Oggi
vi propongo un articolo che ho trovato su Facebook, è un’intervista che
coincide perfettamente con il mio punto di vista, una cosa molto triste ma,
temo, molto vera.
Il
sito sul quale è pubblicata è: www. Informarexresistere.fr
Parla
Zagrebelsky: “F35, giustizia e Kazakistan, è l’umiliazione dello Stato”
Intervista
al presidente emerito della Corte costituzionale, secondo cui nel nostro Paese
“grave un ‘non detto’ che spiegherebbe molte cose”: “Si fa finta di vivere
nella normalità della vita democratica, ma non è così. Su tutto domina la
difesa dello status quo, in questa maniera la democrazia muore”
Siccome
i “maltrattamenti” alla Carta continuano, ci tocca disturbare di nuovo – a
poche settimane dall’ultima volta – Gustavo Zagrebelsky.
Professore,
negli ultimi tempi abbiamo assistito a numerosi episodi di natura politica e
costituzionale che hanno suscitato discussioni e polemiche. Lei che ne pensa? Prima che dagli episodi, iniziamo
da un dubbio, da un interrogativo di portata generale, di cui vorremmo non si
dovesse parlare. E, invece, dobbiamo.
Cosa
intende? Una cosa
angosciante. Si tratta solo di singoli episodi, oppure di manifestazioni di
qualcosa di più profondo, che non riusciamo a vedere e definire con chiarezza,
ma avvertiamo come incombente e minaccioso? Qualcosa in cui quelli che
altrimenti sarebbero appunto solo episodi isolati, assumono un significato
comune. Li dobbiamo trattare isolatamente o come sintomi d’un generale e
pericoloso malessere?
Dica lei. Guardi: può darsi ch’io pecchi in
pessimismo. Mi sembra che sulla vita politica, nel nostro Paese, in questo
momento, gravi un “non detto” che spiegherebbe molte cose. Si fa finta di
vivere nella normalità della vita democratica, ma non è così. È come se una
rete invisibile avvolgesse le istituzioni politiche fossilizzandole; imponesse
agli attori politici azioni e omissioni altrimenti assurdi e inspiegabili;
mirasse a impedire che qualunque cosa nuova avvenga. Questa è stasi, situazione
pericolosa. Se qualche episodio, anche grave o gravissimo, sfugge alla rete,
l’imperativo è sopire, normalizzare. Ciò che accade sulla scena politica sembra
una messinscena. Ci si agita per nulla concludere. Ma la democrazia, così,
muore. Lo spettacolo cui assistiamo sembra un gioco delle parti, oltretutto di
livello infimo. Il numero degli appassionati sta diminuendo velocemente.
L’umore è sempre più cupo. Bastava guardare i volti e udire il tono di alcuni
che hanno preso la parola nel dibattito sulla vicenda della “rendition” kazaka.
Sembravano tanti “cavalieri dalla trista figura”. Non si respirava il “fresco
profumo della libertà”, di cui ha scritto ieri Barbara Spinelli. Né v’era
traccia di quella “felicità” che è l’humus della democrazia, di cui abbiamo
ragionato Ezio Mauro e io, in contrasto con l’atmosfera stagnante dei regimi
del sospetto, dell’intrigo, della libertà negata.
Si riferisce
alla maggioranza modello “larghe intese”? Innanzitutto: è una maggioranza contro natura;
contraria alle promesse elettorali e quindi democraticamente illegittima, anche
se legale; che pretende di fare cose per le quali non ha ricevuto alcun
mandato. Ricorderà che è stata formata pensando a poche e chiare misure da
prendere insieme: governo “di scopo” (come se possa esistere un governo senza
scopi!), “di servizio” (come se ci possa essere un governo per i fatti suoi!)
e, poi, “di necessità”. Ora, sembra un governo marmorizzato il cui scopo
necessario sia durare, irretito in un gioco più grande di lui. La riforma
elettorale, bando alle ciance, non si fa, perché in fondo, oltre che essere
nell’interesse di molti, nel frattempo, con l’attuale, non si può tornare a
votare. Perfino l’abnorme procedimento di revisione della Costituzione è stato
pensato a questo scopo, come si ammette anche da diversi “saggi” che pur si
sono lasciati coinvolgere. E, in attesa che la si cambi, la si viola.
Così
arriviamo agli episodi. Il caso F-35? Incominciamo da qui. Il Parlamento è stato esautorato
quando il Consiglio supremo di difesa ha scritto che i “provvedimenti tecnici e
le decisioni operative, per loro natura, rientrano tra le responsabilità
costituzionali dell’esecutivo”, sottintendendo: “responsabilità esclusive”.
