliose pietanze delle brasseries e mi sbaferò baguettes ripiene di paté e fromages che non hanno bisogno di cottura!
Tornerò con un po’ di chili di troppo ma non importa, dal sette gennaio: Insalate e spremute d’ arancia!

sabato 22 dicembre 2007

Babbo Natale


Era dicembre. La FI attraversava uno dei suoi periodi di profonda e convinta anarchia.
Aveva tre anni e mezzo ma le sue idee erano già chiare e definite. Soprattutto una: “ Io sono me e non obbedisco a nessuno.” Infatti. La lotta era senza quartiere. Da un lato la federazione dei genitori (noi) con le regole, l’ educazione, le buone maniere. Dall’ altro Lei, sola contro tutto e contro tutti.
Eravamo stanchi, io e suo padre, la mattina ci svegliavamo sapendo di dover combattere una battaglia perduta perché lei non avrebbe mai ceduto le armi. Così ricorremmo ad un’ arma sleale, ricorremmo al ricatto e alla minaccia. Noi, che odiavamo i mezzucci, che, cresciuti a pane e romanticismo, cercavamo sempre di combattere a viso aperto, ci nascondemmo dietro ad un alleato formidabile. Una sera, quando la feroce impunita si rifiutava di mangiare, come tutte le sere, le dicemmo:” Guarda che se continui a comportarti male Babbo Natale non ti porterà nulla.”
Ci guardò, dal basso dei suoi ottanta centimetri, o giù di lì, con aria di profonda commiserazione poi rispose:” Quello? Ma quello ha una tale pazienza! Volete che non me lo porti almeno un regalo di consolazione?”
Avevamo perso! Perso la battaglia ma, quel che è peggio, avevamo perso la guerra. Babbo Natale le portò più di un regalo e lei continuò a comportarsi come le pareva e non ha ancora smesso di farlo.

sabato 15 dicembre 2007

ZERO


La FI aveva tre anni e voleva imparare i numeri. Il padre si sottrasse all’ ingrato compito sostenendo che non avrebbe saputo insegnare ad una bambina così piccola e allora toccò a me.
Insegnare le astrazioni matematiche ad un pargolo non è impresa da poco ma io avevo trovato una strategia efficacissima: i cioccolatini.
Usavo i cioccolatini per insegnare alla FI le quantità e le operazioni, se rispondeva bene poteva prendere i cioccolatini e mangiarseli. Rispondeva sempre bene.
Le addizioni furono un successone, calcolava con la velocità del fulmine e masticava altrettanto velocemente.
Passammo alle sottrazioni. Misi sul tavolo cinque cioccolatini e la invitai a contarli e a dirmene la quantità. Lo fece con facilità. Poi tolsi un cioccolatino e le chiesi quanti ne vedeva. Rispose esattamente ma con un po’ di inquietudine. Ne tolsi un altro e ripetei la domanda e così via. Rispose sempre esattamente ma cominciava ad innervosirsi.
Era rimasto solo un cioccolatino sul tavolo, lo tolsi e le chiesi cosa vedesse.
“Vedo che la sottrazione è una fregatura!” rispose “ Ti sei presa tutti i cioccolatini!”
Le spiegai che quando non ci sono più cioccolatini si dice che il risultato è zero.
“ Zero è uguale a fregatura” urlò “ E stasera lo dico a papà che hai imbrogliato”
La sera a cena la malefica matematica presentò il caso all’ Alta Corte di Giustizia Domestica. Il Supremo Giudice espresse qualche perplessità sul linguaggio di sua figlia, ritenuto non adeguato ad una signorina di tre anni e sentenziò che la spiegazione sullo zero era corretta.
“ Ma se zero è uguale a niente è anche uguale a fregatura” insistette la FI “quindi io ho risposto bene e voglio i cioccolatini!”
Il padre dovette convenire che il ragionamento non era del tutto sbagliato e le diede i famosi cinque cioccolatini che la FI si pappò guardandomi con aria beffarda, poi si alzò dalla sedia, si arrampicò sul padre, gli stampò un bel bacio sulla faccia e se ne andò a dormire soddisfatta mentre lui andava a lavarsi il viso impiastricciato di cioccolato.

domenica 9 dicembre 2007

I dolci di Giannino


Quando le figlie erano piccole andavamo in vacanza a Bagnara calabra.
A Bagnara c’erano due pasticcerie formidabili: in una si potevano gustare granite e gelati fenomenali, poi c’ era Giannino.
Le granite, con la panna me le sbafavo la sera, la mattina, talvolta, andavo a prendermi la brioche con la panna. Però c’ era un problema: ogni volta che ordinavo i commessi mi guardavano meravigliati e, immancabilmente, chiedevano:” Solo con la panna?”. Eh già, perché dovete sapere che a Bagnara nella brioche ci mettono pure il gelato! Ora, io alle otto, nove del mattino il gelato non riesco proprio a mangiarlo, a me la brioche piace con la panna e basta. Così io rispondevo:” Solo panna” e loro me la davano la brioche, però mi guardavano come se fossi un’ aliena.
Il top della pasticceria bagnarota era Giannino, lui faceva un Profiteroles indescrivibile. Non come quelli che fanno qui, Giannino nei bigné ci metteva la panna e poi li tuffava in una morbida crema al cioccolato che non si induriva e rendeva il tutto un cibo paradisiaco.
Il profiteroles di Giannino era il nostro consueto dessert domenicale, amato incondizionatamente da tutti i membri della famiglia.
Il problema sorgeva immediatamente dopo il pranzo, quando occorreva procedere ad un’ accurata e laboriosa ripulitura della FG che, dopo aver mangiato il mitico dolce, somigliava più ad un bigné del profiteroles che ad un essere umano (anche perché da piccola era decisamente rotonda come un bigné). Mani, faccia, capelli, collo erano ricoperti di cioccolato che lei tentava di leccare contorcendosi come un fachiro. L’ operazione di restauro era faticosissima perché la FG adorava il profiteroles ma odiava il sapone, così, mentre il padre la bloccava, io toglievo pazientemente strati di cioccolato tra le urla belluine della piccola delinquente.
Il profiteroles veniva ordinato la domenica mattina alle otto da mio marito che, di solito, al ritorno ci portava le pastorelle.
Giannino faceva buone anche quelle; e grandissime.
E’ strano: a Torino fanno delle paste buonissime ma piccole, piccole, a Firenze sono un po’ più grandi, a Roma crescono ancora di dimensioni e a Bagnara sono giganti.
Il prezzo è inversamente proporzionale alle dimensioni. Chissà perché.
Una mattina mangiammo le paste, poi mi capitò sott’occhio la FI, che all’ epoca aveva sei anni. Le mancava un dente! Era un po’ che quel dente dondolava ma adesso era sparito.
Le chiesi cosa fosse successo e lei rispose che non si era accorta che le fosse caduto e che non sapeva dove fosse.
Capimmo tutto quando mi ricordai che la FI aveva mangiato una pasta ricoperta di granella di nocciole: il dente era caduto e lei lo aveva scambiato per un pezzetto di nocciola e lo aveva ingoiato.
Così ci rimise anche il soldino che il topo dei denti regala ai bambini che ne perdono uno

sabato 1 dicembre 2007

Mi vergogno

Mi vergogno di essere italiana. E’ brutto dirlo ma spesso mi capita. Come oggi: ho appena letto sul televideo che in un paese del vicentino il sindaco ha stabilito che non si debbano assegnare borse di studio a studenti meritevoli che siano, però, extracomunitari.
Ci risiamo, il razzismo non muore mai, uno dei maggiori indici di stupidità dell’ uomo riemerge sempre.
Il sindaco di quel paese forse ha dimenticato ( oppure lo ignora proprio ) che cinquant’anni fa in Belgio, in Germania e in altri Paesi trattavano gli emigrati italiani con questa arrogante violenza.
Non parliamo di quello che succedeva quando, all’ inizio del Novecento gli italiani arrivavano ad Ellis Island negli States.
Mi piacerebbe avere la macchina del tempo e spedirci il sindaco con i figli, se ne ha, negli USA del 1920!
E poi, che vuol dire “extracomunitario? Vuol dire una persona che non proviene da un Paese della Unione Europea. Allora anche Bush è extracomunitario, anche De Niro, Brad Pitt, anche tutti gli altri vip d’ oltreoceano. Pensate che perfino Karol Woityla era extracomunitario poiché la Polonia non faceva ancora parte della UE.
Sapete che farei io, se fossi uno studente di quel paese?
Andrei a protestare, dimostrerei la mia solidarietà ai ragazzi che vengono da altre Nazioni ma che sono uguali a me; se vincessi io la borsa di studio, ci rinuncerei in favore di chi, anche se ha la pelle o gli occhi diversi dai miei, è meritevole quanto e più di me.
Ma questi sono sogni, i ragazzi di quel paese saranno come i loro genitori, razzisti e stupidi.
E allora? E allora non mi resta che vergognarmi.

venerdì 30 novembre 2007

Dante e Benigni


Ieri sera in TV Roberto Benigni ha letto e commentato il V canto dell’ Inferno di Dante e stamattina i miei alunni, ai quali avevo dato come compito di vedere lo spettacolo, mi hanno chiesto perché, prima di farci entrare nella storia di Francesca e Paolo, l’ attore abbia trascorso un’ ora parlando di scandali e figuri della politica, ricorrendo sovente al più orrendo dei turpiloqui.
Io non ho paura delle parole e conosco molte parolacce, non le uso ma le conosco e, qualche volta, mi capita di indirizzarne mentalmente qualcuna a certi personaggi che non mi piacciono.Non ho paura delle parole ma, ieri sera, il linguaggio di Benigni mi ha profondamente disturbato, perciò ho compreso lo sconcerto dei miei ragazzi ma credo di aver trovato una possibile risposta in quello che Benigni ha detto nella seconda parte dello spettacolo.
Nella seconda parte l’ attore ha commentato il testo e poi lo ha recitato a memoria con un’ intensità e una commozione che mi hanno totalmente coinvolto, ha parlato d’ arte, di poesia, di filosofia, di amore e bellezza con un’ intensità trascinante, ci ha portato per mano a conoscere un personaggio, Francesca, la dannata per amore, che non possiamo non amare per la sua dolcezza, la sua cortesia, la sua gentilezza.
Forse l’ attore ha voluto mostrarci le due facce della nostra esistenza: La bellezza della poesia, dell’ arte, dell’ amore da un lato e dall’ altro il fango dell’ ignoranza, della disonestà, della corruzione.
Forse ha voluto dire che noi possiamo scegliere: possiamo accettare un modello impostoci da politica e mass-media, possiamo smettere di pensare ed essere semplici consumatori e acquirenti di prodotti senza sapore oppure possiamo creare la nostra vita con l’ unicità dell’ opera d’ arte.
Forse ha voluto dirci che possiamo scegliere di vivere nella melma o tra le stelle, forse ha voluto dirci che possiamo vivere all’ inferno oppure in paradiso.
Sicuramente ha voluto dirci che dipende soltanto da noi.
Grazie, Benigni

