Ero laureata da due mesi quando fui chiamata ad insegnare per la prima volta. Era una di quelle scuole private dove si iscrivono alunni che sono stati bocciati più o meno dunque, gli allievi, in genere, hanno parecchi anni più del normale e sono anche belli grossi! Infatti, in quarta ce n’erano alcuni più vecchi di me.
Io sono formato bonsai, lo sapete e dalla cattedra non riuscivo a vedere i banchi in fondo. Sospettavo che, mentre io mi dilettavo in accurate spiegazioni letterarie, i miei alunni si dessero a varie attività illecite e facessero tutto meno che ascoltare me.
Un giorno mi avvicinai piano piano e scoprii, inorridita, che negli ultimi banchi si svolgeva tutti i giorni, nelle mie ore, un torneo di Scopa, il noto gioco di carte. Gli alunni, tranquillissimi, non fecero una piega, non si preoccuparono affatto che io potessi segnalarli al Preside o mettere una nota: la scuola era veramente l’ultimo dei loro pensieri.
Cosa avrei dovuto fare? Mi tornò in mente il celebre racconto di Giovanni Mosca “Alla conquista della 5^ B” e, con tutta l’incoscienza della gioventù, concepii un folle piano.
Con voce tranquilla feci la mia proposta e questo spiazzò i miei alunni, si erano aspettati, forse, urli e reprimende, di certo non avevano affatto pensato che le cose andassero come andarono.
La mia proposta era questa: a ricreazione avrei giocato contro i migliori di loro, se avessi vinto loro non avrebbero più giocato nelle ore di lezione ma solo a ricreazione. Mi fissarono increduli e mi chiesero se sapessi giocare. Dissi che ero una campionessa, mentivo naturalmente, io gioco malissimo a carte ma ero giovane, incosciente e disperata. Gli alunni accettarono e a ricreazione cominciò la sfida. Loro giocavano scientificamente, contavano le carte che uscivano, insomma erano davvero bravi, io giocavo a casaccio, mai riuscita a contare le carte, le dimentico subito. Loro non riuscivano a capire il mio metodo ( sfido, visto che io non avevo un metodo!) e questo li perse, abituati al gioco scientifico, quando si accorsero che giocavo come un bambino di sei anni era troppo tardi: avevo già accumulato un punteggio che mi permise di vincere nettamente! Pensavo che mi mandassero a quel paese, invece, il fatto che avessi bluffato mi fece guadagnare la loro stima!
Questa storia è verissima, anche se a voi può sembrare incredibile; la cosa più incredibile, però, è che i miei disonesti alunni onestissimamente rispettarono il patto e non solo da allora prestarono attenzione ma cominciarono anche a fare domande e ad interessarsi, a modo loro, alle lezioni di Letteratura.
Io sono formato bonsai, lo sapete e dalla cattedra non riuscivo a vedere i banchi in fondo. Sospettavo che, mentre io mi dilettavo in accurate spiegazioni letterarie, i miei alunni si dessero a varie attività illecite e facessero tutto meno che ascoltare me.
Un giorno mi avvicinai piano piano e scoprii, inorridita, che negli ultimi banchi si svolgeva tutti i giorni, nelle mie ore, un torneo di Scopa, il noto gioco di carte. Gli alunni, tranquillissimi, non fecero una piega, non si preoccuparono affatto che io potessi segnalarli al Preside o mettere una nota: la scuola era veramente l’ultimo dei loro pensieri.
Cosa avrei dovuto fare? Mi tornò in mente il celebre racconto di Giovanni Mosca “Alla conquista della 5^ B” e, con tutta l’incoscienza della gioventù, concepii un folle piano.
Con voce tranquilla feci la mia proposta e questo spiazzò i miei alunni, si erano aspettati, forse, urli e reprimende, di certo non avevano affatto pensato che le cose andassero come andarono.
La mia proposta era questa: a ricreazione avrei giocato contro i migliori di loro, se avessi vinto loro non avrebbero più giocato nelle ore di lezione ma solo a ricreazione. Mi fissarono increduli e mi chiesero se sapessi giocare. Dissi che ero una campionessa, mentivo naturalmente, io gioco malissimo a carte ma ero giovane, incosciente e disperata. Gli alunni accettarono e a ricreazione cominciò la sfida. Loro giocavano scientificamente, contavano le carte che uscivano, insomma erano davvero bravi, io giocavo a casaccio, mai riuscita a contare le carte, le dimentico subito. Loro non riuscivano a capire il mio metodo ( sfido, visto che io non avevo un metodo!) e questo li perse, abituati al gioco scientifico, quando si accorsero che giocavo come un bambino di sei anni era troppo tardi: avevo già accumulato un punteggio che mi permise di vincere nettamente! Pensavo che mi mandassero a quel paese, invece, il fatto che avessi bluffato mi fece guadagnare la loro stima!
Questa storia è verissima, anche se a voi può sembrare incredibile; la cosa più incredibile, però, è che i miei disonesti alunni onestissimamente rispettarono il patto e non solo da allora prestarono attenzione ma cominciarono anche a fare domande e ad interessarsi, a modo loro, alle lezioni di Letteratura.
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