Il naso di Cyrano: 2012

domenica 30 dicembre 2012

Chi l'ha visto?
























Chi l’ha visto?
Spettabile AMA Roma,
Dov’era il giorno 28/12/2012 dalle ore 09,15 alle ore 09,25 l’operatore (o operatrice) AMA, pagato da noi a caro prezzo con la Ta.ri, addetto al mezzo n. CR815 sito in piazza Ruggero di Sicilia per la raccolta dell’umido?
Lo (o la) abbiamo atteso invano per ottenere la bustina di ricambio che l’AMA NON ci regala ma che noi paghiamo, sempre a caro prezzo,  con la Ta.ri.

Copia di questo post è stata inviata al sito AMA,  un’ eventuale risposta sarà pubblicata sul Blog con la dovuta evidenza.
Tess Palmisano

domenica 23 dicembre 2012

Le nonnette dal parrucchiere



Per Natale vi regalo un post divertente, almeno spero, di questi tempi motivi9 per sorridere ce ne sono proprio pochi, magari uno ve lo do io. Auguri a tutti.
Ebbene sì, eccomi di nuovo a voi con un’ altra variante delle mitiche nonnette: stavolta studieremo quelle che vanno dal parrucchiere.
Spesso, quando vado a tagliarmi i capelli, mi capita di trovare nel negozio del parrucchiere delle nonnette.
In questo caso, io mi metto buona e zitta sulla mia poltrona e osservo, spettatrice di uno spettacolo mai noioso, spesso piuttosto affascinante.
Le nonnette che vanno dal parrucchiere sono di vario formato: magre, grasse, alte o basse, tutte chiedono al valente artigiano, per prima cosa: la Permanente. La Permanente è un trattamento dei capelli con sostanze chimiche di vario tipo, in genere alquanto aggressive, che permette al capello di essere arricciato e di tenere la piega. Il trattamento richiede un tempo di posa piuttosto lungo ma questo non scoraggia le nonnette, se mai, anzi, glielo rende ancor più simpatico e fra poco capirete perché.
L’altra operazione che le nonnette pretendono dal maestro dei capelli è la coloritura. Riguardo al colore, possiamo individuare due tipologie di nonnette: Tipologia A: nonnetta che ha accettato il fatto che i suoi capelli sono ormai canuti e desidera solo il trattamento antigiallo all’indaco che, effettivamente, cancella la triste sfumatura gialliccia ma trasforma la nonnetta in una specie di anziana fata turchina. Tipologia B: le nonnette di questo secondo gruppo non si arrendono, i loro capelli non saranno mai bianchi, di qualunque colore, anche il più improbabile: biondo Marilin, Nero ala di corvo, tutte le sfumature del rosso ma bianchi mai!
Mentre il parrucchiere lavora, le nonnette chiacchierano, tanto, a lungo, per questo adorano permanenti e tinture, più il trattamento dura più loro chiacchierano.
Di che parlano?
Gli argomenti delle nonnette sono normalmente quattro:
Primo: I nipoti. Le nonnette hanno dei nipoti fantastici, bravissimi, simpaticissimi, campioni nello sport e nella vita. Peccato che le nonnette non siano proprio oggettive nei loro giudizi!
Secondo: Televisione e personaggi. Le nonnette passano un tempo mostruoso davanti alla televisione e leggono i rotocalchi, sanno tutto delle loro dive preferite: matrimoni, nascite, divorzi e via discorrendo. E ciascuna ha le sue preferenze. Se capitano nello stesso momento dal parrucchiere due nonnette, una fan della Clerici e una di quella che fa la cucina su La7, lo scontro è assicurato: meglio di un derby calcistico, senza esclusioni di colpi!
Terzo: Malanni. Le nonnette sono vere enciclopedie mediche, sanno tutto sui loro molteplici malanni, descrivono minuziosamente i sintomi, formulano diagnosi degne di primari con ventennale esperienza medica, si lanciano senza timori nella predizione di prognosi, consigliano rimedi che vanno dal decotto della nonna alla più fantascientifica medicina nucleare. Anche in questo campo, si può assistere a veri e propri derby, quando le possibilità di cura sono molteplici.
Quarto: Cemeterial gossip. E qua si tocca il top! Argomento principe, in assoluto il preferito delle nonnette, il ricordo di coloro che furono non può mancare in una seduta dal parrucchiere! In genere le nonnette abitano in zona, frequentano la stessa parrocchia, conoscono tutti ma proprio tutti, anche quelli che non hanno mai conosciuto loro! Si parte con l’elenco dei morti recenti, le nonnette se li scambiano, come fanno i ragazzini con le figurine. Quando l’elenco è completo, le esimie signore, dopo aver descritto con dovizia di particolari, spesso raccapriccianti, l’evento luttuoso, passano all’esame della vita dei trapassati, ne ricordano le virtù e i vizi, ripercorrono episodi lontani e recenti che sostengano il loro giudizio, quindi rivolgono la loro attenzione ai sopravvissuti: descrivono il comportamento di parenti ed amici ai funerali, si chiedono chi beneficerà di eventuali eredità e cercano di congetturare circa l’entità dei lasciti. Insomma, il parrucchiere può lavorare tranquillo mentre le vegliarde spettegolano.
Lui, l’artista della messa in piega, lo scultore con pettine e spazzola, fa il suo dovere: arriccia, liscia, tira, taglia, regola e gonfia; le nonnette, che erano entrate in bottega con i loro quattro capelli giallicci, sfibrati da vecchie permanenti e tinture, escono dopo tre ore con vaporose testine ricciute, bianco-cilestrine o rosso diavolesse, felici e soddisfatte, per il lavoro del parrucchiere e con la consapevolezza di aver bene impiegato il loro tempo.