domenica 25 novembre 2007

Forza d' inerzia


La FI, da piccola, aveva due passioni: correre e saltare, sempre e farsi spiegare le cose, preferibilmente dal padre.
Era una ragazzina curiosissima che voleva sapere sempre il perché di ciò che accadeva e noi rispondevamo di buon grado alle sue richieste. Così lei sapeva un mucchio di cose che i bambini della sua età di solito non sanno.
Una mattina andai a riprenderla alla scuola materna. Era da poco nata la FG e io viaggiavo a passo ridotto per il passeggino e per la stanchezza.
La FI, come al solito, correva avanti a camminava sul bordo del marciapiede.
Ad un tratto inciampò e fece un discreto volo, atterrando sui ginocchi.
Io non mi spaventai, la FI era maestra nell’ arte di cadere senza farsi male, era piccola ma aveva già un lungo allenamento alle spalle.
Chi si spaventò fu un uomo che stava camminando poco avanti a me.
Quando la vide a terra, l’ uomo accorse in suo aiuto ma lei si era già rialzata e si stava pulendo i pantaloni all’ altezza dei ginocchi. Lui le chiese se si era fatta male. “No” rispose, poi disse:”Non si preoccupi, è solo una questione di forza d’ inerzia”. Il padre le aveva spiegato, evidentemente, cosa succede quando uno cade.
L’ uomo restò perplesso, io intanto li avevo raggiunti e dissi a mo’ di spiegazione: “Padre, ingegnere”.
“Capisco” rispose lui ridendo e si complimentò con la FI per le sue, notevoli, conoscenze scientifiche

martedì 20 novembre 2007

Riunioni


Io faccio il mestiere più bello del mondo. Quando sto in classe con i miei alunni.
Quando, invece, devo presenziare alle riunioni non penso più che il mio mestiere sia così bello.
Soprattutto non riesco a capire a cosa servano i collegi dei docenti.
Sono trent’anni che partecipo ai collegi ma non li capisco. Si parla di organizzazione della scuola, che magari è anche una cosa importante ma a me sembra che sia tanto lontana dalla didattica, si vota su delibere varie e io voto, si discute su iniziative e altro ma io non riesco ad appassionarmici.
Evidentemente io non so lavorare bene con gli altri, non mi piace assistere agli scontri che talvolta si verificano tra colleghi, ad atteggiamenti che mi sono estranei e che non posso condividere, allora mi sento molto triste e mi viene voglia di abbandonare il mio mestiere ma poi penso che il giorno dopo tornerò in classe e troverò i miei ragazzi e allora torno a sorridere.

La storia che segue l’ ho scritta qualche tempo fa, è del tutto inventata ma serve a spiegare il mio stato d’animo.

Storia di ordinaria follia

–Quest’anno il Ministro dell’ Istruzione ha emanato una circolare che prevede la certificazione delle competenze raggiunte da ciascun alunno…–
La preside continuò a parlare ma nessuno degli insegnanti la ascoltava più. Il primo pensiero che attraversò fulmineo i cervelli dei presenti alla riunione fu: “ E che cavolo! Ogni anno questi se ne inventano una nuova! Ma non gli basta l’ oceano di scartoffie che dobbiamo compilare!”
Poi, qualcuno ricominciò a prestare attenzione e a fare domande.
–Preside, scusi – chiese la Giusti – il Ministero ci darà direttive, moduli prestabiliti? –
–No, professoressa – rispose la preside – dobbiamo approntare tutto noi nell’ ambito dell’ autonomia scolastica–
E qui si scatenò l’ inferno! I docenti erano inferociti alla notizia che non solo bisognava compilare scartoffie ma che era anche necessario inventarsele!
–E’ assurdo che ci venga richiesto un ulteriore carico di lavoro e in tempi così brevi! – esplose la Bellini
– Come possiamo inventarci una documentazione? Io non saprei da che parte cominciare– si lamentò la Giusti.
–Non si tratta di inventare, professoressa– ribatté la preside– sarà necessario consultare la Normativa vigente e operare di conseguenza. –
–Già, la normativa, ma se non c’è nulla, se questi ci dicono che ‘sta documentazione ce la dobbiamo inventare noi! – tuonò la Bellini, furiosa, come sempre.
– Istituiremo una commissione che appronterà quanto necessario– suggerì la preside– chi vuol farne parte? –
– Manco morta! –esclamò, sottovoce la Bellini, esprimendo il parere di larga parte dell’ assemblea.
Nessuno si proponeva e la preside cominciava ad innervosirsi.
– Mio Dio, sarà proprio un bell’ affare! – La Giusti, con voce lamentosa, espresse il pensiero dei residui partecipanti. –
La professoressa Ottieri restava silenziosamente in disparte, mentre la confusione aumentava nella sala e nelle teste dei docenti, pensava:”Volenti o nolenti, la certificazione bisogna farla”. Lei era una che non si sottraeva ai doveri, anche a quelli scemi e fastidiosi come questo, però, era anche una che odiava sprecare il suo tempo ed era abituata ad organizzarsi. Il suo motto era:”Il massimo risultato con il minimo sforzo”. Per questo, lei, che insegnava Lettere e amava la poesia e l’arte, si era messa a studiare informatica, il computer le permetteva di organizzare al meglio il lavoro. “Su Internet troverò certamente materiale” rifletteva tra le urla dei colleghi “ se lo semplifico e lo organizzo bene, potrei creare uno strumento facile e veloce. La cosa più difficile non sarà farlo ma spiegare poi ai colleghi come usarlo!”
–Allora, signori– la preside interruppe le discussioni – chi intende far parte della commissione? –
–Non è necessario istituire una commissione, preside– intervenne la Ottieri – se i colleghi sono d’accordo, me ne occupo io. –
–Meno male, Ottieri organizzerà senz’altro una cosa facile– sospirò, sollevata, la Giusti.
–E figurati se non si metteva di mezzo, quella, la prima della classe! – ringhiò la Bellini.
Commenti vari ravvivarono l’atmosfera della seduta, poi la preside invitò i docenti a votare la proposta della Ottieri.
Il Collegio dei docenti approvò all’ unanimità.

sabato 17 novembre 2007

Nuovo, vecchio, giovane


La FI aveva due anni e mezzo ma sapeva già parlare bene.
Eravamo al bar sotto casa e lei stava coscienziosamente lavorandosi un cornetto con la crema.
Ora devo spiegarvi il termine “lavorandosi”.
La FI non si limitava a mangiare il cornetto, più che altro se lo gustava infarinandosi di zucchero a velo e impiastricciandosi la faccia con la crema, cosicché, al termine delle operazioni, il suo viso era trasformato in una maschera dura e appiccicosa che richiedeva laboriose abluzioni, accompagnate, naturalmente, dalle sue urla belluine.
D’ altra parte, anche e me i cornetti con la crema piacciono molto e anche io non riesco a mangiarne uno senza sporcarmi tutta. Perciò, cosa avrei potuto dirle?
Nel bar c’ era un signore anziano che si stava divertendo un mondo a guardare la FI che si godeva il suo croissant. Ad un certo punto le disse:” E’ buono il cornetto con la crema, vero?”
“Sì” rispose la fanciulla, poi aggiunse:” perché non ne mangi uno pure tu?”
“Mi fa male” ribattè il signore con tono un po’ triste ” io sono vecchio, sai?”
La FI lo guardò con estrema attenzione poi esclamò:” A me non sembri vecchio, a me sembri ancora nuovo” e continuò nell’ operazione di smantellamento della sua colazione.
Il signore anziano la salutò ed uscì dal bar con una faccia tutta felice.

domenica 11 novembre 2007

Questo non è sport

Qualche mese fa ho scritto un post molto triste perché un poliziotto è morto ammazzato davanti ad uno stadio.
Oggi un poliziotto ha ammazzato un tifoso della Lazio in un autogrill.
Non so la dinamica dei fatti, ancora non è chiaro come il fatto sia avvenuto e perché.
Non lo so e neppure lo voglio sapere. Non voglio dare giudizi, non voglio valutare i fatti.
Voglio solo gridare con tutta la forza che ho: Questo non è sport! Questo non ha nulla a che fare con lo sport!
Lo sport è una pratica che fa bene al corpo e allo spirito, di tutti, degli atleti e dei tifosi.
La violenza NON è sport!
Quando faccio ginnastica, esco dalla palestra con in me un senso di benessere fisico e mentale, sono riposata e rilassata.
Quando guardo una partita o una gara, sono tesa ma non nervosa, e alla fine, se i miei beniamini hanno vinto sono felice.
Lo sport io lo trovo nel fare bene i miei esercizi di ginnastica, negli azzurri che alzano al cielo la coppa del mondo, nella faccia pulita di Paolo Bettini che ci regala il campionato del mondo di ciclismo, nelle rosse della Ferrari che, contro tutto e contro tutti, incredibilmente e lealmente vincono il campionato marche e il campionato piloti, nei miei alunni che mi raccontano, un po’ tristi, che hanno perso sei a uno contro un’ altra squadra di ragazzini. Sono un po’ tristi ma, in fin dei conti, sono anche sereni perché sanno di aver giocato secondo le regole.
Questo, per me, è lo sport.

venerdì 9 novembre 2007

I Cosi


Questo coso non so cosa sia ma mamma e papà ne hanno sempre uno tra le mani.
Certe volte io vorrei giocare con loro ma loro non possono giocare perché hanno a che fare con il coso.
Certe volte, invece, lo posano e giocano con me.
Di quei cosi ne hanno tanti, grandi e piccoli, anche di colori diversi.
Allora un coso è fatto più o meno così: è formato da tanti fogli di carta sottili che stanno dentro una specie di scatola di cartone colorato, però la scatola non è chiusa, ci mancano tre lati. I fogli sono appiccicati alla “scatola”. Sulla scatola, certe volte, c’ è una figura e ci sono dei segni. I fogli non sono puliti, sarebbero bianchi ma sopra ognuno ci sono tanti piccoli segni neri che a me sembrano le formichine in fila. Sul primo foglio i segni sono molto più grandi e sono pochi.
Certe volte tra i fogli con le formiche ci sono fogli con le figure però non tutti i cosi hanno le figure.
Mamma e papà i cosi li chiamano libri e dicono che dentro ci sono tante belle storie come le fiabe che raccontano a me.
Dicono che i libri li scrivono gli scrittori per fare felici le persone che li leggono. Dicono che leggere significa capire le storie nei libri. Dicono anche che, quando sarò grande e andrò a scuola, anche io imparerò a leggere e capirò le storie nei libri ma io preferisco che le storie me le raccontano mamma e papà non i cosi!

sabato 3 novembre 2007

Una mamma a Parigi parte seconda


La Fg, da buona grafomane, continua a scrivere


Mia madre che è risaputamente negata per i PC, ha una spiccata vocazione per gli elettrodomestici.

