Il naso di Cyrano: dicembre 2008

martedì 30 dicembre 2008

A spasso per Roma


Io adoro camminare per le strade di Roma, guardo i palazzi e il cielo, le terrazze piene di piante e il grigio dei sanpietrini che a Roma sono i cubetti di selce che formano il pavé.
In questi giorni di beata vacanza ho girato parecchio per le vie di questa città che ha centomila difetti e centounmila bellezze.
Me ne sono andata a spasso da sola e con Cat che condivide con me l’amore per Roma, solo che lei, oltre ai monumenti, guarda le vetrine, entra nei negozi, prova dieci capi di vestiario e ne compra uno. Uno per ogni negozio, intendo, poi si meraviglia che nostra madre, quando la vede tornare carica di pacchetti, la rimproveri. Ma fa tutto parte del gioco.
Ieri, tra le altre cose, siamo andate a piazza Navona. Io e Cat nutriamo una sanissima passione per questo luogo magico e meraviglioso che Bernini e Borromini hanno plasmato nel Paese delle Meraviglie. I francesi (ma anche gli inglesi, i tedeschi, i giapponesi e tutti i popoli del mondo) se lo sognano un posto così!!
Quando andiamo a piazza Navona io mi beo guardando la fontana dei Fiumi e i palazzi, Cat pure, preferibilmente gustando un magico tartufo in un mitico caffè della piazza.
A Natale la piazza si veste di bancarelle coloratissime e irresistibili per due spendaccione. Infatti ieri abbiamo fatto acquisti, piccole cose da regalare a coloro che ci sono cari.
Poi siamo andate a cena dalla mia amica M. dove, insieme alla FG, abbiamo chiacchierato e ci siamo divertite a guardare le foto della bellissima nipotina di M.
Oggi sono tornata a piazza Navona con la FG che ieri avevo lasciata a studiare, sepolta da Shakespeare, intendo in senso letterale: studiava distesa sul letto dove stazionavano una trentina di testi sul vate inglese e sul teatro elisabettiano!!
Stamattina sono riuscita a estirparla dai sacri testi e ce ne siamo andate in giro. Per prima cosa abbiamo fatto il giro dei teatri a razziare biglietti per i prossimi spettacoli, poi, dopo un caffè in una mitica torrefazione storica, siamo andate in piazza, tra le bancarelle e abbiamo comperato cose carine da inviare ad alcuni amici francesi. Ad un certo punto la FG si è immobilizzata davanti alla bancarella con la pesca dei cigni.
A Tarquinia, quando era piccola, la pesca dei cigni era uno dei passatempi preferiti delle sue serate estive.
Guardava in silenzio e nei suoi occhi c’era la nostalgia di tutta una vita. Le ho chiesto se voleva giocare, ha annuito in silenzio, sopraffatta dai ricordi, credo. Le ho regalato cinque euro e, per cinque minuti, è tornata la bamboccia felice che inchiodava me e il padre, nelle sere d’estate della sua infanzia, davanti alla baracca del luna park. Ha vinto un lupetto di peluche ed era felicissima.
Poi abbiamo pranzato al fast food (orrore!?) e quindi siamo andate a vedere la mostra di Giovanni Bellini e ci siamo gustate le più belle Madonnine dipinte da mano umana. Una mostra davvero bellissima. Alla fine siamo tornate a casa, stanchissime ma decisamente felici.

