Il naso di Cyrano: agosto 2009

sabato 29 agosto 2009

Finale di vacanze

Purtroppo le vacanze finiscono. E non venite a dirmi che il bello è proprio che non durano in eterno, che se ci abituassimo non ci sembrerebbero così belle, che anche lavorare ha i suoi lati positivi…perché tutte queste bugie me le sono già dette mille volte da sola ma non valgono un accidente. Le vacanze sono piacevoli e lavorare stanca, logora, distrugge, questa è la dannata, diabolica verità.
Comunque, ho passato due piacevolissimi mesi, pieni di nuoto, letture, teatro, passeggiate, relax.
La settimana più divertente ma anche la più faticosa è stata l’ultima: è arrivata Cat e anche un nipote dalla Sicilia con la sua prossima sposa, una giovane milanese che però tifa per la Juve (sigh!) quindi ho dovuto organizzarmi per riuscire a fare tutto: cucina (veloce: pomodori con riso, caprese, insalatone, pizza), piscina, teatro (Otello al Globe, niente male, Iago soprattutto, sufficientemente diabolico), musei (con Cat siamo andate a rivederci la Cappella Sistina, sempre strepitosa e la Galleria Borghese con gli incredibili gruppi marmorei di quel genio fatato del Bernini), passeggiate romane sotto il sole e la luna per il nipote e la sua futura moglie che è un architetto amante dell’ arte.
Ormai sono un mostro organizzativo, tutto è filato alla perfezione con piacere degli ospiti e soddisfazione mia.
Naturalmente ho illustrato le bellezze romane agli ospiti e ho raccontato loro le tante leggende e storie sui monumenti e sugli artisti, ho raccontato Roma, quella del passato, grande e bello, felice di vedere negli occhi dei nipoti l’ammirazione affascinata per una città che amo e che cattura l’interesse di chi sa guardare.
Abbiamo anche scattato tante fotografie. O meglio: Cat e i nipoti hanno scattato le foto e io mi sono fatta dare i files, a me piace conservare e rivedere le foto ma mi annoia farle, così approfitto degli scatti altrui, cosa che con le fotocamere digitali è semplice, pratica ed assolutamente economica.

domenica 23 agosto 2009

Lo stipendio

Insegnavo in una scuola all’estrema periferia di Roma.
Ambiente difficilissimo, alunni con famiglie difficili, disoccupazione e malavita diffuse, droga venduta agli angoli della strada, ordine pubblico inesistente.
Eppure dovevo aver fatto un buon lavoro se i miei alunni un giorno mi dissero:”A professore’, ce stai simpatica, a te le gomme della machina nun te le tajamo.”
Ringraziai della gentile attenzione ma spiegai che io non avevo l’automobile e che venivo a scuola in autobus. Gli alunni trasecolarono, poi uno disse:”Ma tu sei una professoressa, sei ricca, perché nun c’hai la machina?”
Dissi loro sinceramente quanto prendevo di stipendio e li vidi perplessi, una ragazza, il cui genitore faceva un mestiere poco raccomandabile, esclamò:”Ammazza, professore’, mi’ padre in una notte arza de più de quello che te danno ar mese! E tu c’hai studiato pure tant’anni! Ma chi te lo fa fa’ de arzatte all’arba e de venì qua a insegnà a noi?”
Già, chi me lo fa fare? Risposi che a me piaceva insegnare ma non capirono, non potevano.
Quella domanda, quel “Chi te lo fa fa’?” mi ha accompagnato per tutti questi anni e, tutte le volte che insegnare diventa più difficile, tutte le volte che mi prende lo scoramento, tutte le volte che non mi diverto più, mi risuona nella testa quel “Chi te lo fa fa’?” Ma il fatto è che io non so fare niente altro.