Soprattutto tv e termosifone che, coadiuvati da un mio incessante trasporto di bicchieri d''acqua, la sera, costituiscono a Roma i suoi momenti di relax.

Io credevo che il mio termosifone qui a Parigi fosse morto.

Ucciso da una pulzella cowboy americana che mi ha preceduto come inquilina nei miei attuali sei metri quadri.

ho provato a farlo funzionare in ogni modo, senza esito, cominciavo a pensare seriamente al possibile acquisto di un defibrillatore, sperando che il metallo avesse un cuore; non avevo però preso in considerazione un piccolo pezzettino di plastica bianca a scorrimento, anche detto interruttore regolatore.

Mia mamma lo ha identificato in un nano secondo, con un semplice gesto del dito indice ha mosso il suddetto pezzettino di plastica e ha resuscitato il termosifone che, ora, riscalda ed in più mi asciuga il bucato.

Veniamo alla tv: schermo 6 pollici ad essere buoni, unico pulsante, naturalmente quello di accensione accuratamente nascosto, telecomando consistente in una rondella anni '60 posta alla base dello schermo, antenna estraibile (nel senso che viene via se non ci si sta attenti), colori Bianco e nero.

Mai avrei pensato che quel maledetto aggeggio paleolitico potesse non funzionare perché non trovavo il pulsante di accensione. Del resto un televisore serio il pulsante lo ha sul davanti.

Ho smanettato , per notti e notti., levette e rondelle varie che, ho scoperto oggi servono solo a rendere lo schermo un insieme di puntini grigi

Lei, immediatamente ha capito che il pulsante di accensione era dietro. Quando le ho chiesto come aveva fatto ad individuarlo mi ha risposto laconicamente “è rosso” di fatto il pulsante è rosso e cicciotto come quelli che nei telefilm e nei cartoni animati fanno esplodere le astronavi.

Sarà per questo che le tecnologie odierne, dove i pulsanti rossi sono quelli da NON toccare le riescono alquanto misteriose?

Dopo aver risolto il mistero degli elettrodomestici paleolitici ci siamo recati a fare la spesa.

Devo comprarle i pattini.

Così va veloce quanto il carrello della spesa che riesce a far correre già adesso come una ferrari.

Mia madre a Roma detesta fare la spesa.

Io mi ci diverto. Lei no.

Qui ha scoperto il Monoprix.

Anche detto il supermercato di chi si tratta moolto bene.

Il settore cartoleria è un Picasso di colori coi glitter, Il settore alimentari consente la semplice sopravvivenza o un pasto da gourmet, il settore bricolage offre un percorso labirintico tra viti, chiodi, attrezzi, colle, nastri adesivi di ogni forma, colore e dimensione.

Mia madre è rimasta senza fiato, poi si è entusiasmata e scatenata.

Abbiamo comprato di tutto, così adesso finalmente i mie sei metri quadri sono perfettamente attrezzati.

Mia madre dichiara di adorare il monoprix, eccetto la porta, girevole naturalmente.

Una mamma a Parigi


Oggi scrive la FG.

Una mamma a Parigi.


La mia mamma.

Che ama mangiare schifezze o cose ottime ma mangiate alla zozza.

Alla zozza vuol dire a mano. Non proprio con le dita ma ci siamo quasi.

Menù, con variazioni tematiche nei vari giorni:

Fette di Baguette spalmate con patè di fegato di maiale, Salame piccante made in Spain (anche se siamo a Parigi), Formaggio morbido di capra, Il Camambertone nazionale (versione economica), crema d'anatra al porto, patè di campagna che non si sa bene cosa sia ma di certo è di maiale, molto grasso e molto buono.

Mia mamma prima di venire a Parigi era magra.

In due giorni ho trasformato radicalmente la sua linea ma tanto, tra due giorni, lei torna a Roma.

Il che assicura dieta riparatrice insalatosa.

Conclusione del pranzo/merenda/ cena/ colazione?

tartelette, ovvero pasticceria sopraffina ai seguenti gusti:

pera cioccolato, arancia cioccolato, crema di banana, caffè, cioccolato puro.

Sfiziature night and day: biscotti alla pasta di mandorle o qualsiasi altra cosa.

Il tutto accompagnato da mugolii di autentico piacere.

Annaffiamo occasionalmente con birra.


Poi ci si dedica al bricolage.

Combattimento corpo a corpo di una professoressa piccola ma tosta contro sportelli che cadono e zampe di tavoli che piombano giù nella notte.

Armi: viti, cacciaviti, succhielli e, soprattuto, stecchini e vinavil: l'arma segreta del generale mamma, lei con uno stecchino e il vinavil ripara qualsiasi cosa.

Riempie il buco che non vuole accogliere la legittima vite con battegliero cipiglio, usando l'arma segreta; lanciata un occhiata di sfida alla vite la preme sulla mistura cementante e la avvita con la forza di un panzer tedesco, anche se lei al massimo è un panzerotto (ripieno fornito dalla ditta), sentendosi come il generale Kutuzov contro Napoleone, visto che la porca vite è una vite Francese.

E, come Kutuzov, lei vince sempre.

Cammina tanto e nello shopping è talmente travolgente che ho serie difficoltà a tenere il ritmo: io mi perdo le scale mobile, lei corre, verso il settore sbagliato, con una velocità da topo in fuga; poi, se la ritrovo, la riconduco, alla mia velocità un po' più modesta, verso il settore giusto.

Voglio un teletrasporto.

Persino coi pacchi riesce a scattare verso il negozio successivo.

Stamattina avevo lezione e l'ho lasciata a piede libero per un'ora e mezza. C'è da dire che ero seriamente preoccupata, perché con il francese non se la cava molto bene e offendere un commesso qui è facile.

Quando sono uscita da Sorbonne l'ho trovata allegra e pimpante con due buste per mano, pien degli acquisti che, in novanta minuti era riuscita a fare.

La carta di credito più veloce d'Europa.

Nel pomeriggio l'ho vista affrontare una porta girevole.

Mamma e la porta girevole vuol dire: un essere infagottato in un cappottone blu, carico di pacchetti, e dotato di cappellino cloche blu (pura lana vergine) che in un secondo perde la sua baldanza e, con sguardo intimorito e passo da pinguino, segue la porta girevole col naso appiccicato al vetro davanti per paura di essere inseguito dal vetro posteriore.

Credetemi è uno spettacolo unico, infinitamente grazioso e decisamente comico.

Stasera l'ho portata a Montmarte.

Intimorita che la faccenda si risolvesse in un “Aurora ho freddo, non c'è nulla da visitare”.

Invece le è piaciuto:

ha detto che è un posto carino... perché non sembra Parigi.

S'intuisce che a lei Parigi, cibo a parte, non piace. Dice che è una città arrogante che sbatte in faccia al visitatore la sua grandeure.

Montmartre le è piaciuto proprio perché sembra un paesino con le sue viuzze strette e serpontose.

Ma il pezzo più divertente è stato l'arrivo.

Opportunamente avvertita l'esimia genitrice che avremmo preso un'ascensore, lo abbiamo preso, senonché la suddetta genitrice ha visto, nella sua ottica di essere umano prorompente ma formato mignon, un corridoio con una porta davanti ed una dietro appena oltrepassata, pieno di gente e le due porte che si chiudevano modello trappola e mi ha chiesto piuttosto preoccupata perché ci avevano imprigionato.

Riavutami dalla sorpresa (la mia mascella stava per toccare terra) le ho pazientemente spiegato che quello era l'ascensore, portata 70 persone e che stavamo salendo.

Essendo comunque di fronte a mia madre non le ho dato quelle carezze sulla testa che normalmente uso con i colleghi molto ingenui, l'ho abbracciata mente schiattavo dalle risate.

Essendo noi nel nordeuropa, dove il contatto fisico è un utopia, i presenti si sono girati a guardarci basiti.

Poi il fuoco d'artificio mamma si è autosparato per le vie di Montmartre alla infruttuosa ricerca di un cappellino blu, colore dichiarato fuori moda a Parigi, cioè bollato a fuoco nel mondo dei normali negozi di vestiario.

Ha comprato altre cose ma il cappellino no. Domani seconda parte di: “alla ricerca del cappellino perduto”

giovedì 1 novembre 2007

In viaggio


Il 31 ottobre 2007 verso le 20.00 ero all'aeroporto in attesa d'imbarcarmi sul volo per Parigi.

Intorno a me altri passeggeri attendevano, il volo che, ovviamente, era in ritardo.

I francesi erano pochissimi, molti gli italiani.

Le donne avevano l'aria soddisfatta di chi sta per intraprendere un piacevole viaggio, come pure alcuni uomini dall'accento palesemente settentrionale.

Poi c'erano gli altri: avevano queste lo sguardo sperduto di chi si domanda perché è lì, le facce tesissime come se si sentissero traditori di una causa giusta, nei loro occhi domande inseguivano domande: “perchè non sono là? Come andrà a finire?” erano i romani.

I romani pensavano al Derby.

Quella sera c'era la partita di calcio Roma-Lazio.

I romani erano all'aeroporto, non allo stadio, non davanti alla televisione a fare il tifo, erano all'aeroporto al seguito di mogli smaniose di fare shopping a Parigi e di figli invasati all'idea di euroDisney.

Salimmo sull'aereo, i romani erano sempre più mesti e nervosi.

Non ci fu neppure la solita rissa per aggiudicarsi i posti vicino al finestrino (era un volo low cost senza posti assegnati).

Gli stwearts diedero il loro benvenuto multilingue e portarono a termine la lunga tiritera su cosa fare in caso di emergenza.