sabato 27 dicembre 2008

Vacanze pericolose


L’anno scorso le mie vacanze natalizie sono state alquanto spericolate, in quel di Parigi tra salsicce mutanti, aerei e folla impazzita.
Quest’anno, a Roma, la situazione è più tranquilla: passeggiate con mia sorella, teatro, mostre, pomeriggi in famiglia e Disney a go go, nel senso che io e la FG ci stiamo riguardando un mucchio di cassette e DVD.
Tuttavia anche queste vacanze presentano dei rischi. Anzitutto il colesterolo. Temo che il sette gennaio io e la FG dovremo metterci a dieta, anzi proprio a digiuno, stile Gandhi, perché tra sughi di carne e di pesce, olive di tutti i colori, panettoni, vino e dolci, dolci e ancora dolci colesterolo, glicemia e quant’altro sono alle stelle. Ma che ci posso fare? Io adoro i dolci natalizi, torroni, mandorle, nocciole, cioccolato… non posso resistere alla tentazione! Tra l’ altro, con mia sorella abbiamo scoperto un negozio fantastico che vende cioccolata di tutti i tipi, ne ho assaggiata una bianca, aromatizzata alla rosa che è una cosa da Paradiso! Devo tornarci in quel negozio, ci sono troppe cosucce da sperimentare.
L’altro pericolo è rappresentato dal computer. Io me la cavo con questo fantastico strumento di conoscenza e comunicazione, adoro navigare per trovare risposta alle mille domande che mi nascono nella testa, mi basta un clic (talvolta più di uno e voila la risposta) però mi capita, come adesso, che, mentre sto scrivendo o inviando una mail o preparando un test per i miei alunni, qualcuno si connetta su Messenger o Facebook e allora io rispondo ma poi mi trovo a fare due o tre cose in contemporanea e non sono molto brava, mi impiccio e poi mi innervosisco perché, invece, le mie figlie e i ragazzini lo sanno fare benissimo! E allora, mi dico, ma che io sono scema? E ci provo ma faccio ancora più confusione, mi infurio e per farmi passare i nervi…mi mangio un torroncino o un dolcetto!
L’ultimo problema sono i sogni. In questo periodo dormo benissimo perché mi addormento senza il fastidioso pensiero che la mattina dopo devo andare a scuola (mica solo gli alunni, anche i prof!!) ma faccio diversi sogni strani. L’ altra notte ho sognato che sapevo volare, dovevo solo muovere le braccia e mi alzavo in volo e, se ero felice, volavo ancora più in alto. Mi piaceva tantissimo e ho volato tutta la notte, svolazzavo sul mio quartiere e vedevo la gente piccola come formichine. Un sogno bellissimo però, la mattina dopo, mi facevano male braccia e spalle. Vuoi vedere che non era un sogno e ho volato davvero? Mah!

mercoledì 24 dicembre 2008

La poesia di Natale


Quando le figlie erano piccole e la sera di Natale i parenti venivano a casa mia per il cenone, era uso comune che le due sventurate dovessero recitare davanti a tutti le maledettissime poesie natalizie.
Io le odiavo quelle poesie, un po’ perché generalmente le maestre, chissà perché, scelgono sempre le più sceme e le più difficili, un po’ perché alla fin fine ero io che dovevo fargliele imparare!
Il che significava ripetere le diaboliche tiritere in continuazione nei giorni precedenti le vacanze. Ripetevamo le orrende filastrocche la mattina mentre le figlie si vestivano, per strada, andando a scuola, per strada tornando da scuola, mentre preparavo il pranzo, dopo aver fatto i compiti, mentre preparavo la cena, durante la vestizione dei pigiami e prima di spegnere la luce!!!
Poi arrivava la fatidica sera. Davanti alla tavola imbandita, il pubblico di parenti reclamava la poesia.
La FI si alzava, rendendosi conto dell’importanza del momento e, dimentica delle parolacce che per quindici giorni aveva rivolto con assoluta imparzialità alla poesia e alla maestra, recitava, proprio bene, bisogna riconoscerlo, gli immortali versi di qualche poetastro ormai caduto nel dimenticatoio. Ovviamente alla fine riceveva applausi e complimenti dal pubblico soddisfatto.
Poi toccava alla FG. La FG da piccola Odiava recitare. Era la disperazione delle maestre, nei saggi di fine anno, quando saliva sul palco con un muso lungo un chilometro e a stento biascicava Una battuta, una sola che per lei era pure troppo.
La sera di Natale non faceva storie però. La FG è un tipo sensibile e mi vuole molto bene. Probabilmente il suo amore per me la rendeva pietosa nei confronti di una povera madre che aveva passato quindici giorni in compagnia continua di versi idioti e un’ intera giornata a tentare di mettere insieme una cena decente, impresa titanica per una che era soprannominata Lucrezia Borgia.
La FG si alzava dalla sua sedia, rigorosamente fornita di cuscino poiché le sue dimensioni bonsai non le permettevano di arrivare al piatto senza un supporto aggiuntivo, si avvicinava alla nonna e le recitava la poesia all’ orecchio, rigorosamente sottovoce! Quindi ripeteva l’operazione con tutti i commensali suscitando l’ilarità generale. Terminata la noiosa incombenza tornava al suo posto, dava la scalata alla sedia, aiutata dal padre orgoglioso e si dedicava, soddisfatta e beata alla sua attività preferita: mangiare in religioso silenzio e con assoluto piacere.

