Il naso di Cyrano: A spasso con Caravaggio

domenica 28 febbraio 2016

A spasso con Caravaggio



Ancora un pomeriggio bellissimo, in giro per Roma a (ri)vedere i capolavori di Caravaggio, accompagnati da Alessandra, la nostra bravissima guida e sorpresi dalle improvvise apparizioni di Michelangelo Merisi che ci ha raccontato alcuni episodi della sua travagliatissima vita.

Siamo partiti da Santa Maria del Popolo, dalla Crocefissione di San Pietro e dalla straordinaria Caduta di San Paolo, dove la luce e non i personaggi è la indiscussa protagonista del dipinto.

Passeggiando per i vicoli e le stradette, siamo arrivati a Sant’Agostino dove campeggia la straordinaria Madonna della Misericordia e poi a San Luigi dei Francesi ad ammirare le Storie di San Matteo.

Al di là delle dotte spiegazioni della guida e dei racconti strazianti e modernissimi di Caravaggio, quello che adoro io di questo artista è che i suoi santi e le sue madonne non hanno proprio niente di mistico o di sacro, Caravaggio dipinse persone vere, anzi lui dipinse la “ggente de Roma!” E anche i “burini“ della campagna, le sue madonne sono popolane, cortigiane, donne che faticano a reggere il peso del figlio, che, invece di starsene buono e fermo, come solo i bambini Gesù dei quadri fanno, scivola e si contorce come tutti i bambini normali; i vecchi sono contorti, ingobbiti, hanno le caviglie gonfie e le carni cadenti, gli sguardi sono foschi, velati dal vino o dalla cataratta; i gesti sono decisi, duri, spesso volgari: la mano di Cristo nella vocazione di San Matteo non indica una via, ordina, chiama imperiosamente, sembra quasi di sentire Cristo che dice:”Vie’ ‘n po’ qua, tu!” e nel gesto della mano di Matteo c’è la ovvia risposta:”Chi, io?!”

Anche gli angeli di Caravaggio non sono angelici, niente esseri asessuati e con lo sguardo rivolto in su, al cielo, quelli sono “ragazzetti de vita”, adolescenti che, per pochi soldi si offrivano a chi li voleva, altro che angioletti!

Caravaggio, come tanti altri artisti, doveva dipingere i soggetti richiesti dai committenti che, essendo per lo più preti, volevano santi e madonne; lui invece dipinse la vita, sistemò San Matteo dentro un’osteria romana, lo vestì come uno sbirro seicentesco, gli mise accanto un ragazzino equivoco che lo comanda a bacchetta, enumerando con le dita in un gesto imperioso quello che l’evangelista avrebbe dovuto scrivere o chissà che cos’altro.

Insomma, il lombardo Merisi dipinse con sapienza e genialità Roma e i romani; con crudezza, con violenza, senza poesia, senza orpelli ci ha raccontato la realtà della sua epoca.

E nella magia di questo racconto ho passato un pomeriggio piacevolissimo, concluso con una squisita cena in compagnia della Fi che, come me, apprezza l’arte e anche la gastronomia!

Nessun commento: