Venerdì sera, con la mia amica L. e con l’immancabile FG,
sono andata al teatro Argentina a vedere “Servo di scena” di Harwood con Franco
Branciaroli e Tommaso Cardarelli. Mi aspettavo una buona messa in scena ma sono
rimasta letteralmente estasiata: lo spettacolo era assolutamente perfetto!!
Cosa che ormai capita sempre più di rado.
Tutto funzionava a meraviglia: scena, luci, costumi, tempi e
ritmi della recitazione, volume e tono delle voci, efficacissimo l’equilibrio
recitativo tra humor e tragicità degli attori. Cardarelli ha dato vita ad un
servo umanissimo, ironico ed affettuoso, comprensivo e distaccato al tempo
stesso, un personaggio che ti resta nell’anima. Branciaroli, lo sappiamo, è uno
che “buca” il palcoscenico, è forse l’ultimo dei grandi mattatori, alla
Gasmann, alla Carmelo Bene, lui, di solito, non recita: acchiappa gli
spettatori e li porta dove vuole lui, spesso in una spirale frastornante e
destabilizzante. Invece in questo spettacolo, ha giocato tutto sull’equilibrio;
a cominciare dalla voce, stupendamente impostata, profonda, a tratti quasi
ipnotica, ritmica e ritmata a dare il tempo agli altri della compagnia. Il suo
Sir, il personaggio dell’attore al tramonto, è un mix, assolutamente perfetto,
di superbia e sofferenza, di narcisismo e depressione, di orgoglio e
disillusione, un personaggio dolorosamente coinvolgente nel quale mi sono in
parte riconosciuta.
Insomma, Servo di scena è uno di quegli spettacoli che
restano dentro, che rendono felici per la loro perfezione.
Ieri mi sono dedicata alla cucina. Io non amo cucinare, lo
sapete, so fare poche cose, però quelle le faccio bene.
Dopo aver preparato il dessert, coppette di biscotti e
marmellata, affogati in liquore, ho iniziato la preparazione del mio
famosissimo timballo. La FG stazionava nei dintorni e mi faceva da “servo di
scena”, nel senso che mi passava gli utensili che le richiedevo e lavava quelli
che non mi servivano più.
Ovviamente, la cosa non è stata proprio così semplice: la
FG, da dialettologa dilettante, ha cominciato a ragionare sui nomi che nelle
varie regioni italiane vengono dati a mestoli e palette; ne è nata una dotta
disquisizione mentre io utilizzavo la “schiumarola” ovvero la paletta con i
buchi, lo” sgommarello”, cioè il mestolo per la salsa o il brodo e l’immortale
“cucchiarella”, che non è altro che il mestolo di legno usato per girare il
sugo e che in passato veniva usato dalle madri come arma impropria per menar
botte sui sederi dei propri figli monelli. Il che, direbbe il buon Guareschi, è
bello ed istruttivo.
Cose che capitano a casa mia, nelle altre famiglie non so.
Ah, dimenticavo, il timballo era buonissimo, se volete la
ricetta, scrivetemi e io ve la racconto in un prossimo post!