Partimmo con un'ora di ritardo.

Una signora, non più giovane, chiamò lo stewart e, in un francese piuttosto stentato, lo pregò di farle sapere, qual'ora fosse stato possibile averne notizia tramite radio, il risultato della partita roma-lazio, che si sarebbe conclusa verso le dieci e trenta di sera.

Lo stewart, gentilmente, rispose che ne avrebbe parlato al pilota.

I passeggeri che udirono guardarono meravigliati la signora, un accenno di sorriso (lei aveva fatto la domanda che loro non avevano osato fare) si gelò sulle loro labbra.

I romanisti si chiesero: “sarà della lazio?”, i laziali dubitarono “mi sa che è romanista”

Alle dieci e trentasei il pilota comunicò ai passeggeri che il Derby si era concluso con la vittoria per tre a due della roma sulla lazio.

I romanisti presenti esultarono ma con un certo fair play, i laziali tacquero, con MOLTO fair play.

La signora che non parla molto bene il francese e che è una tifosa interista ero io.


domenica 21 ottobre 2007

Campioni del mondo


Oggi Raikkonen, Massa e tutti quelli della FERRARI hanno realizzato l’ incredibile.
Se qualcuno ancora ne dubitava ormai può stare sicuro: “ Siamo i più grandi”.
La Ferrari ha vinto il campionato più difficile della sua storia, hanno dovuto lottare contro tutto e contro tutti. La cosa più bella è che lo hanno fatto, al contrario di altri in modo leale e pulito. Gli altri, invece, visto che non potevano competere con quelli di Maranello, sono ricorsi ai trucchi, agli imbrogli, alle spiate, anche a tentativi di diffamazione. E’ stato inutile: siamo i più grandi e stasera festeggiamo, con il sorriso che abbiamo trattenuto in queste ultime gare, non per sfiducia nel team ma perché, come al solito, dietro lo sport ci sono interessi economici troppo grandi e troppo pericolosi per giocare onestamente. Avevamo paura che gli interessi prevalessero, avevamo paura che, ancora una volta, lo sport fosse oscurato da maneggi alieni.
Invece stasera abbiamo visto vincere lo sport, è stata una gara perfetta quella della FERRARI, i piloti, i tecnici, gli ingegneri, tutti hanno funzionato alla perfezione. Il team era una macchina ben oliata, perfettamente funzionante e alla fine abbiamo sorriso, finalmente! Io, veramente, oltre a sorridere ho anche urlato, un urlo liberatorio, troppo a lungo represso, che alla fine è uscito fuori a cantare la rivincita dello sport che piace a me, quello pulito. Tutti cantavano, sorridevano e si abbracciavano in Brasile, solo Raikkonen restava serio e composto, ad un certo punto , durante l’ inno, ha fatto un microsorriso, più che un sorriso sembrava una smorfietta beffarda che sembrava diretta a tutti quelli che hanno ostacolato in tutti i modi possibili la FERRARI, ecco quella smorfia io la condivido in pieno e con me, credo, tutti i tanti ferraristi che stasera se ne andranno a dormire finalmente felici

domenica 14 ottobre 2007

Fotoromanza


Io e Lui ci conoscemmo ad un corso di formazione. Eravamo tutti e due precari e stavamo preparando il concorso per l’ immissione in ruolo nelle Scuole statali.
Non eravamo proprio due ragazzini, Lui era una persona seria e giudiziosa, io ero seria ma non troppo giudiziosa.
Ci innamorammo così, sui libri. Fu un amore più di testa che di cuore, all’ inizio, poi fu passione forte e vera.
Io lavoravo di mattina, Lui di pomeriggio. Alle cinque Lui finiva le lezioni, lo raggiungevo, andavamo a casa sua e ci mettevamo a studiare. Tra un libro e l’ altro erano baci, carezze e coccole.
E musica.
Tutti e due eravamo stonati ma la musica ci piaceva. Io suono il flauto e adoro la musica lirica, lui la lirica l’ odiava da quando aveva sei anni e i suoi genitori lo portarono a vedere un’ opera.
Lui amava i cantautori.
Sentivamo Gianna Nannini, allora era in vetta alle hit Parades con Fotoromanza, tutti i ragazzi la cantavano e io pensavo che davvero il mio amore “era un palazzo che brucia in città”.
Lo amavo sempre di più, era un crescendo, ogni giorno scoprivo in Lui aspetti che mi appassionavano. Era il primo uomo che amavo e quel mio amore era bello ma faceva un po’ male, mi spaventava, era davvero “una lama sottile” ma non ci avrei rinunciato per nulla al mondo.
Studiavamo fino all’ una di notte, poi Lui mi riaccompagnava a casa. Con la macchina del padre, una Ritmo che non aveva climatizzatore e il riscaldamento era rotto.
Tutti e due fumavamo come dannati e io ero e sono freddolosa. Quell’ inverno viaggiavamo con i finestrini chiusi, e quando arrivavamo sotto casa mia io canticchiavo:” Quest’amore è una camera a gas.” Allora Lui mi baciava e io, che già faticavo a respirare, rischiavo di morire soffocata. Ma mi piaceva da matti.
Una sera mi baciò, più a lungo e più appassionatamente del solito, poi mi disse:” Ci sposiamo.”
Così. Non me lo chiese, me lo disse, semplicemente. Era disarmante. Gianna Nannini cantava:” Quest’ amore è’una fiamma che esplode nel cielo” e io la vidi la fiamma nel cielo, anche se in quel momento sulla testa avevo il tettuccio della vecchia Ritmo.
Ci sposammo e in chiesa risuonavano note adeguate all’ avvenimento. Ma io non le ascoltavo, nella mia testa la marcia nuziale me la cantava Gianna Nannini

mercoledì 10 ottobre 2007

Spedizione postale


Questa cosa l’ ho scritta un po’ di tempo fa, è un divertissement, i personaggi sono tratti tutti da opere letterarie, potete divertirvi a riconoscerli.

Spedizione postale

Margherita timbrava ormai da ore pacchi e raccomandate e intanto pensava al vestito della figlia Carlotta e alla divisa da terzino di Albertino, suo figlio, doveva ricordarsi di stirarli. Pensava anche a quanto irragionevole fosse suo marito Giovannino, infuriato perché lei aveva riempito l’appartamento di bottiglie di salsa di pomodoro fatta in casa, un bel risparmio, no? Se poi qualche bottiglia era esplosa mica era colpa sua!
Fu richiamata bruscamente alla realtà da una voce irata che chiedeva:– Cos’è questa puzza? –
Margherita conosceva l’uomo che aveva parlato: alto, magro, sarebbe stato bello se non avesse avuto un enorme naso che gli deturpava il volto.Si chiamava Cyrano e veniva ogni giorno con un pacco di raccomandate da spedire tutte allo stesso indirizzo, quello di una certa Roxane.
­ Ma gentile signore– intervenne un signore anziano,corpulento che indossava delle ghette – Io non direi che è proprio puzza, piuttosto lo definirei un odore alquanto pungente–
–Per me è puzza e anche insopportabile, caro signor..? –
–Pickwick– rispose quello inchinandosi cortesemente.
La gente in fila cominciò ad annusare l’aria, soltanto due donne sembravano non accorgersi di nulla, tutte prese dai loro discorsi, una stava dicendo all’altra: – Mia cara Agnese, quella donna è una bugiardona! – l’altra replicò: –lo supponevo ma non potete sapere quanto mi è dispiaciuto non sapere tutta la storia per poter ribattere, cara Perpetua. –Perpetua iniziò a raccontare di antichi amori di gioventù mentre l’agitazione nella fila aumentava.
–Pardon, signori, credo che sia necessario avviare un’ indagine per determinare l’origine e la natura di questo fenomeno. – disse un ometto con baffi e capelli neri e con uno spiccato accento francese.
–Anche voi siete francese monsieur? – domandò Cyrano – Non, monsieur, je suis Belga, il mio nome è Hercule Poirot. – rispose l’uomo. – Il celebre investigatore! – Esclamarono tutti, poiché tutti sapevano chi fosse Poirot.
–Io ritengo che l’odore in questione provenga dal pacco che ha in mano quel signore– disse Poirot, indicando un uomo che era quasi arrivato allo sportello, l’ unico a non mostrarsi agitato insieme ad un signore silenzioso e sorridente che si trovava in coda alla fila.
–Ma che ci sarà in quel pacco? – tuonò Cyrano che proprio non ne poteva più.
–Oddio, non ci sarà un cadavere? – esclamò Perpetua, distolta dai suoi ricordi.
–Non, madame, il pacco è troppo piccolo per contenere un cadavere– rispose Poirot
–Sono sicuro che non sia nulla di così terribile, ci sarà sicuramente una spiegazione– intervenne pacatamente Pickwick.
–Potrebbe essere un’arma biologica, quello forse è un terrorista! –esclamò Cyrano– ah, se avessi portato la mia spada! –
–Magari,c’è dentro un topo morto da spedire a qualcuno per scherzo– ipotizzò Agnese.
L’aria nell’ ufficio postale era ormai irrespirabile, le persone in fila erano ormai tutte di un insano color verdino e manifestavano chiari segni di nausea. Persino il signore sorridente e silenzioso in coda alla fila non sembrava imperturbabile come prima.
–Ritengo di dover procedere all’ interrogatorio del proprietario del pacco. – disse deciso Poirot ma il signore con il pacco era ormai arrivato allo sportello.
Margherita era sul punto di svenire, aveva gli occhi pieni di lacrime e non riusciva a leggere il modulo. – Il suo nome, prego? – chiese con un fil di voce.
–Podger – rispose l’ uomo –E dentro il pacco ci sono dei formaggi per quel caro ragazzo di mio nipote Jerome–
Lamberto Laudisi, sempre sorridente ma non più silenzioso, esclamò: – La verità? Signori miei, ecco la verità! –

sabato 29 settembre 2007

Risposte


E' un po' che non scrivo sul blog ma in questo periodo non ho molto da raccontare.
Oggi voglio rispondere ai commenti che ho trovato sull' ultimo post che ho scritto, tutti parlano di scuola.
Cominciamo con Antonio.
Caro Antonio, io ve l' ho sempre detto che le scuole superiori sono un altro modo di fare scuola, sono più difficili perché, quando si cresce, gli argomenti si devono approfondire. Si studia di più, non c' è nulla da fare. Possono esserci molte cose che non ti piacciono ma il liceo l' hai scelto tu e allora sii coerente e vai avanti, puoi farcela!
Un consiglio: sii meno critico e più "umile", gli insegnanti ne sanno sicuramente più di te, se poi verificherai che sono ignoranti critica pure ma quando avrai tutti gli strumenti culturali per farlo.
Ciao.
E adesso rispondo a susysan: l' informatica, se usata bene, è uno strumento formidabile di conoscenza ma gli adulti hanno il compito di vigilare perché in rete si trovano cose orrende e i ragazzi sono incuriositi, navigare senza limiti è pericoloso. Resta il fatto che oggi se non si sa usare un computer si è proprio nei guai, quindi insegnamo a tutti adusarlo, non è vero che riguarda solo i giovani, mio marito fece un corso per gli anziani che riscosse un enorme successo.
E adesso rispondo alla mia grande FG che mi manca da morire anche se ogni tanto la vedo in videoconferenza.
Cara FG lo so che la signorina P. inorridirebbe, lo so che i programmi delle nostre scuole sono migliori ma ricirdati sempre una cosa importante: la scuola non la fanno i ministeri, la scuola la fanno gli insegnanti insieme agli alunni, se hai programmi buoni e cattivi insegnanti farai una cattiva scuola e viceversa. Pensa alla maestra tua e a quella della FI, i programmi erano gli stessi le insegnanti no. Un bacio Ciao.

venerdì 21 settembre 2007

Viva la tecnologia!