domenica 16 dicembre 2012

Buoni e cattivi



In letteratura i cattivi esistono per una precisa ragione: per giustificare la presenza e l’agire dei buoni. Senza i cattivi cosa farebbero mai i buoni?

Pensateci: senza Gambadilegno e Macchia Nera, Topolino non sarebbe nessuno, come potremmo divertirci con zio Paperone se non ci fosse la Banda Bassotti? E Luky Luke potrebbe esistere senza i fratelli Dalton?

Quando pensiamo a Jean Valjean, ci vengono subito in mente Javert e la perfida Tenardier, se diciamo Harry Potter la mente va subito a Voldemort  e a Malfoy.

Insomma, nei libri, nelle storie, c’è un equilibrio tra bene e male, talvolta il male vince ma, più spesso, è il bene a trionfare.

Nella realtà, nella Storia, quella vera, le cose vanno diversamente: i buoni sono pochi e perdono quasi sempre, i malvagi, i furbastri, i ladroni vincono quasi sempre e quasi dovunque.

O almeno, questa è la mia impressione, potrei anche sbagliarmi, chissà? Se mi guardo intorno mi sembra di vedere soltanto disonestà, arroganza ed ignoranza, a tutti i livelli: per strada, in autobus negli uffici, in classe, in televisione.

Un esempio? Prendiamo la politica italiana: tra non molto dovremo andare a votare ed io non so proprio chi scegliere. Tra i fratelli Dalton, la Banda Bassotti, Macchia Nera e Gambadilegno, voi a chi darete la preferenza?