sabato 15 agosto 2009

L’arma letale

Oggi, giorno di Ferragosto, con le figlie abbiamo deciso di andare a pranzo in un ristorante del centro di Roma.
Niente dieta,oggi, tanto ormai sono più magra di Audrey Hepburn e posso mangiare qualunque cosa, anche perché lunedì tornerò in piscina e, nuotando, smaltirò quello che ho accumulato oggi. Dunque, eravamo sedute al tavolo, sotto la pergola, ci stavamo gustando un bell’antipasto alla marinara, quando accanto a noi è arrivata una famiglia di americani.
A me piace osservare la gente, perciò, mentre le figlie chiacchieravano, io ho cominciato a studiare i nuovi arrivati.
Erano in quattro: la madre, robusta e bianchiccia, una figlia sui vent’anni, decisamente grassa e biondiccia, un figlio adolescente, grasso e rossiccio e il padre, un tipo alla Swarzenneger, tutto muscoli e mascellona. Tutti e quattro serissimi, quasi lugubri, non hanno praticamente parlato se non per ordinare il cibo; sembrava che fossero appena tornati dal funerale di Giulio Cesare (eravamo nei pressi del foro romano) con tanto di discorsi di Bruto ed Antonio, avete presente:”Cittadini, Romani, Compatrioti…”.
Mentre noi attaccavamo il primo piatto, loro hanno ricevuto parmigiana di melanzane per la madre e bruschetta di pomodoro per gli altri tre.
La madre con la parmigiana non ha avuto problemi, i due figli inseguivano pezzi di pomodoro che schizzavano da tutte le parti! Ora, dico io, la parmigiana è facile da mangiare, la bruschetta invece no! E voi, americani, che sapete solo addentare panini e patate, proprio la bruschetta dovevate scegliere!
E’ stato uno spettacolo degno di Stanlio e Ollio, me lo sono gustato anche perché ero fuori portata dei proiettili untuosi e rossi.
Il padre-marine, invece, si è pappato la bruschetta senza far danni, anche perché dotato di una apertura buccale notevole che gli consentiva di mordere la vivanda senza far cadere il pomodoro.
Noi eravamo al secondo piatto e, mentre mi gustavo dei polipetti alle olive divini, al Rambo-genitore hanno servito un piatto di spaghetti.
La mia attenzione era formidabile, lo spettacolo si annunciava interessantissimo: metti un americano vicino ad un piatto di spaghetti e può succedere di tutto.
Infatti. Il marine ha preso la forchetta, ha catturato uno spaghetto e ha cominciato a ruotare il polso per avvolgere lo spaghetto.
Devo dire che aveva cominciato proprio bene, stavo per smettere la mia osservazione, un po’ delusa, quando lui ha avuto un colpo di genio, tipicamente made in USA: ha alzato la forchetta dal piatto e ha continuato ad avvolgere lo spaghetto a mezz’aria. Il viscido (anche perché ben condito) spaghetto a questo punto, forse sentendosi profondamente offeso, si è svolto ed è ricaduto nel piatto!.
L’american father, perplesso, ha studiato la situazione, ovviamente un marine non si arrende e infatti lui non si è arreso: ha eseguito di nuovo la stessa identica manovra a mezz’aria ma, un attimo prima che il nemico ricadesse nel piatto, si è chinato e, con mossa fulminea, è riuscito a catturarlo, ha masticato ed inghiottito.
Il daddy-marine ha proseguito la sua eroica lotta ma…A Roma, o almeno nel nostro ristorante, le porzioni sono generose e a metà piatto Swarzy era stremato, sudava e il polso non reggeva più al peso della forchetta. Ha ceduto le armi,con la stessa espressione smarrita e confusa che dovevano avere le truppe USA in Vietnam, lasciando nel piatto più della metà dei vittoriosi spaghetti-Vietcong e attirandosi uno sguardo di severa riprovazione dal cameriere anziano che si guarda bene dal servire ai tavoli occupati dai turisti americani, lui serve soltanto quelli che sanno mangiare e apprezzare il buon cibo italiano.