Io non sono una fissata con il progresso, ho studiato Lettere classiche, figuriamoci!
Quando devo imparare ad usare una nuova apparecchiatura entro in crisi, chiedetelo alle mie figlie che devono farmi da maestre!
Però il progresso mi piace.
Se penso a cento anni fa, quando non c’ erano le medicine, lo scaldabagno, la lavatrice…mi vengono i brividi.
Allora le donne faticavano parecchio. Come facevano senza il freezer?
Io faccio la spesa una volta alla settimana e surgelo il surgelabile, cioè praticamente tutto.
Così posso concentrarmi sul lavoro senza l’ assillo del pranzo e della cena.
Io sono nata nel passato. Ricordo quando acquistammo la prima TV, avevo sei anni.
Però ho imparato ad usare gli strumenti del presente e spero di imparare ad usare anche quelli del futuro.
Come farei senza cellulare e computer a comunicare con la FG che se ne sta a Parigi?
Voi direte che potrei scrivergli. Già, ma le lettere impiegano troppo tempo ad arrivare. Invece noi ci scambiamo SMS in tempo reale o quasi e possiamo persino parlarci e vederci con una semplice webcam e l’ apposito programma! Così io non mi sento troppo sola e posso rimediare in tempi brevi ai guai che lei combina anche a Parigi ( il giorno stesso che è partita ha smarrito la carta d’ identità e non vi racconto il resto perché mi ci vorrebbe un volume ).
Anche a scuola io uso il computer. Eh sì, signor Ministro della Pubblica Istruzione!
Lei ci ha invitato a mettere da parte il computer e a fare più grammatica ma, vede, io la grammatica la spiego, i miei ragazzi fanno molto esercizio, scrivono tanto e io correggo i loro compiti anche dal punto di vista grammaticale. Però li faccio scrivere al computer e per diverse ragioni: prima di tutto perché a loro piace e io credo che, se i ragazzini studiano facendo cose che a loro piacciono, studiano meglio. Poi perché il computer lo dovranno usare, alle Superiori, all’ Università, nel loro lavoro e magari anche per comunicare con i loro cari, se saranno lontani.
Vede, signor Ministro della Pubblica Istruzione, il problema della scuola non si risolve, io credo, tornando al pennino e al calamaio ma facendo buona scuola, dando agli insegnanti gli strumenti per lavorare bene ( io e i miei alunni dobbiamo pagarci anche le fotocopie), reclutando insegnanti preparati e motivati, capaci di guardare al passato ma anche al presente e al futuro, disposti ad imparare e a mettersi sempre in discussione.
Naturalmente il Ministro non leggerà mai questo mio post, ha ben altro per la testa ma io avevo da un po’ di tempo tanta voglia di scrivere questo mio sfogo e stasera l’ ho fatto.

sabato 15 settembre 2007

I Maestri





Io ho avuto la grande fortuna di avere dei buoni maestri.
E ne ho avuti molti che mi hanno insegnato molto e in vari campi.
Vorrei ricordarli qui ed esprimere tutta la gratitudine che provo nei loro confronti.
Alcuni di loro, purtroppo non ci sono più se non nella memoria di chi li ha amati e nel retaggio di insegnamenti trasmessi.
Comincio dalla signora V, mia insegnante di matematica alle medie.
Io la matematica non la amo, arrivai alle medie con un bagaglio scientifico miserevole e convinta che mai avrei capito nulla di numeri e affini.
Invece la signora V la matematica me la fece capire e anche bene. Era severissima ma spiegava così chiaramente che capivo tutto. Risolvevo problemi di geometria, equazioni, disegnavo grafici, impostavo proporzioni con una facilità che mi stupiva.
Poi, al liceo, incontrai un insegnante folle e violento e tornai a non capire niente.
Però al liceo incontrai anche due persone straordinarie: Margherita e la signora I.
Margherita ( naturalmente non la chiamavamo per nome, ma io quando penso a lei la penso come Margherita, è un nome che le si addice) insegnava Storia dell’ Arte, amava così tanto la sua materia che la domenica organizzava visite ai monumenti cittadini per chi avesse voluto conoscere meglio la città.
A me piaceva già l’ Arte ma con lei imparai a leggere un’ opera nelle sue componenti, a inquadrarla nel periodo storico-culturale, a gustarmela dal punto di vista estetico.
Mi piacerebbe trasmettere ai miei alunni la stessa passione che Margherita è riuscita a trasmettere a me.
La signora I. mi ha insegnato letteratura latina e greca. Lei amava in particolare quella greca, era un vero piacere ascoltare le sue lezioni, sui lirici greci o sul teatro ma anche coi latini andava forte, Le spiegazioni su Orazio furono una goduria. Le piaceva Cesare e su questo non andavamo d’ accordo, a ma Cesare sta antipatico, devo dire che lei ha sempre saputo rispettare il mio punto di vista. Mi ha insegnato il piacere di tradurre, operazione faticosa ma con lei ne ho capito tutta l’ importanza, mi ha insegnato il piacere di cercare e trovare la parola giusta, quella che rende meglio l’ idea dell’ autore che si legge. Mi ha insegnato l’ importanza della lettura metrica, dell’ espressione poetica. Se ho scelto di studiare Lettere classiche all’ Università lo devo a lei e gliene sono immensamente grata.
All’ Università ho avuto maestri notevoli come il professore di Filologia classica, noto nel mondo accademico come e più di altri ma che, al contrario di molti altri, rispettava gli studenti, non li umiliava con battute offensive e li incoraggiava a progredire.
Altri maestri ho avuto nella vita, quando ho cominciato a lavorare.
Quando esci dall’ Università sai tante cose ma quella più importante non te l’hanno insegnata: Come si fa il lavoro che devi fare?
L’ esempio degli insegnanti che uno ha avuto non è sufficiente perché i ragazzi cambiano nel tempo e a seconda della realtà sociale in cui vivono.
Io ho avuto la fortuna di incontrare, nella prima scuola dove ho lavorato, il professor V.
Aveva anni di esperienza alle spalle, era uno che dava pochissime risposte ma suscitava molte domande, poi ti guidava e alla fine le risposte le trovavi tu. Socrate sarebbe stato orgoglioso di lui, i suoi allievi lo adoravano, anche io gli ho voluto tanto bene e, con me, un altro insegnante che ha imparato molto del suo mestiere da lui e che, poi, divenne mio marito.
Poi incontrai Franca T. Io avevo sempre insegnato alle Superiori, quando arrivai alle Scuole Medie mi trovai in difficoltà. Franca era alle soglie della pensione ma conservava intatta l’ energia e la passione per il nostro lavoro. Mi ha insegnato a rimettermi sempre in discussione, a non dare mai nulla per scontato, a cercare sempre nuove strategie per trasmettere conoscenza.
Gli stessi insegnamenti di Franca li ho ritrovati in Simonetta C., una Preside incredibile.
Io non mi trovo molto a mio agio con i Dirigenti scolastici, è un mio limite ma con Simonetta C. ci capivamo bene. Lei è una che non si occupa solo della parte amministrativa, per lei l’ aspetto fondamentale è la didattica. Conosce tutti gli alunni della sua scuola, talvolta anche più di quanto li conoscano gli insegnanti. Ho imparato molto anche da lei.
Ecco, questi sono stati i miei maestri, a loro devo molto, se con il mio lavoro ottengo qualche risultato lo devo a loro, mi piacerebbe che qualcuno dei miei alunni avesse di me lo stesso buon ricordo che io ho di loro

mercoledì 12 settembre 2007

Intervista


1. Qual è il tuo stato di famiglia?
Vedova

2. In che data è il tuo compleanno?
21 Luglio

3. Vivi in città o in campagna?
In città, a Roma

4. Che lavoro fai o hai fatto?
Insegnante

5. Hai delle allergie?
Troppe

6. Qual è il tuo odore preferito (per le candele, l’incenso, ecc. ...)?
Chanel n°5

7. Ti piacciono i dolci?
Trooooppo!

8. Quali sono i tuoi gusti culinari?
Quasi tutto ma senza aglio e/o cipolla.

9. Quale genere di musica ti piace?
Lirica, classica, Guccini, Vecchioni, Nannini

10. Qual è il tuo colore preferito?
Tutte le sfumature del blu

11. Qual è la tua stagione preferita?
Tutte

12. Collezioni oggetti?
Bambole, cartoline, segnalibri, magneti per frigo.

13. Quale rivista leggi?
Costano troppo

14. Sei abbonato/a a una rivista?
No

15. Qual è il tuo stile nel vestirti?
Quello che capita

16. Pratichi un’attività manuale?
No

17. Qual è la tua materia preferita?
Tutte quelle umanistiche

18. Qual è il tuo animale preferito?
Rispetto gli animali ma me ne tengo alla larga

19. Quali sono i tuoi svaghi?
Scrivere, suonare il flauto, leggere, andare in palestra

20. Come arredi gli interni della tua casa?
In modo funzionale

21. Hai una lista di regali in linea?
No

22. Un dettaglio in più?
Mi sento sempre inadeguata

sabato 8 settembre 2007

I figli


I figli

La FG è partita oggi. Starà a Parigi un anno, forse più, per una che vuole laurearsi in Letteratura francese non è male.
Già mi manca, non credo che sia istinto materno, quello non credo proprio di avercelo, piuttosto credo che sia il fatto che, in un mondo ad alta concentrazione di stupidità, una testa pensante come quella della FG fa sentire la sua mancanza, Però è giusto che sia partita, è giusto che i figli vadano per il mondo con le loro gambe, i genitori possono solo stare a guardare e, se serve, dare il loro aiuto, se i figli lo chiedono.
Da due mesi mi ripeto una poesia che i genitori stentano ad accettare ma che i figli capiscono benissimo, finché sono figli. Ve la regalo.

