L’orrore che ha colpito la gente, alla notizia
della bomba davanti alla scuola di Brindisi, ha pervaso anche me, ovviamente.
Sono abbastanza vecchia da ricordare le stragi di
piazza Fontana e Brescia, gli anni del terrorismo, la paura di quando, andando all’Università,
non si sapeva mai che cosa poteva accadere.
Avevo paura eppure speravo in un mondo migliore,
volevo essere un’insegnante per trasmettere i valori della Pace ai miei alunni,
volevo, nel mio piccolo, cambiare il mondo in meglio. Non ci sono riuscita,
evidentemente, il mondo non sembra cambiato se non in peggio.
La morte, le ferite, la sofferenza delle ragazze
colpite e delle loro famiglie sono atroci di per sé ma le parole, trite e
vuote, dei politicanti e degli sciacalli, che si sono affrettati a mettersi in
mostra, le hanno rese ancora più mostruose. I luoghi comuni, banali ed
ipocriti, scavano ancora di più nel dolore delle vittime e dei famigliari.
L’unica faccia sincera mi è parsa quella di un’insegnante
che era là al momento dello scoppio; piangeva e parlava delle ragazze, non
pensava che anche lei avrebbe potuto morire, non piangeva per sé, piangeva per
loro.
Loro, gli alunni, i ragazzi. Anche tra loro ci sono
gli ipocriti, i disonesti, i violenti ma tanti, tantissimi sono puliti,
innocenti, hanno sogni e speranze e molti studiano e lavorano seriamente per
realizzarle
Lo fanno in una scuola alla quale è stato tolto
tutto, una scuola nella quale la maggioranza dei docenti è fatta di precari, di
supplenti o di vecchi, come me, una scuola dove non ci sono soldi neppure per
comprare i gessetti per le lavagne.
E’ inutile dire, come ha detto ieri qualcuno, che i
ragazzi sono il futuro quando il futuro (e anche il presente), è stato loro
rubato, quando tutti sappiamo che le loro prospettive sono praticamente nulle.
Eppure tanti ragazzi sperano ancora, studiano e si
impegnano e, talvolta, creano cose bellissime, come la poesia che vi regalo
oggi.
L’ha scritta una mia alunna, le ho chiesto il
permesso di pubblicarla e lei me lo ha concesso. Si chiama Elena, è una
lettrice e credo che diventerà un’ottima scrittrice; in questa sua poesia io mi
riconosco benissimo: anche io ho un’isola tutta mia, un luogo di delizie dove
posso gustare le parole, dove posso rifugiarmi quando il dolore della vita si
fa insopportabile, dove posso trovare il coraggio per continuare a fare il mio
dovere.
L’immagine è opera di un’altra alunna, si chiama
Elisabetta e, come potete vedere, disegna magnificamente.
Elena, Elisabetta e tanti altri ragazzi e ragazze
come loro hanno sogni e speranze, sta a noi adulti non strappargliele.
Libertà di un momento
di Elena D.B.
Liberi una volta al giorno
di gustare parole sull’isola,
come un fiore che respira
in una leggenda di fuoco.
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