domenica 9 agosto 2009

Bruccuijetti e gaijne

Insegnavo in provincia, viaggiavo tutte le mattine all’alba per raggiungere la mia sede.
Per fortuna avevo una bella classetta, una prima media di ragazzini motivati e studiosi.
I miei alunni erano molto ligi al dovere: facevano i compiti, erano educati e arrivavano sempre puntuali. Tutti.
Tranne M. Lui arrivava immancabilmente dieci minuti dopo il suono della campanella.
Dopo qualche giorno dall’inizio dell’anno scolastico lo rimproverai e gli chiesi perché arrivasse sempre in ritardo.
Con un sorriso dolcissimo mi rispose: “Eh, prufessuré, è che iu, prima di venì alla scuola, ho da pijà l’ovi sutto alle gajine, e quann’è la stagione ho pure da pija li bruccujietti nellu campu che doppo mamma li vende a lu mercato.”
Forse è meglio qui dare una traduzione: “Eh professoressa, il fatto è che io prima di venire a scuola devo raccogliere le uova nel pollaio e, quando è stagione, devo raccogliere i broccoletti nel campo che poi mamma li vende al mercato.”
Mi vergognai, avevo pensato che M. non volesse alzarsi presto e invece, povero figlio, si alzava prima degli altri per aiutare la famiglia e me lo aveva detto con tanta tranquillità e naturalezza che mi fecero un’immensa tenerezza.
Che fare? Parlai con il Preside, il terribile Preside di quella scuola, terrore di alunni e docenti, pronta a sostenere un’epica battaglia, convinta che mai avrebbe accettato di tollerare quei ritardi.
Il Preside, incredibilmente, non solo mi disse di passare sopra i ritardi ma convocò il Consiglio di Classe e disse anche a tutti i colleghi di tollerare i ritardi di M..
Così M. poté continuare ad aiutare la sua famiglia, e riuscì anche, qualche volta, ad arrivare puntuale.

mercoledì 5 agosto 2009

Notte magica

Oggi pomeriggio sono andata con la FG e alcuni suoi amici a vedere la mostra di Hiroshige, un pittore giapponese, che mi è piaciuta parecchio, anche se non ho capito proprio tutto: Tanto per fare un esempio, ad un certo punto ho chiesto alla FG se quelle due strane cose su un dipinto che rappresentava una marina fossero due cicche di sigarette spiaccicate. La FG, piegata in due dal ridere, mi ha risposto che erano due giunche giapponesi viste di scorcio. Avrà sicuramente ragione lei, ma sembravano proprio due cicche col filtro lasciate lì per sbaglio.
A parte le battute, c’erano delle bellissime stampe di paesaggi, di fiori, di uccelli.
A seguire siamo stati al planetario, dove mi sono gustata una bellissima lezione sull’origine della terra, sotto la volta a cupola che rappresentava il cielo stellato di questo periodo dell’anno. Per me, che di astronomia so poco e nulla, è stata una serata interessante e istruttiva.
Il bello però è venuto dopo: infatti, nonostante che gli amici della FG siano tutti giovani, non si sono formalizzati e mi hanno portato nel quartiere romano di S.Lorenzo, dove ho mangiato un paio di panini buonissimi e ho bevuto birra e tre mini cocktail (SHOTTINI! N.d FI) a base di rhum, gin e vodka. L’ultimo era micidiale!
Quando io ero giovane (Paleolitico circa N.d. FI), queste cose noi non le potevamo fare: al massimo potevamo rientrare a mezzanotte, come Cenerentola, solo se andavamo a qualche festa (assolutamente in casa di qualcuno) e qualcuno ci dava un passaggio per riaccompagnarci. Stasera ho fatto qualcosa che non avevo mai fatto: sono stata in giro per un quartiere popolare insieme a tanti ragazzi e ragazze a bere e a mangiare e a chiacchierare. Pensavo a mia madre che, se sapesse, disapproverebbe, anche se io ormai ho un’età che mi consente di uscire di notte in tutta tranquillità. Per fortuna mia madre non legge il mio blog, spero solo che mia sorella Cat, che il mio blog lo legge invece, non vada a raccontarglielo; se lo facesse mi ritroverei ad ascoltare le sue reprimenda.
Sono tornata a casa alle 2 e 30. Di notte. Mai successo prima, a parte il capodanno a Parigi ovviamente.
Poco dopo di me è tornata la FI (la FG ha continuato la serata con i suoi amici). La FI mi ha chiesto se ero ubriaca ma ha potuto constatare da lei stessa che ho tutte le mie facoltà mentali integre, si è tranquillizzata e mi sta aiutando a scrivere questo post.
Mi sono divertita come poche volte in vita mia!
Domani mattina andiamo in piscina, non so se riuscirò a nuotare dopo sole quattro ore di sonno, forse.
In ogni caso è assolutamente necessario che io domani nuoti per almeno quattro ore: l’alcool ingrassa e io, che sono ormai in splendida forma, voglio mantenere intatto il mio peso, dunque domani nuoterò, forse nuoterò dormendo, ma di sicuro nuoterò!
Per la FG non posso garantire.
FI: Mi dissocio dal comportamento di mia madre, io almeno quando vado a bere dormo fuori casa!
Naturalmente, per i miei lettori minorenni, mi sento di aggiungere una postilla: alla vostra età è altamente sconsigliato bere alcolici, e, per i miei lettori maggiorenni: alla nostra età è consigliato bere con moderazione.
Meditate gente, meditate.