I vostri figli...
(di Kahlil Gibran)
I vostri figli non sono vostri.
Sono i figli e le figlie della fame
che la vita ha di se stessa.
Essi non vengono da voi,
ma attraverso di voi
e non vi appartengono,
benchè viviate insieme.
Potete custodire i loro corpi,
ma non le loro anime,
poichè abitano in dimore future
che neppure in sogno
voi potete visitare.
Proverete a imitarli ,
ma non cercate di renderli simili a voi.
Voi siete archi da cui i figli ,
le vostre frecce vive,
vengono scoccate lontano.
In gioia siate tesi nelle mani dell'Arciere.

mercoledì 29 agosto 2007

Poesia


Oggi vi regalo una poesia di Trilussa. Non è una di quelle più famose e l’ ho cercata a lungo. Alla fine me l’ ha trascritta un gentile signore che amava le poesie romanesche e ne scriveva anche. E’ morto, improvvisamente, l’ altro ieri. Pubblicare questa poesia è anche un modo per salutarlo: “Ciao. Signor Orlando”

LA PUPAZZA
Quann'ero regazzino, mi' sorella,
che su per giu.' Ci aveva l'eta' mia,
teneva chiusa drento a 'na scanzia
‘na pupazza bionna, tanto bella.

Era de porcellana, e m'aricordo
che portava un bell'abito da ballo,
scollato, co' la coda, tutto giallo,
guarnito con un bordo.

Cor giraje 'na chiave sospirava,
moveva l'occhi e, in certe posizzione,
pijava un'espressione
come avesse penzato a chissa' che....
Se chiamava Bebè .

Io ce giocavo, e spesso e volentieri
la mettevo sul letto a la supina
pe' vedeje spari' l'occhioni neri:
e co' la testa piena de penzieri
dicevo fra de me:- Quant'e carina!
Chissa' che belle cose ciavra' drento
pe' move l'occhi tanto ar naturale,
pe' sospira co' tanto sentimento”

Ecchete che una sera,
nun se sa come, tutto in un momento
me sarto' in testa de vede' che c'era.

A mezzanotte scesi giu' dal letto
detti de guanto a un vecchio temperino
e come un assassino
je lo ficcai ner petto!
La squartai come un pollo, poverella:
ma drento nun ciaveva che 'na molla,
un po’ del fil-de-fero, una rotella
e un soffietto attaccato co' la colla.

D'allora in poi, si vedo ‘na regazza
che guarda e che sospira
benanche me ce sento un tira-tira
nun me posso scorda' de la pupazza.
Trilussa

mercoledì 22 agosto 2007

Battesimo



La FG aveva circa due mesi quando la battezzammo. Era una pupa buonissima, a patto che le dessimo cibo. Piangeva solo quando aveva fame, adorava succhiare, succhiava tutto e, infatti, durante la cerimonia se ne stette, avvolta in veli e organdis rosa, tranquillissima a succhiare il mio braccio.
La FI, che all’ epoca aveva tre anni, elegantemente abbigliata e saldamente ancorata alla mano del padre, seguiva tutto con la massima attenzione.
Le avevamo spiegato che anche lei era stata battezzata, le avevamo fatto vedere le fotografie, il bigliettino, la bomboniera del suo battesimo ma era chiarissimo che la gelosia la divorava. Per questo avevamo deciso di tenercela vicino e di farla partecipare alle varie fasi del rito.
Quel giorno le creature da battezzare erano quattro, tre femmine e un maschio.
Venne il momento in cui il sacerdote versa l’ acqua sulla testa del battezzando. Noi eravamo gli ultimi. Gli altri tre bambini strepitarono non poco al fatidico momento, la FG continuò imperterrita a succhiare il mio braccio che ormai grondava saliva e non mostrò nessun segno di fastidio per l’ acqua che il prete le versò in testa. Il sacerdote, a questo punto, rivolse un sorriso alla FI che ricambiò con uno sguardo pieno di odio ed esclamò:”Tu a me la testa non me la lavi!” In effetti, se c’ era una cosa che non sopportava era farsi lavare i capelli.
Il prete si affrettò a rassicurarla e tornò ad officiare il rito che proseguì senza ulteriori incidenti fino alla fine.

giovedì 16 agosto 2007

Perù


Sedici Agosto. Voi ve ne state al mare o in montagna, io, invece, ho passato la mattinata girando per ambulatori medici ma non mi lamento, sono riuscita a divertirmi persino là.
La FG doveva fare delle analisi improrogabili, così stamattina siamo andate alla ASL. Di solito quello è un luogo che io evito accuratamente ma il laboratorio privato dove tutto funziona perfettamente, dove troviamo cortesia e professionalità, è chiuso per ferie.
Alla ASL, stamattina, c’ era pochissima gente, per fortuna, ma i prelievi che dovevano iniziare alle sette e quaranta ( nel nostro laboratorio cominciano alle sette ) sono cominciati ben dopo le otto perché l’ infermiera è arrivata in ritardo. Meno male che la FG, che ieri ha tirato tardi con la FI e i suoi amici, praticamente dormiva, altrimenti avrebbe cominciato a lamentarsi.
Alle otto e mezza abbiamo finito e siamo usciti dai fatiscenti locali della Pubblica Sanità.
Siamo poi andate al Policlinico per pagare il ticket di una visita che la FG deve fare in settembre. E qui andiamo nel surreale. Badate bene, quello che vi racconto adesso non è un’ invenzione, è tutto assolutamente vero, ho i testimoni.
Anche al Policlinico c’ era poca gente. Mi sono messa in fila mentre la FG continuava nel suo stato di trance in sala d’ aspetto. C’erano quattro persone davanti a me, una, con la scusa che si sentiva male, è bellamente passata avanti, sistema italico brevettato.
Ai due sportelli aperti lavoravano, si fa per dire, due impiegati, una signorina e un tizio di mezza età.
Il computer della fanciulla non funzionava e quindi doveva usare quello del collega, sembrava di vivere in un universo parallelo dove tutto andava al rallentatore.
Ad un certo punto è arrivata una signora straniera. Il tizio di mezza età ha cominciato ad inserire i dati anagrafici della signora sul computer ma si è fermato quasi subito.
“ Non mi prende la nazione” ha esclamato, poi ha chiesto “ Ma Lei in quale Stato è nata?”
“ In Perù” ha risposto la signora. Quello ha riprovato, più volte, ha chiamato anche la collega, che ha lasciato la pratica di un altro paziente a metà e ha cercato di risolvere il problema ma non c’è stato nulla da fare.
A me un dubbio era venuto e stavo quasi per esternarlo, il dubbio, cioè, che non fosse il computer il problema ma l’ ignoranza dei due impiegati. Poi sono stata zitta e il tizio ha telefonato all’ assistenza informatica, spiegando la questione. Dalla cornetta è uscita la seguente domanda:” Ma ce l’ hai messo l’ accento sulla u ?”, dalla bocca del tizio è uscita questa sorprendente risposta:” Ma perché, ci va l’ accento?”. Evidentemente quello dell’ assistenza conosceva bene il tizio e io sono molto intelligente, perché il dubbio che era venuto a me era proprio che il tizio avesse scritto Peru senza accento.
Comunque il tizio a trafficato con i tasti e poi ha comunicato a quello dell’ assistenza:” Ce l’ ho messo l’ accento ma non me lo piglia lo stesso ”, al che la cornetta ha gracchiato:” Hai usato la u accentata o quella normale e c’ hai messo l’ apostrofo? “ segno che quello dell’ assistenza conosceva molto bene il tizio.
Il tizio di mezza età era sorpresissimo di apprendere che su una tastiera di computer ci sono anche le vocali accentate. Ha impiegato un po’ di tempo a trovare la benedetta ù e l’ ha digitata. Il computer gli ha preso finalmente il dato. Dopo è stato tutto semplice: In circa mezzora l’ impiegato è riuscito a scrivere il resto dei dati ( due ) e finalmente è passato ad un altro paziente.Ora, mi chiedo io, ma quando assumono gli impiegati,al Ministero della Sanità, richiedono uno speciale attestato di imbecillità?!

sabato 11 agosto 2007

Cappuccetto rosso


Ve lo ricordate il post di Lupo?

Adesso leggetevi la storia di Cappuccetto rosso da altri punti di vista.

Cappuccetto rosso
Ieri mattina mia madre (che è nata par rompere) mi sveglia alle SETTE!
Mi fa: – Tua nonna sta male, devi portarle il pranzo –
Stavo per risponderle: – E chi se ne frega – ma lei continua a raffica: – E stai attenta che mi hanno detto che nel bosco si aggirano di nuovo i lupi, passa per la strada esterna che è più sicura – e blablà e blablà, non la finiva più.
Quando fa così è inutile resistere, mi sono alzata e sono uscita con un paniere pesantissimo.
Faceva un freddo cane e non mi sono sognata di dar retta alla rompipalle, ho preso il sentiero nel bosco, mi avrebbe fatto risparmiare un’ora di cammino. Mentre camminavo, da dietro un albero chi ti spunta? Il lupo, ovvio! Che fico! Una pelliccia ganza da impazzire e un aspetto così feroce, lo sguardo da “bello e maledetto”, da eroe negativo che mi ha subito conquistato.
Mi ha chiesto dove andavo e gli ho risposto che andavo da nonna. Si è interessato, mi ha fatto tante domande sulla sua salute e mi ha spiegato che c’era una strada più breve e me l’ ha indicata ma devo aver capito male perché ho impiegato un sacco di tempo ad arrivare.
Quando sono arrivata dalla vegliarda ero stanca morta. Ho bussato e lei mi ha invitata ad entrare. Quando l’ ho vista mi sono impressionata: Era proprio ridotta male, un colorito grigiastro, gli occhi sbarrati, i denti lunghi e gialli! Come potevo sapere che quella non era mia nonna? Mia nonna se l’era divorata il lupo che ora stava per divorare anche me. E infatti l’ ha fatto.
Ho capito tutto nella pancia del lupo, quando ho ritrovato mia nonna. Si stava stretti da matti e la vecchia non faceva che lamentarsi! Ho cominciato a tirare calci nella pancia del lupo, volevo uscire, poi ho sentito un botto, poi una luce, il cacciatore, un fico da paura, tipo Harrison Ford, stava aprendo il ventre del lupo e ci ha tirato fuori me e mia nonna, così mi toccherà tornare a trovarla. Ma non poteva farla secca con una coltellata, così io mi evitavo futuri fastidi?