Chissà chi sono i consulenti giuridici che hanno avallato queste affermazioni,
che svuotano i compiti del Parlamento in materia di sicurezza e politica
estera? Un regresso di due secoli, a quando tali questioni erano prerogativa
regia. Del resto, lei sa che cosa è questo Consiglio? Qualcuno si è ricordato
che la sua natura è stata definita nel 1988 da una relazione della Commissione
presieduta da un grande giurista, Livio Paladin, istituita dal presidente
Cossiga per fare chiarezza su un organo ambiguo (ministri, generali, presidente
della Repubblica)? Fu chiarito allora che si tratta di un organo di consulenza
e informazione del presidente, senza poteri di direttiva. D’altra parte, chi
stabilisce se certi provvedimenti e certe decisioni sono solo tecniche e
operative, e non hanno carattere politico? I sistemi d’arma, l’uso di certi
mezzi o di altri non sono questioni politiche? Chi decide? Il Parlamento, in un
regime parlamentare. Forse che si sia entrati in un altro regime?
L’affaire
kazako è una “brutta figura internazionale” o una violazione dei diritti umani? Una cosa e l’altra. Ma non solo: è l’umiliazione
dello Stato. Ammettiamo che nessun ministro ne sapesse qualcosa. Sarebbe per
questo meno grave? Lo sarebbe perfino di più. Vorrebbe dire che le istituzioni
non controllano quello che accade nel retrobottega e che il nostro Paese è
terreno di scorribande di apparati dello Stato collusi con altri apparati, come
già avvenuto nel caso simile di Abu Omar, rapito dai “servizi” americani con la
collaborazione di quelli italiani e trasportato in Egitto: un caso in cui s’è
fatta valere pesantemente la “ragion di Stato”. Non basta, in questi casi, la
responsabilità dei funzionari. L’art. 95 della Carta dice che i ministri,
ciascuno personalmente, portano la responsabilità degli atti dei loro dicasteri.
Se, sotto di loro, si formano gruppi che agiscono in segreto, per conto loro o
in combutta con poteri estranei o stranieri, il ministro non risponderà
penalmente di quello che gli passa sotto il naso senza che se ne accorga. Ma
politicamente ne è pienamente responsabile. Troppo comodo il “non sapevo”. Chi
ci governa, per prima cosa, “deve sapere”. Se no, dove va a finire la nostra
sovranità? Chi, dovendola difendere, in questa circostanza, non l’ha difesa?
Che dire del
blocco del Parlamento decretato per protesta contro l’Autorità giudiziaria? Che, anche questa, come la
manifestazione di decine di parlamentari scalpitanti dentro e fuori il
Tribunale di Milano, è una vicenda inconcepibile. Altrettanto inconcepibile è
che l’una e l’altra non siano state oggetto di puntuale e precisa condanna.
Anche qui: ammettiamo per carità di Patria che l’una sia stata una normale
sospensione tecnica e l’altra una visita guidata a un palazzo pubblico. Non basta,
però, averli “derubricati”, per poter dire che non è successo nulla. La
questione è che non s’è detto autorevolmente che l’intento e i mezzi immaginati
sono, sempre e comunque, inammissibili perché contro lo Stato di diritto.
C’è una
logica che spiega i singoli episodi? Potrei sbagliare, ma a me pare che su tutto domini la
difesa dello status quo e del governo che lo garantisce. In stato di necessità,
si passa sopra a tutto il resto. L’impressione, poi, è che in quella rete
invisibile di connivenze, di cui parlavo all’inizio, si finisca per attribuire
a un partito e al suo leader un plusvalore che non corrisponde al loro consenso
elettorale e alla rappresentanza in Parlamento. Come se toccarne gli interessi
possa determinare una catastrofe generale. Sembra che tutti siano utili, ma
qualcuno sia necessario e, per questo, si debbano tollerare da lui cose che,
altrimenti, sarebbero intollerabili.
Così si è
corrivi nei confronti di una parte politica, anche se c’è di mezzo la
Costituzione. A chi spetta difenderla? In democrazia, a tutti i cittadini, che nella
Costituzione si riconoscono. Poi, a chi occupa posti nelle istituzioni,
subordinatamente a un giuramento di fedeltà. Infine, salendo più su, a colui
che ricopre il ruolo comprensivamente detto di “garante della Costituzione”, il
presidente della Repubblica.