Ancora un pomeriggio bellissimo,
in giro per Roma a (ri)vedere i capolavori di Caravaggio, accompagnati da
Alessandra, la nostra bravissima guida e sorpresi dalle improvvise apparizioni
di Michelangelo Merisi che ci ha raccontato alcuni episodi della sua
travagliatissima vita.
Siamo partiti da Santa Maria del
Popolo, dalla Crocefissione di San Pietro e dalla straordinaria Caduta di San
Paolo, dove la luce e non i personaggi è la indiscussa protagonista del dipinto.
Passeggiando per i vicoli e le
stradette, siamo arrivati a Sant’Agostino dove campeggia la straordinaria
Madonna della Misericordia e poi a San Luigi dei Francesi ad ammirare le Storie
di San Matteo.
Al di là delle dotte spiegazioni
della guida e dei racconti strazianti e modernissimi di Caravaggio, quello che
adoro io di questo artista è che i suoi santi e le sue madonne non hanno
proprio niente di mistico o di sacro, Caravaggio dipinse persone vere, anzi lui
dipinse la “ggente de Roma!” E anche i “burini“ della campagna, le sue madonne
sono popolane, cortigiane, donne che faticano a reggere il peso del figlio, che,
invece di starsene buono e fermo, come solo i bambini Gesù dei quadri fanno,
scivola e si contorce come tutti i bambini normali; i vecchi sono contorti,
ingobbiti, hanno le caviglie gonfie e le carni cadenti, gli sguardi sono
foschi, velati dal vino o dalla cataratta; i gesti sono decisi, duri, spesso
volgari: la mano di Cristo nella vocazione di San Matteo non indica una via,
ordina, chiama imperiosamente, sembra quasi di sentire Cristo che dice:”Vie’ ‘n
po’ qua, tu!” e nel gesto della mano di Matteo c’è la ovvia risposta:”Chi,
io?!”
Anche gli angeli di Caravaggio
non sono angelici, niente esseri asessuati e con lo sguardo rivolto in su, al cielo,
quelli sono “ragazzetti de vita”, adolescenti che, per pochi soldi si offrivano
a chi li voleva, altro che angioletti!
Caravaggio, come tanti altri artisti, doveva dipingere i
soggetti richiesti dai committenti che, essendo per lo più preti, volevano
santi e madonne; lui invece dipinse la vita, sistemò San Matteo dentro
un’osteria romana, lo vestì come uno sbirro seicentesco, gli mise accanto un
ragazzino equivoco che lo comanda a bacchetta, enumerando con le dita in un
gesto imperioso quello che l’evangelista avrebbe dovuto scrivere o chissà che
cos’altro.
Insomma, il lombardo Merisi dipinse
con sapienza e genialità Roma e i romani; con crudezza, con violenza, senza
poesia, senza orpelli ci ha raccontato la realtà della sua epoca.
E nella magia di questo racconto
ho passato un pomeriggio piacevolissimo, concluso con una squisita cena in
compagnia della Fi che, come me, apprezza l’arte e anche la gastronomia!
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