domenica 2 agosto 2009

L’ interrogazione di I.

Nella mia carriera scolastica ho avuto tanti alunni e ognuno ha ed è una storia unica e irripetibile. Di molti ho dimenticato i nomi ma non le facce, i comportamenti, i sogni.
Tra i miei ricordi più vividi c’è l’interrogazione che, al termine della prima media feci ad I.
Insegnavo, allora, in una cittadina in provincia di Roma.
I. non era sciocco, semplicemente non studiava, non capiva perché avrebbe dovuto e, coerentissimo con se stesso, semplicemente se ne infischiava della scuola.
Interrogare I. era una prova durissima per un insegnante, poteva fare scena muta o dire qualsiasi cosa gli passasse per la testa, tranne naturalmente quanto gli veniva richiesto.
Il fatto è che I. era ripetente, non potevamo tenerlo un terzo anno in prima media, quindi era necessario che l’interrogazione fosse almeno sufficiente.
In quella classe insegnavo Storia e Geografia, non avendo la forza per fare due interrogazioni separate, decisi di interrogarlo insieme in Storia e Geografia.
“Bene I.” dissi con poche speranze “raccontami la fondazione di Roma”.
Non parve preoccupato ed io, che sono un’ottimista, cominciai a sperare che sapesse qualcosa, poi lui cominciò: “Romulo e Remulo decisero de fonnà ‘na città, chi pijava più ucelli la fonnava. Vinse Romolo, fece er sorco, poi lo sartò e lu ‘mmazzò ”.
A questo punto metà dei miei alunni era caduto dal banco per le risate, io restavo impassibile, più che altro congelata dalla disperazione, poi chiesi : “con che cosa prendevano gli uccelli?” I. mi guardò come se fossi scema, poi rispose: “cu ‘u fucile, e come se no?”.
Tralasciai di ricordargli che al tempo dei romani le armi da fuoco non esistevano e procedetti imperterrita nell’interrogazione, mentre il resto della classe rischiava l’infarto dal troppo ridere, “Chi ammazzò chi?” chiesi ormai senza speranza.
Fece finta di pensarci (I. non pensava mai) poi,tirando a indovinare, rispose: “Romulo ammazzò Remulo”.
Gliela diedi buona e passammo a Geografia.
Il giorno prima (e lui era presente) avevo spiegato gli oleodotti e le turbine quindi chiesi: “come fa il petrolio a scorrere nell’oleodotto?”.
Mi guardò come se lo sapesse poi disse “perché i tubbi li mettono in per cuscì” e fece con la mano il gesto che indica un oggetto inclinato.
Gli alunni erano ormai blu, qualcuno aveva anche il singhiozzo, le difficoltà respiratorie stavano diventando preoccupanti, decisi di fare un’ultima domanda.
“Cos’ha di particolare Venezia che ne fa una città unica al mondo?”.
Si illuminò tutto ed esclamò: “Quista la so, Prufessoré, la so: è che l’hanno custruita sotto all’acqua!!!”.
Che potevo fare? Gli assegnai 6 sia in Storia che in Geografia e mi dedicai a soccorrere il resto della classe ormai in apnea.