sabato 1 dicembre 2012

Errata corrige



 Chiedo scusa ai miei lettori: la settimana scorsa ho avuto problemi con il blog e, non so come, sono saltate alcune righe che io avevo scrito e senza le quali la ricetta è incomprensibile. Rimedio subito: eccovi la ricetta completa del mitico timballo.
In una terrina mescolate dei piselli lessati, pezzetti di prosciutto cotto o wurstel, sale, pepe, parmigiano grattugiato e besciamella; se volete potete sostituire la panna alla besciamella.
Intanto mettete a lessare della pasta corta piuttosto grossa, tipo paccheri, per intenderci. Scolate la pasta quando è ancora molto al dente.
In una teglia, foderata con carta da forno e unta con un fili d’olio, mettete la pasta e l’impasto, badando bene di far entrare il ripieno all’interno della pasta. Ricoprite con sottilette e infornate a 180°.
Il tempo di cottura non ve lo so dire, io vado a occhio e forchetta, ogni tanto apro il forno e controllo. Quando la pasta è quasi pronta, accendete il grill per formare la crosticina superficiale che dà il tocco finale. Attenti a non far bruciare, questa è l’unica parte un po’ difficile della ricetta: il timballo deve risultare  croccante non bruciato!
Spegnete il forno e lasciate raffreddare con il timballo dentro.  Servite dopo circa un’ora: il timballo sarà soffice, croccante e ancora caldo ma non brucerà il vostro palato e potrete godervi appieno il sapore.
Accompagnate con vino, bianco o rosso, a vostro gusto.
E’ una ricetta facile facile ma di sicuro successo. Buon appetito!

domenica 25 novembre 2012

Teatro, sgommarelli e schiumarole



Venerdì sera, con la mia amica L. e con l’immancabile FG, sono andata al teatro Argentina a vedere “Servo di scena” di Harwood con Franco Branciaroli e Tommaso Cardarelli. Mi aspettavo una buona messa in scena ma sono rimasta letteralmente estasiata: lo spettacolo era assolutamente perfetto!! Cosa che ormai capita sempre più di rado.
Tutto funzionava a meraviglia: scena, luci, costumi, tempi e ritmi della recitazione, volume e tono delle voci, efficacissimo l’equilibrio recitativo tra humor e tragicità degli attori. Cardarelli ha dato vita ad un servo umanissimo, ironico ed affettuoso, comprensivo e distaccato al tempo stesso, un personaggio che ti resta nell’anima. Branciaroli, lo sappiamo, è uno che “buca” il palcoscenico, è forse l’ultimo dei grandi mattatori, alla Gasmann, alla Carmelo Bene, lui, di solito, non recita: acchiappa gli spettatori e li porta dove vuole lui, spesso in una spirale frastornante e destabilizzante. Invece in questo spettacolo, ha giocato tutto sull’equilibrio; a cominciare dalla voce, stupendamente impostata, profonda, a tratti quasi ipnotica, ritmica e ritmata a dare il tempo agli altri della compagnia. Il suo Sir, il personaggio dell’attore al tramonto, è un mix, assolutamente perfetto, di superbia e sofferenza, di narcisismo e depressione, di orgoglio e disillusione, un personaggio dolorosamente coinvolgente nel quale mi sono in parte riconosciuta.
Insomma, Servo di scena è uno di quegli spettacoli che restano dentro, che rendono felici per la loro perfezione.
Ieri mi sono dedicata alla cucina. Io non amo cucinare, lo sapete, so fare poche cose, però quelle le faccio bene.
Dopo aver preparato il dessert, coppette di biscotti e marmellata, affogati in liquore, ho iniziato la preparazione del mio famosissimo timballo. La FG stazionava nei dintorni e mi faceva da “servo di scena”, nel senso che mi passava gli utensili che le richiedevo e lavava quelli che non mi servivano più.
Ovviamente, la cosa non è stata proprio così semplice: la FG, da dialettologa dilettante, ha cominciato a ragionare sui nomi che nelle varie regioni italiane vengono dati a mestoli e palette; ne è nata una dotta disquisizione mentre io utilizzavo la “schiumarola” ovvero la paletta con i buchi, lo” sgommarello”, cioè il mestolo per la salsa o il brodo e l’immortale “cucchiarella”, che non è altro che il mestolo di legno usato per girare il sugo e che in passato veniva usato dalle madri come arma impropria per menar botte sui sederi dei propri figli monelli. Il che, direbbe il buon Guareschi, è bello ed istruttivo.
Cose che capitano a casa mia, nelle altre famiglie non so.
Ah, dimenticavo, il timballo era buonissimo, se volete la ricetta, scrivetemi e io ve la racconto in un prossimo post!