sabato 20 dicembre 2008

Una grande attrice


Ieri sono cominciate le vacanze di Natale. Alle 14 meno dieci i miei alunni friggevano, cercavano anche di stare attenti a quello che dicevo ma non vedevano l’ora che la campanella suonasse. Anch’io. Facevo la seria e mi sforzavo di fare al meglio il mio lavoro ma non ce la facevo più. Finalmente la dannata campanella ha squillato, accolta con un grido liberatorio da tutti gli alunni della scuola, tutti tranne i miei che sono troppo gentlemen stile inglese per urlare. Io, invece, avrei voluto urlare a squarciagola la mia gioia per la libertà ma, naturalmente, mi sono adeguata all’ English style dei miei alunni e siamo usciti compostamente da scuola scambiandoci gli auguri.
In serata sono andata con la FG a teatro a vedere Giorni felici di Samuel Beckett, autore di drammi tremendamente tristi e anche molto noiosi.
“E allora perché ci sei andata?” potreste chiedermi. Perché il dramma era interpretato da Anna Marchesini. Sì, proprio lei, quella del Trio. Mi incuriosiva cederla in un monologo tragico e difficilissimo da recitare.
La Marchesini mi è sempre piaciuta nei ruoli comici, i suoi personaggi sono indimenticabili, basti pensare alla cameriera scema, o al celebre tormentone:”Siccome che so’ cecata…”, non riuscivo,però, ad immaginarmela in un ruolo drammatico del calibro di Winnie, la protagonista di Giorni felici.
Dovete sapere che Winnie recita per quasi due ore semisepolta in una buca, in un deserto di sabbia, prima si vedono il suo busto, le braccia e la testa, poi solo la testa. Winnie parla sempre, il suo unico interlocutore è Will, il marito che è sepolto dietro di lei e che raramente le risponde mugugnando per lo più.
E’ il teatro dell’assurdo, del quale Beckett fu creatore e maestro, è la metafora dell’inutilità della vita, dell’impossibilità di comunicare, dell’illusione di essere.
Io la Marchesini proprio non ce la vedevo in un ruolo così. Invece…Invece lei è stata eccezionale, ci ha catturati e trascinati nel suo buco, nella testa di Winnie, nella spirale perversa di un’illusione troppo amara per essere descritta. Il teatro era pieno ma non si sentiva un fiato, a parte qualche sciocco che ogni tanto ridacchiava a quelle che potevano sembrare battute comiche ed invece descrivevano tragicamente la condizione di solitudine, di isolamento, di incomunicabilità dell’uomo moderno.
C’era tutta la filosofia di Beckett ma anche quella di Leopardi, di Pirandello, di Svevo e Joyce, c’era la solitudine amara e disperata di chi parla e sa che nessuno lo ascolta, di chi parla e sa che non ha più nulla da dire perché nessuno vuole ascoltare.
Insomma una prova affrontata con la professionalità e il talento di una grande attrice. Una bellissima sorpresa, io ascoltavo Winnie e la capivo, mi sentivo vicina a lei, condividevo appieno il suo dramma. Anna Marchesini ci ha regalato un’ interpretazione magistrale da non perdere assolutamente. E’ stato un bel modo di cominciare le mie vacanze.