La Madre
Ma io lo ammazzo, giuro lo ammazzo quel maledetto!
Una fa tutta quella fatica, prepara la torta per la suocera, aiuta la figlia a prepararsi, le indica la strada, le fa tutte le raccomandazioni…
Ovviamente, la piccola idiota fa di testa sua e si va a cacciare nei guai. Infila il sentiero nel bosco, quello che le avevo proibito (si sa, quando proibisci a una ragazzina qualcosa, quella la fa subito), incontra quella brutta bestia del lupo, che si fa raccontare tutto, la mette sulla strada sbagliata, arriva prima, si pappa la vecchia e poi anche l’insopportabile ragazzetta.
Insomma, era andato tutto così bene, in un colpo solo mi ero liberata di suocera e figlia, ma non arriva quell’idiota del cacciatore Anselmo che spara al lupo e le salva tutte e due!?
Ma io lo ammazzo, lo ammazzo!

La moglie del lupo
In fin dei conti l’ha fatto per la famiglia, solo per la famiglia.
L’inverno è duro, i piccoli hanno sempre fame e hanno bisogno di proteine per crescere sani e forti. E poi l’istinto, santo cielo, se sei un lupo non puoi mica essere un agnello. Al massimo l’agnello te lo puoi mangiare. Se ci riesci, che i pastori fanno buona guardia e hanno buona vista e buona mira. E allora acchiappi quel che trovi, anche le vecchie e le bambine. La piccola se l’è mangiata lui, poverino era stanco morto, la vecchia voleva portarla ai figli, nella tana, ma è arrivato quella bestia del cacciatore e l’ha fulminato con un colpo di lupara.
E ora io, povera vedova, come faccio a mantenere questi poveri cuccioli? Che faccio, cerco il cacciatore e i suoi figli e li faccio fuori tutti?
Beh, avrei provviste per tutto l’inverno!

giovedì 9 agosto 2007

Colloqui con Dio


Avevo vinto il concorso per l’ insegnamento e aspettavo di essere chiamata in Provveditorato per l’ assegnazione della sede. Sapevamo che i posti disponibili erano tutti fuori Roma. La sede più disagiata era Carpineto, non era raggiungibile con mezzi pubblici e io non guido, significava trovare un alloggio e andarci a vivere, abbandonando casa e famiglia ma anche le altre sedi erano lontane. Io e mio marito considerammo la cosa, io volevo rinunciare ma lui mi dissuase perché uno stipendio in più serviva, perché sapeva quanto amo insegnare e perché sarebbe stata comunque una situazione temporanea, in seguito avrei potuto avvicinarmi.
Informammo le figlie delle varie possibilità, compresa Carpineto. Alla FI brillarono gli occhi, con la madre lontana avrebbe realizzato il sogno della sua vita: avere il padre tutto per sé. La FG, che aveva cinque anni, non disse niente, era donna di poche parole.
La domenica andammo, come al solito, a Messa. Nel silenzio della Consacrazione, sotto la volta del sacro edificio e sotto gli occhi allibiti e furibondi del prete risuonò questa preghiera:” Dio, ti prego, non mandare mamma a Carpineto!”
La FG, che aveva compiuto il misfatto, era facilmente identificabile, infatti, a causa delle sue più che ridotte dimensioni, stazionava sempre al primo banco.
All’ uscita molti dei fedeli ci chiesero spiegazioni e noi raccontammo i fatti, poi richiamammo la figlia, invitandola a pregare silenziosamente. Ci rispose:” Ma se prego a voce alta, Dio mi sente meglio!”
Per altre tre domeniche, nonostante le nostre proteste e gli sguardi di fuoco del prete, si ripeté la pietosa scena. Ormai tutta l’ assemblea pregava perché io non dovessi andare a Carpineto. Infatti non ci andai, fui assegnata ad una scuola di Arsoli, paesino a 64 Km da Roma ma raggiungibile con mezzi pubblici.
Ormai tranquilli, la domenica andammo a Messa sicuri che la FG sarebbe stata finalmente tranquilla.
Infatti. Al momento della Consacrazione, celebrante ed assemblea furono sorpresi dalla voce squillante della piccola criminale che disse:” Grazie Dio, che non hai mandato mamma a Carpineto”. All’ uscita della chiesa ricevetti le congratulazioni di molti fedeli.
La FG è ancora convinta che, se non sono finita a Carpineto, è stato solo per merito dei suoi colloqui con Dio

venerdì 3 agosto 2007

La Signorina P.


La Signorina P. è stata la bravissima maestra della FG per tutti gli anni delle elementari.
Una Maestra con la maiuscola, esperta, capace di dare ai ragazzi metodi e strumenti validissimi. Tant’ è vero che la FG, ancora adesso, quando studia usa il metodo che ha imparato dalla Signorina P.
La Signorina P., quando incontrò la FG, era già piuttosto matura, non molto alta, con una faccia che risplendeva di intelligenza. A me piaceva molto, il problema è che piaceva molto anche alla FG.
Ora voi direte: ma non è un problema, anzi! Invece era un problema, perché la Signorina P. era una persona molto severa e poco espansiva, teneva la disciplina con mano “severa ma giusta”, come diceva la FG, solo che la FG la disciplina la intendeva tutta a modo suo.
Ad esempio: all’uscita da scuola, mentre i ragazzini delle altre classi fuoriuscivano dall’ istituto a valanga, urlando, gli alunni della Signorina P. arrivavano in fila al portone, come un plotone dei marines e uscivano dicendo educatamente:” Arrivederci, Signorina Maestra”. Anche la FG lo faceva ma poi faceva un’ altra cosa: tirava per la giacca la Signorina P. che era costretta a chinarsi ( visto che la FG era allora formato bonsai ) e le stampava un bacio sulla guancia, lasciando la Signorina P. alquanto in imbarazzo, credo che mai prima di mia figlia un alunno si fosse permesso una cosa del genere con lei.
La prima volta che andai a parlare con la Signorina P. fu quando la FG stava in prima elementare, La Signorina P. mi guardò severamente e mi disse:” Certo, studia ed è molto intelligente ma non sta mai seduta nel banco e canta per tutta la lezione!” Cosa potevo risponderle? Mi scusai e le promisi che avrei rimproverato la FG. Infatti, a casa, provai a richiamare all’ ordine la figlia ma lei mi rispose:” Ma io canto perché a scuola sono felice!”
La pregai di esprimere la sua felicità in altro modo ma non ci fu nulla da fare, andò avanti per tutto l’ anno scolastico. In seconda elementare facemmo un passo avanti, infatti, quando andai a parlare con la Signorina P., lei mi disse che almeno stava seduta nel banco “ Ma canta sempre” aggiunse seccamente. Come potevo spiegarle che era perché la FG era felice di stare a scuola, con lei? Non glielo spiegai, le rinnovai le mie scuse.
Poi la FG smise di cantare a voce alta ma dentro di sé cantava, eccome! Per cinque anni, andare a parlare con la Signorina P. fu per me un esame terribile, più terribile di quelli dell’ Università. La Signorina P. amava sicuramente mia figlia ma non poteva ammettere che lei si comportasse al di fuori dei suoi schemi educativi.Anche alle Medie la FG si comportò fuori da ogni schema, anche al Liceo, è sempre andata bene a scuola ma ha sempre studiato a modo suo ( cioè al modo della Signorina P. ) e le insegnanti si sono sempre lamentate ma io non mi sentivo a disagio con loro, forse perché ormai c’ ero abituata o forse perché non le stimavo quanto la mitica Signorina P. Ecco perché, quando vengono i genitori dei miei allievi mi sforzo di metterli a loro agio, perché non voglio vedere sui loro volti il disagio che ho vissuto io per cinque, lunghissimi, anni.

domenica 29 luglio 2007


E’ incredibile che io possa ancora infuriarmi per delle cose che succedono da sempre. Eppure io non riesco a sopportarle. Prendiamo il caso dello sport. Che io sia una tifosa lo sapete, seguo il calcio, l’ automobilismo, il ciclismo, il nuoto e l’ atletica.
Ebbene, in TUTTI questi sport c’ è qualcosa che non va. Sappiamo tutti cosa sta succedendo in Formula uno, il caso di spionaggio ai danni della Ferrari, restato bellamente impunito. Mi chiedo: se la Ferrari, invece che vittima, fosse stata implicata in un caso simile l’ avrebbe passata liscia?
Tutti conosciamo la corruzione nel calcio, lo scandalo degli arbitri, il giro di soldi; la Juventus torna in serie A, se, come è quasi sicuro, vincerà un altro scudetto, chi ci darà la certezza che ha vinto in modo pulito?
Il ciclismo: oggi è finito il Tour de France, ha vinto uno spagnolo ma le notizie più importanti in questi giorni sono state quelle sui casi di doping, diversi corridori non sono stati ammessi alla corsa o sono stati espulsi durante la gara e anche sul vincitore corrono voci inquietanti. Sospetti di doping ci sono anche nel nuoto e nell’ atletica.
Insomma, oggi non ci si può godere una gara perché, invece di occuparci del talento e della bravura degli atleti, dobbiamo chiederci se non si stiano comportando in modo disonesto. Gioire per una vittoria sta diventando impossibile, è una vittoria vera o comprata?
Il fatto è che nello sport girano un mucchio di soldi e quando ci sono quelli la faccenda diventa inevitabilmente sospetta.
E allora io sono furibonda, come tifosa perché non mi diverto più e come educatrice perché il mondo dello sport sta dando pessimi messaggi ai giovani. I ragazzi amano lo sport, seguono le vicende dei campioni, li imitano o vorrebbero imitarli. In che cosa? Nell’ impegno degli allenamenti, nella fatica della preparazione o nella ricerca di un successo facile e disonesto?
Io sarò forse stupida o ingenua ma tutto questo mi fa molto schifo, forse sono soltanto vecchia e legata a una visione superata del mondo e dello sport ma, tra un atleta dopato che sale sul Mortirolo senza fatica e Gino Bartali che saliva stringendo i denti e sudando come una fontana, preferisco Ginettaccio e la sua onestà, lui resta nel ricordo, degli altri resta solo una grande amarezza e molta delusione.

