Oggi pomeriggio la FG è uscita trascinandosi dietro una madre amletica e anche vagamente machbettiana.
Per la spiegazione lascio la parola alla FG:
Come se non bastasse vivere inseguendo il giorno della laurea, al rientro dall’Università la mia esausta persona, ampiamente stressata da un relatore flocculante, si è ritrovata a combattere con una belva di formato esiguo ma di ferocia notevole: la Mater Natalitia.
Codesta Mater non è placidamente vestita di rosso e fornita di barba e pancione, non canta Jingle Bells o Silent Night, au contraire!
Racchiusa da un maglioncino a collo alto (anti nevralgia), azzurro petrolio (ma reso nero dal suo spirito esistenzialista), l’esimia genitrice è alle prese con la fatica domanda: “che regalare?”.
Domanda che si trasforma rapidamente in un pirandelliano“regalo o non regalo?” ovviamente “regalo” non è possibile infatti un Natale senza regali. L’ovvia conclusione porta, fatalmente, alla nevrosi.
Infatti, cosa si può regalare a chi ha già tutto?
Risposta ovvia di una figlia squattrinata: “qualsiasi cosa poiché basta il pensiero”.
Risposta, molto meno ovvia, di una madre in piena sindrome omicida: “D’accordo ma il pensiero deve appunto essere pensato, deve quindi tener conto dei gusti e degli interessi del ricevente, deve essere originale, nel senso di non ripetitivo, deve dimostrare che si vuol bene alla persona alla quale si fa il dono. Ergo, più che un acquisto è un problema filosofico. ”
Come ben si sa, io, FG, evito accuratamente la filosofia (infatti frequento assiduamente filosofi), quanto meno tento di creare una filosofia spicciola per ricondurre alla calma la genitrice presa dal furor e dalla disperazione: dopo un’ora di tiritere e dubbi, l’amletica donna che mi diede i natali ha abbandonato ogni coraggio e ogni pazienza inveendo contro il Natale e le sue usanze.
Quello che è meno noto è che, in quanto FG ed in quanto figlia e sopportatrice di cotanta madre, conosco un paio di trucchi per ammansirla: giunte che fummo in piazza Navona, folgorante illuminazione, i miei occhi colsero e carpirono, l’immagine di una delizuosa bancarella di frutta candita ricoperta di cioccolato fondente. Quella era la ricetta magica: timidamente proposi il delitto (di lesa dieta naturalmente) alla piccola ma dannosa complice dei miei venerdì, ci siamo comperate e mangiate una decina di squisitissimi cioccolatini.
Sarà che la cioccolata dà buon umore, sarà che questa famiglia si compone di donne lunatiche ma l’accozzaglia di pessimismo che avevo trascinata da piazza Bologna a piazza Navona si è trasformata in una brillante saetta dello shopping: ho risvegliato un mostro.
Assolutamente certa di quanto doveva comprare, la Mater Natalitia ha sfoderato la sua carta di credito e si è lanciata, con entusiasmo, nei negozi del centro.
Felicissima dei suoi acquisti (naturalmente oltre ai doni per i parenti aveva pensato anche a sé stessa), completamente dimentica delle passioni Shakespeariane, dopo una lauta cena, è venuta docilmente con me a teatro.
Abbiamo visto una rivisitazione dell’Aulularia di Plauto, magistralmente interpretata dal grandissimo Gianrico Tedeschi.
Divertentissima. Gli attori erano tutti bravi, la scena coloratissima, le musiche e le luci gradevoli.
La Mater Teatralis si è goduta lo spettacolo ridendo di gusto.
Ed io, che mi sono divertita quanto lei, pensavo che nello stesso pomeriggio avevo visto e toccato due estremi: l’estrema prodigalità di mamma e l’avarizia estrema del vecchio Euclione, il protagonista dell’Aulularia.
E ad esser sinceri, benché la prodigalità di mammina logori i miei nervi e le mie gambe, essa è assai più riposante e più aulica dell’avarizia mediocre criticata dal teatro di Plauto.