mercoledì 17 dicembre 2008

Amore e letteratura


Ci si può innamorare del protagonista di un romanzo?
Voi mi chiederete:”Ma che razza di domanda è?”
Il fatto è che a me succede spesso. Non sto parlando di apprezzare il personaggio, come creazione d’arte, come invenzione di un autore, no, io sto parlando proprio di innamoramento. In altri termini, se quel personaggio esistesse davvero, così com’è nella finzione letteraria, voi ve ne innamorereste? La comincereste una storia con lui o con lei?
Io, nella mia lunghissima e affollatissima carriera di lettrice mi sono innamorata tante volte di personaggi appartenenti a epoche e storie diversissime tra loro.
Il primo fu Edmond Dantes, il mitico conte di Montecristo. Anzi no, il primo fu un personaggio del romanzo della Alcott “Gli otto cugini”, Marc, ero una ragazzina, fu il mio primo amore letterario.
Poi, a seguire, tanti altri: Cyrano (e ancora dura), William Dobbin, nella Fiera delle vanità, Il principe Andrej e Pierre Bezukov in Guerra e pace e tanti altri.
Attualmente sono stata sedotta dai due protagonisti di una serie di romanzi gialli francesi, ambientati a Parigi alla fine dell’ Ottocento: Victor Legris e Kengij Mori.
Sono due librai, uno è francese e l’altro giapponese, hanno una libreria in rue Saint Peres, quando sono andata a Parigi, sono andata a visitare la strada e gli altri luoghi dove si svolgono le vicende.
Sono due uomini molto affascinanti e raffinati, sensibili e intelligenti.
Quando mi tuffo nelle loro avventure dimentico tutte le noie e le meschinità che mi circondano e mi lascio portare dalla fantasia.
Le due sorelle,autrici del ciclo, hanno scritto, al momento, sette romanzi che vedono protagonisti Victor e Kengij ma in Italiano ne sono stati tradotti solo tre.
Però a me le prime tre storie sono piaciute troppo, non potevo aspettare la traduzione degli altri, così gli ultimi quattro romanzi li ho comprati lo stesso, li sto leggendo in francese, faccio un po’ di fatica ma ne vale la pena, necessariamente, devo leggere più lentamente per comprendere bene ma questo è un vantaggio, il libro dura più a lungo e me lo gusto meglio e poi loro due, Victor e Kengij, sono troppo forti!!!

sabato 13 dicembre 2008

Giulio Cesare


Ieri sera, a teatro, mi sono rivista il Giulio Cesare di Shakespeare e mi sono chiesta ancora una volta perché l’immortale genio abbia intitolato così questa tragedia, io ho sempre pensato che sarebbe stato meglio intitolarla Bruto.
In effetti, Cesare muore quasi subito, pugnalato dai congiurati, la fine più logica di un tiranno ambizioso.
Il personaggio che riempie la scena non è Cesare è Bruto, l’idealista, l’uomo che crede nella libertà, nel rigore morale, nell’integrità stoica di un’ etica politica peraltro irrealizzabile.
Infatti, dopo che lui ha ammazzato il tiranno, vede i suoi ideali traditi dai suoi stessi compagni, vede la vittoria dell’ opportunista Marcantonio e, soprattutto, vede l’ascesa di un tiranno peggiore di Cesare: Quell’ Ottaviano che affosserà definitivamente la Repubblica romana.
Ieri sera lo spettacolo è stato buono, a parte le discutibili scelte dei costumi: tute mimetiche e divise militari, forse a voler dire che la lotta tra l’integrità morale e la corruzione della politica sono ancor oggi attuali (ma lo sapevamo!).
Bruto ha recitato alla grande, chiuso in un sogno che spera di trasformare in una realtà che sa impossibile.
Al momento del celebre discorso mi sono commossa, io sto dalla parte di Bruto, sempre; avrei quasi voluto consolarlo, dirgli che i sogni sono la consolazione degli idealisti, purché si abbia la consapevolezza che è assolutamente inutile tentare di trasformarli in realtà, se ci si prova si rischia inevitabilmente la delusione. E infatti Bruto alla fine, quando tutto è perduto si uccide, non perché così evita di cadere nelle mani di Antonio e Ottaviano, no. Bruto si suicida perché non vuole vivere in una società che accetta i compromessi, la corruzione, l’avidità, la tirannia.
Bruto si suicida perché in un mondo di omiciattoli ambiziosi lui è un eroe.
Ogni volta che assisto ad una rappresentazione del Giulio Cesare ringrazio silenziosamente Shakespeare per aver scritto questa storia, tanto bella, tanto commovente,tanto vera.