sabato 21 luglio 2007

Parigi


Sono tornata oggi da Parigi dove ero andata per trovare un alloggio per la FG che in settembre partirà per studiare un anno alla Sorbonne, il sogno della sua vita.
L’ alloggio l’ ho trovato, una mansarda a Montparnasse. La FG ha trovato anche lavoro come baby sitter, il che non è male: Studiare, lavorare e vivere da sola è una bella esperienza di crescita.
Poiché avevamo tempo abbiamo anche girato per la città.
Io c’ ero già stata un anno e mezzo fa ma cose da vedere ce n’ erano ancora tante.
Il problema è che non lo so se mi piace Parigi.
Voi direte: Ma tu sei matta! A chi non piace Parigi?
Io ho visto molte cose interessanti ma non riesco a capire se mi piacciono oppure no.
Certo, davanti ai quadri di Degas e Van Gogh ho provato emozioni, il museo di Cluny, sul medioevo, è affascinante ma altre cose non mi hanno colpito poi tanto.
Poi faceva freddo, a Luglio! E pioveva pure.
Una cosa che mi piace sono i biglietti della Metro: sono piccoli, un terzo dei nostri, un bel risparmio di carta.
Poi mi sono piaciuti i passages, dove ci sono tanti bei negozi e dove non sai mai in che posto sbucherai all’ uscita.
Mi hanno colpito le tombe dei grandi al Pantheon, c’erano quelle di Voltaire, Rousseau, dei Curie, di Hugo, Zola e Dumas ma Santa Croce a Firenze è proprio un’ altra cosa!
A Parigi tutto è grande, troppo grande. Le strade non finiscono mai, gli incroci sembrano piazze. E poi i ponti sono piatti e non sembrano ponti ma semplici strade.
Il cibo mi è piaciuto, fanno dei panini pazzeschi! E poi il pesce e l’ anatra sono buoni.
Il problema più grosso è il caffè, i francesi l’ espresso non lo sanno fare, ti servono una broda lunga che ricorda la sbobba dei fanti della prima guerra mondiale. Solo in un Café abbiamo trovato un espresso che vagamente ricordava il nostro. Poi magari può capitare quello che è successo a noi, una mattina in una strada abbiamo visto un’insegna in italiano, siamo entrate e ci siamo bevute un caffè ristretto a regola d’ arte, fatto da un italiano, naturalmente.
Per concludere voglio raccontare due episodi curiosi.
A rue de Rivoli ho visto una ragazza che, uscita dal lavoro, si è tolta le scarpe con i tacchi e si è messa le infradito, sembrava molto sollevata dopo.
Ad un incrocio, un automobilista stava per passare ad un semaforo rosso proprio mentre sopraggiungeva un vigile in moto che l’ ha bloccato con un gesto imperioso della mano e gli ha urlato:” Renculez!”, quello è tornato indietro buono buono.Insomma, Sarà che in Italia abbiamo tanta arte e tanta bellezza, sarà che sono stanca, sarà che sono un po’ stupida ma io proprio non riesco ad appassionarmi a Parigi.

venerdì 13 luglio 2007

Come spaventare un Sindaco


Quando era piccola la FG aveva un sacro terrore dei fuochi d’ artificio.
Ho passato diverse notti di Capodanno semistrangolata dalla FG che aveva l’ insana abitudine di urlare come la sirena dei pompieri e di aggrapparsi con entrambe le mani al collo del malcapitato di turno.
Ma questa storia avvenne d’ estate, quando la FG aveva quattro anni e la FI ne aveva sette.. Eravamo in Calabria, al mare. A Ferragosto c’ era la processione e le figlie, che andavano a scuola dalle suore, non se la sarebbero persa per nulla al mondo. Il padre si diede ad ignominiosa fuga, andando a trovare suo fratello, in vacanza anche lui nello stesso luogo, e mi lasciò da sola a gestire la situazione.
Con le due figlie, in elegante abito alla marinara, andai davanti alla chiesa principale, situata nella parte alta del paese, per assistere all’ uscita del quadro della Madonna Assunta dal luogo sacro e per accodarmi alla processione.
La piazza era gremita, popolazione ed autorità aspettavano. C’ era il Capitano dei carabinieri, il capo dei vigili urbani e il sindaco, bassotto e cicciotello con la sua brava fascia tricolore sulla pancetta prominente.
Naturalmente la FI, che era una sveglia, mi guidò vicino alle autorità, sapeva , la furbetta, che quelli si mettono sempre in prima fila e, quindi, anche noi avremmo potuto seguire la processione in posizione vantaggiosa. Tenevo per mano le figlie, una a destra e l’ altra a sinistra.
La messa era finita, le campane iniziarono a suonare e il quadro fu portato fuori dall’ edificio sacro.
In quel preciso momento, dalla riva del mare, fu sparato un petardo che annunciava all’ intero paese l’ inizio del rito.
Tutti giubilavano, io ero in preda al terrore. Già, perché mi ero resa conto che la mia mano sinistra non stringeva più la manina della FG.
La FI urlava: –Mamma, guarda! – Guardai. Il capitano dei carabinieri e il capo dei vigili si affaccendavano intorno al sindaco e vidi uno spettacolo terrificante. La FG, al rumore prodotto dallo scoppio del petardo, in preda al solito terrore, aveva dato la scalata al sindaco, gli si era arrampicata addosso e gli stava stringendo le mani intorno al collo.
Il sindaco era paonazzo e boccheggiante, la FG urlava come dieci sirene dei pompieri, il vescovo, che presiedeva la cerimonia, era inferocito perché tutti guardavano la scena pietosa invece di pregare e cantare inni sacri, i due rappresentanti delle forze dell’ ordine erano impotenti, la FG stringeva sempre di più, la FI urlava quanto la sorella e io pensavo: – Adesso mi arrestano. – Agguantai la FG sotto le ascelle e tirai con tutte le mie forze, riuscii a staccarla dal pover’ uomo semisoffocato e mi profusi in scuse a lui e rimproveri alla figlia, sotto gli sguardi severissimi dei tutori dell’ ordine.
Quel povero sindaco ebbe la forza di sorridere, accettò le mie scuse, fece una carezza sulla testa della piccola terrorista e, finalmente, la processione poté avere inizio.

mercoledì 11 luglio 2007

Undici contro ventidue


C’ è un’altra partita che non dimenticherò mai.
In Spagna nel 1982 era cominciata malissimo per l’ Italia, avevamo superato la prima fase con tre orrendi pareggi.
Giocavamo male e la stampa era scatenata a tal punto che i giocatori si chiusero in silenzio stampa, poteva parlare solo Dino Zoff che è sempre stato uno di poche parole.
Io, da poco laureata, insegnavo in una scuola privata, eravamo sotto esami ma ci eravamo organizzati. Chi abitava vicino alla scuola ospitava gli altri per vedere le partite.
Facevamo pronostici, o meglio li chiedevamo a Boemio, bidello di area umbro-marchigiana, formato bonsai ( era alto meno di Bruno Conti, il che è tutto dire ) che ci azzeccava sempre.
Ci azzeccò anche quando, nella seconda fase, giocammo contro l’ Argentina di Maratona. “ L’ Italia vinge, quilli so’ presuntuosi “ disse Boemio e puntualmente il pronostico si avverò.
Poi fu il giorno di Italia-Brasile. I brasiliani erano fantastici, giocavano sempre, anche quando avevano ormai vinto, continuavano ad attaccare fino al fischio dell’ arbitro. Con la palla ci danzavano, erano uno spettacolo. Erano mostruosamente bravi. Era la nazionale di Socrates, Falca, Zico!
In quel Campionato non c’ era l’ eliminazione diretta, si giocava a gironi anche la seconda fase. L’ Argentina era già eliminata, sconfitta da noi e dal Brasile e al Brasile bastava un pareggio con noi, in virtù della miglior differenza reti, per passare il turno.
Chiedemmo a Boemio il pronostico. “ Eh,-rispose- la vedo brutta. Noi simo undici ma quilli so’ vintidui!” Esclamò demoralizzato. Aveva ragione, erano undici ma in campo sembravano il doppio.
La partita me la vidi a casa mia, da sola, con la porta chiusa perché mia madre era in circolazione e, se avessi detto qualche parolaccia ( cosa alquanto probabile ), si sarebbe inferocita; secondo lei una signorina per bene non segue il Calcio e non dice le parolacce.
Segnammo per primi, Paolo Rossi, che fino a quel momento era stato un fantasma, ci regalò la prima emozione. I brasiliani non si scomposero, prendere e segnare gol fa parte del loro modo di giocare. Pareggiarono con Socrates, lunghissimo, magrissimo e bellissimo.
A questo punto i brasiliani avrebbero potuto tirare i remi in barca, fare catenaccio e passare il turno. Invece no. Loro giocavano. Fino al novantesimo. E infatti continuarono a giocare e che gioco! Cosa non facevano con il pallone, era uno spettacolo affascinante. Ma che batticuore. La partita la facevano loro ma noi, come avvoltoi, iniziammo a sfruttare i contropiedi. Fu ancora Paolo Rossi che segnò il 2 a 1.
E i brasiliani ricominciarono, la difesa italiana aveva davanti un fiume in piena. Ma furono bravi, Gentile era un leone e anche Bergomi, allora diciottenne, si dimostrò all’ altezza finché, al ventesimo della ripresa Falcao segnò il 2 a 2.
Era finita ma loro continuarono nella loro movida col pallone, ci provò Tardelli ma il tiro non era preciso, glielo aggiustò Paolo Rossi che infilò nella porta verdeoro il suo terzo gol.
Poi furono venti minuti di agonia. Il Brasile attaccava senza tregua e gli azzurri si difendevano come gli alpini della prima guerra mondiale. Zoff ringhiava in porta e sembrava di sentire le note della canzone del Piave: “ Non passa lo straniero “.
Finì 3 a 2 e il turno lo passammo noi. Poi battemmo la Polonia in semifinale e la Germania in finale e fu Coppa del Mondo.Ma quando finì la partita con il Brasile io mi resi conto che ero stata in apnea per venti minuti. Voi direte che è impossibile, che uno muore se non respira per venti minuti, invece vi assicuro che è possibile, io e tutti i tifosi italiani che hanno vissuto quella partita ve lo possiamo garantire.