Per la spiegazione lascio la parola alla FG:
Come se non bastasse vivere inseguendo il giorno della laurea, al rientro dall’Università la mia esausta persona, ampiamente stressata da un relatore flocculante, si è ritrovata a combattere con una belva di formato esiguo ma di ferocia notevole: la Mater Natalitia.
Codesta Mater non è placidamente vestita di rosso e fornita di barba e pancione, non canta Jingle Bells o Silent Night, au contraire!
Racchiusa da un maglioncino a collo alto (anti nevralgia), azzurro petrolio (ma reso nero dal suo spirito esistenzialista), l’esimia genitrice è alle prese con la fatica domanda: “che regalare?”.
Domanda che si trasforma rapidamente in un pirandelliano“regalo o non regalo?” ovviamente “regalo” non è possibile infatti un Natale senza regali. L’ovvia conclusione porta, fatalmente, alla nevrosi.
Infatti, cosa si può regalare a chi ha già tutto?
Risposta ovvia di una figlia squattrinata: “qualsiasi cosa poiché basta il pensiero”.
Risposta, molto meno ovvia, di una madre in piena sindrome omicida: “D’accordo ma il pensiero deve appunto essere pensato, deve quindi tener conto dei gusti e degli interessi del ricevente, deve essere originale, nel senso di non ripetitivo, deve dimostrare che si vuol bene alla persona alla quale si fa il dono. Ergo, più che un acquisto è un problema filosofico. ”
Come ben si sa, io, FG, evito accuratamente la filosofia (infatti frequento assiduamente filosofi), quanto meno tento di creare una filosofia spicciola per ricondurre alla calma la genitrice presa dal furor e dalla disperazione: dopo un’ora di tiritere e dubbi, l’amletica donna che mi diede i natali ha abbandonato ogni coraggio e ogni pazienza inveendo contro il Natale e le sue usanze.
Quello che è meno noto è che, in quanto FG ed in quanto figlia e sopportatrice di cotanta madre, conosco un paio di trucchi per ammansirla: giunte che fummo in piazza Navona, folgorante illuminazione, i miei occhi colsero e carpirono, l’immagine di una delizuosa bancarella di frutta candita ricoperta di cioccolato fondente. Quella era la ricetta magica: timidamente proposi il delitto (di lesa dieta naturalmente) alla piccola ma dannosa complice dei miei venerdì, ci siamo comperate e mangiate una decina di squisitissimi cioccolatini.
Sarà che la cioccolata dà buon umore, sarà che questa famiglia si compone di donne lunatiche ma l’accozzaglia di pessimismo che avevo trascinata da piazza Bologna a piazza Navona si è trasformata in una brillante saetta dello shopping: ho risvegliato un mostro.
Assolutamente certa di quanto doveva comprare, la Mater Natalitia ha sfoderato la sua carta di credito e si è lanciata, con entusiasmo, nei negozi del centro.
Felicissima dei suoi acquisti (naturalmente oltre ai doni per i parenti aveva pensato anche a sé stessa), completamente dimentica delle passioni Shakespeariane, dopo una lauta cena, è venuta docilmente con me a teatro.
Abbiamo visto una rivisitazione dell’Aulularia di Plauto, magistralmente interpretata dal grandissimo Gianrico Tedeschi.
Divertentissima. Gli attori erano tutti bravi, la scena coloratissima, le musiche e le luci gradevoli.
La Mater Teatralis si è goduta lo spettacolo ridendo di gusto.
Ed io, che mi sono divertita quanto lei, pensavo che nello stesso pomeriggio avevo visto e toccato due estremi: l’estrema prodigalità di mamma e l’avarizia estrema del vecchio Euclione, il protagonista dell’Aulularia.
E ad esser sinceri, benché la prodigalità di mammina logori i miei nervi e le mie gambe, essa è assai più riposante e più aulica dell’avarizia mediocre criticata dal teatro di Plauto.
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