mercoledì 10 dicembre 2008

Gli evanescenti Etruschi


Alla faccia dell’evanescenza!!
A scuola ci hanno insegnato che gli Etruschi pensavano solo alla morte e alle tombe ma quante scemenze si insegnano a scuola!
Io gli etruschi li conosco bene: ho girato il Lazio e la Toscana in lungo e in largo alla ricerca delle città etrusche, ho visitato tanti musei e mostre, da ultimo quella che in questo periodo si tiene a Roma, al Palazzo delle Esposizioni.
Beh, vi posso garantire che gli Etruschi non erano affatto gente triste, anzi!
Si divertivano parecchio gli Etruschi, amavano i megabanchetti, amavano la musica e i giochi, magari un po’ feroci come il phersu ma giocavano e ballavano anche.
Erano gente pulitissima in un’ epoca nella quale l’acqua e il sapone non erano tanto amati, per tenere pulite le loro città inventarono il sistema fognario che, con qualche variazione, funziona ancora oggi.
Amavano i colori vivaci per le loro vesti, le loro case e i loro templi, persino le tombe e i sarcofaghi erano coloratissimi.
Erano raffinati, si circondavano di cose bellissime come i vasi di bucchero, loro personalissima creazione, e quelli attici e corinzi che importavano dalla Grecia.
Amavano i gioielli, soprattutto quelli d’oro. Ce ne sono rimasti pochi perché i tombaroli hanno fatto un accuratissimo lavoro di spoliazione ma quelli che abbiamo sono di mirabile fattura. Inventarono persino una tecnica: la granulazione, che ancora nessuno a capito come fosse realizzata, ci hanno provato in tanti a riprodurla ma non ci sono riusciti.
Erano moderni, pensate che nella loro società la donna aveva pari dignità rispetto agli uomini, le donne sedevano a banchetto, partecipavano alle cerimonie e assistevano ai giochi sportivi con i loro uomini, cosa che a quei tempi, presso tutte le altre società, era scandalosa.
Mi piacciono gli Etruschi, peccato che i Romani li abbiano sconfitti e, in qualche modo, cancellati dalla storia e peccato che loro abbiano scritto in una lingua per noi incomprensibile, chissà che cose belle scrivevano, quante storie, racconti, poesie che per noi sono perse per sempre.
Ci restano i loro vasi, le loro pitture, le sculture ma ci danno appena un’ idea di come vivessero…a me piace pensare che fossero simpatici e scanzonati, un po’ come i Toscani, per intenderci.

domenica 7 dicembre 2008

Antiapologia di Sherlock Holmes


Ho trascorso un finesettimana fantastico, nonostante il raffreddore e la tosse.
Venerdì sera sono andata a teatro, mi sono gustata un tristissimo e bellissimo Gabbiano di Anton Cechov, tutto da vedere.
Ieri e oggi due giornate full immersion in un convegno su Sherlock Holmes all’Università.
Ho imparato un mucchio di cose e mi sono divertita, i relatori erano persone competenti ma anche spiritose, hanno condotto l’iniziativa con brio e humor.
Io adoro leggere i libri gialli e Conan Doyle è un must.
Tuttavia ho deciso di scrivere, dopo tante lodi al più famoso detective della storia del giallo, un’ apologia alla rovescia. Eccola qui:
Sherlock Holmes è il massimo, d’accordo.

Come direbbe Baricco: lui è l’investigatore più bravo del west…e del nord, del sud e dell’ est.
Lui, per primo, da un frammento insignificante è in grado di ricavare la verità.
E’ l’iniziatore, il modello di quelli che sono venuti dopo.
Cosa sarebbero stati Miss Marple, Nero Wolfe, Montalbano, Poirot senza di lui?
Forse non sarebbero neppure mai nati dalla fantasia dei loro autori.
Tuttavia…Sherlock Holmes è antipatico. Diciamocelo.
E’ un genio, nessuno oserebbe negarlo ma, purtroppo, lui sa di esserlo.
E’ assolutamente consapevole della sua straordinaria abilità logica e, insomma, un po’ “se la tira”. Un po’ tanto.
Assume con tutti un atteggiamento supponente, si mette su un piedistallo inarrivabile per noi comuni mortali.
Sherlock Holmes mi fa pensare ad un “Pierino”. Avete presente?
Sherlock Holmes è il primo della classe, è quello bravo, anzi bravissimo in tutte le materie, quello che te la fa pesare, quello che non sarà mai amico tuo, quello che inviti alla tua festa soltanto perché se non lo inviti poi non ti passa il compito di matematica.
E allora, mi chiedo, perché a me e a tanti altri, piace tanto leggere le sue avventure?
Per un sacco di ragioni…più una. E quell’una è che, in fin dei conti, a tutti noi piacerebbe tanto essere bravi come Sherlock Holmes.

