Stamattina, quindi, ho spiegato alla FG la storia dell’Unità su basi critiche effettuali, evidenziando la mistificazione che i politici parolai realizzarono su ideali alti e condivisibili.
Davanti al bronzetto che ritrae il diciannovenne Emilio Morosini morente, davanti al dipinto che illustra realisticamente il compianto sul giovane Luciano Manara morto mi sono trovata a provare una sottile e disperata angoscia: quei ragazzi “ci credevano”, credevano di fare una cosa grande: l’Italia unita, l’Italia della giustizia, dell’uguaglianza, dell’onestà.
Io spero proprio che non ci sia una vita dopo la morte, se c’è, quei poveri ragazzi saranno delusi, avranno scoperto di essere morti invano perché l’Italia che è venuta dopo la loro morte è quella di Crispi e di Depretis, poi quella di Mussolini, poi quella di oggi che farebbe ridere se non facesse piangere.
La FG ha condiviso la mia analisi e la mia tristezza, anche all’Università, tutti i giorni, deve fare i conti con la disonestà, la doppiezza, l’ignoranza e l’opportunismo del potere; anche lei sta isolandosi sempre più, seleziona ferocemente le sue amicizie e le sue frequentazioni, guarda al futuro con disincantato pessimismo.
Lo so, quello che sto scrivendo è triste e brutto: uno ai suoi figli vorrebbe dare speranze ma, quando le speranze non sono che illusioni, è meglio essere realisti, lo diceva anche Leopardi: le illusioni sono pericolose.
Non voglio fare della filosofia, disciplina che non ho mai capito a fondo e che mi sembra piuttosto inutile se non addirittura dannosa, non riesco a trovare un senso plausibile alla vita dell’uomo, almeno non in questo momento, non so quale possa essere il valore delle azioni delle mie figlie e dei miei allievi nella storia futura, spero (ma non mi illudo) che il loro operato costruisca un paese migliore.
Io, tenace quanto e più di Cyrano, continuo a combattere la mia donquihottesca battaglia quotidiana contro i mulini a vento. In fin dei conti, non so fare altro.
Nessun commento:
Posta un commento