mercoledì 3 dicembre 2008

Shakespiriana


Mi sto facendo una full immersion di opere Shakespeariane.
Voi direte: “ Ma con tutti i guai che hai, te li vai pure a cercare?” .
Ma per me Shakespeare non è proprio un guaio, anzi.
Il fatto è che in questa nostra epoca, dominata dalla stupidità e dall’arroganza senza limiti, uno l’intelligenza se la deve andare a cercare con il lumicino e io, poiché mi sono stufata di fare minuziose ricerche per trovare un briciolo di buon senso, l’intelligenza me la vado a cercare nelle opere degli scrittori del passato.
Così mi dimentico di un presente che non mi piace affatto e mi sento a casa mia tra personaggi, magari strani, ma decisamente più affascinanti dei miei contemporanei in carne ed ossa.
In questa mia ricerca della saggezza sono aiutata dalla FG che, studiando letteratura inglese, mi dà spiegazioni filologiche e linguistiche.
Il nostro viaggio alla ricerca di William e delle sue creature (effettuato rigorosamente in traduzione italiana, il mio inglese è troppo misero per una lettura in lingua originale) è cominciato all’Eliseo con Re Lear (Howl, howl,howl).
Mi è piaciuto da matti. C’è tutto nel Re Lear (dissento, nota della FG che tifa The Tempest): il rapporto padre-figli, la lotta tra il bene e il male, tra la saggezza e l’idiozia, la guerra, l’amore. Il tutto su una scena nuda, priva di ogni riferimento temporale o storico a significare, credo, l’universalità e l’atemporalità delle passioni umane.
Il viaggio è proseguito al Quirino con un Otello che alla filologa FG non è piaciuto (e nemmeno all’attrice che faceva Emilia caduta di brutto sul palco nella scena della sua morte). A me invece, che sono filologa si ma per le opere italiane, latine e greche, lo spettacolo è piaciuto. A parte la recitazione del protagonista terribilmente gigionesca, la messa in scena offriva una buona lettura del conflitto che Otello vive tra amore e gelosia. Soprattutto mi è piaciuto Iago, cattivissimo, quasi come l’Edmund del re Lear.
Quello che mi piace in Shakespeare è che i cattivi sono veramente cattivi, non sono un po’ cattivi, non vivono il conflitto etico del bene e del male, no, loro il male lo fanno proprio per bene.
A casa, poi, per tre sere di seguito ci siamo sparate la Tempesta in DVD nel mitico allestimento del Piccolo Teatro di Milano, diretta dall’altrettanto mitico Streheler, tradotta dal super-mitico Agostino Lombardo e recitata dai miticissimi Tino Carraro, Massimo Foschi e Giulia Lazzarini. Roba che dopo di loro voglio vedere se qualcun altro avrà il coraggio di mettere di nuovo in scena quest’opera.
La Lazzarini, inimitabile Ariel, vola, letteralmente, sul palcoscenico. Carraro, nei panni di Prospero è sufficientemente antipatico e saccente, Foschi (Gran fico! Nota della FG, ma mamma è d’accordo) interpreta un Calibano tenerissimo nella sua sofferenza di emarginato, di vittima di un razzismo ottuso e superbo.
Guardavo lo spettacolo e pensavo che anche oggi ci sono tanti, troppi, Calibani, odiati e rifiutati solo perché diversi. Non li capiamo i Calibani, ci fanno paura e, poiché siamo troppo vigliacchi per ammettere la nostra paura, li odiamo.
Mi sa che aveva ragione Einstein quando diceva: “Ci sono due cose infinite: L’Universo e la stupidità umana ma sull’Universo ho ancora qualche dubbio”.
Certo è che Shakespeare la stupidità umana ce l’ha raccontata in maniera proprio intelligente.