Negli anni ’60 del XX secolo i
miei nonni materni vivevano in una cittadina vicino Roma. Con loro abitava un
gatto. Non era il gatto dei miei nonni, lui e mia nonna si erano incontrati e
si erano piaciuti: il gatto andò a vivere da mia nonna e mia nonna glie lo
permise. Era un gatto molto autonomo, come tutti i gatti, entrava e usciva a
suo piacimento, nella cittadina dove vivevano i miei nonni tutto era
tranquillo, i portoni delle case si potevano lasciare tranquillamente aperti,
nessuno sarebbe entrato a rubare, perciò il gatto se ne andava in giro a suo
piacimento. Aveva una sua vita privata della quale nessuno di noi mai seppe
nulla: dove andasse, con chi si incontrasse, noi lo ignoravamo.
Mia nonna gli aveva dato un nome:
Topo Gigio. Avete letto bene, ad un gatto mia nonna aveva dato il nome del topo
televisivo più famoso della storia italiana! A mia madre, che faceva notare
alla nonna l’incongruenza, imperturbabilee perentoria la nonna rispose: “A me
piace”. Non ci fu niente da fare, Topo Gigio rimase battezzato così, sebbene,
essendo il nome piuttosto lungo, venne ben presto abbreviato in Gigio.
Gigio era un comunissimo gatto,
uno dei tanti soriani randagi che vivevano nella cittadina, di colore
grigiastro, con lunghi baffi, lunga coda e lunghe unghie.
Topo Gigio non mangiava i
croccantini o le monoporzioni dei pranzetti per gatti, mangiava gli avanzi che
mia nonna gentilmente gli serviva nella ciotola. Mai mia nonna si sognò di
portare Gigio dal veterinario, a quei tempi i veterinari curavano mucche e cavalli,
non vaccinavano gatti e cani da compagnia. Perciò Gigio visse felicemente senza
vaccinazioni.
Il rapporto con i miei nonni era
guardingo. Da entrambe le parti. Sicuramente mio nonno era affezionato al gatto
ma non esprimeva in alcun modo questo affetto, del resto, pur volendo bene a
noi nipoti, mio nonno non ci manifestava in alcun modo questo sentimento. Era
socialista e parecchio tosto. Anche il gatto non andava oltre una benevola
condiscendenza, accettando con una certa aria di sufficienza, le carezze, per
altro abbastanza rare, della nonna. Quanto a lui, al massimo esprimeva la sua
gratitudine con qualche strusciatina contro le gambe dei suoi coinquilini.
Io ero piuttosto piccola, sapevo
cos’era un gatto: ne avevo viste le immagini sui libri e alla televisione, ma
Gigio era il primo gatto reale con cui venissi in contatto. Gigio mi
terrorizzava e per vari motivi.
Intanto perché aveva la capacità
infernale di muoversi in perfetto silenzio, come del resto tutti i gatti sanno
fare, ti arrivava alle spalle senza che tu lo sentissi: lui era là, con i suoi
occhi giallissimi e ti fissava.
Poi aveva un’altra pessima
abitudine: mentre eravamo a pranzo, Gigio si arrampicava sulla sedia per
ottenere cibo, lui faceva il suo mestiere di gatto, ma io stavo male dalla
paura.
In realtà, il vero motivo per cui
io temevo Gigio era un altro, ma questo l’ho capito soltanto dopo, da grande:
quando guardavo Gigio negli occhi, oscuramente, io capivo che dietro quegli
occhi c’era un’intelligenza ma io, troppo piccola forse, non potevo e non
sapevo entrare in contatto con quell’intelligenza, e questo mi faceva paura.
Era come trovarsi di pronte ad un extraterrestre, sapere che l’essere davanti a
me pensava, provava sentimenti, comprendeva eppure io non potevo comunicare con
lui. Questa sensazione di impotenza mi capita ancora di provarla, ogni tanto,
davanti a qualche alunno.
Gigio andava e veniva, la sera,
quando mia nonna stava per chiudere il portone per la notte, si affacciava alla
finestra e chiamava:”GIIIIGIOOOO”. Dopo un po’, non si seppe mai da dove, Gigio
compariva con passo tranquillo e con tranquilla nonchalance entrava nella “Sua”
casa. Qualche volta arrivava con chiari segni di combattimento: graffi e segni
di morsi, era un gatto che evidentemente sapeva farsi rispettare.
Una sera Gigio non tornò a casa,
erano passati parecchi anni da quando lui e mia nonna si erano incontrati, era
piuttosto anzianotto, non sapemmo mai cosa gli fosse accaduto. Forse era morto
di vecchiaia o investito da una macchina, forse aveva mangiato qualcosa che lo
aveva avvelenato. Non lo sapemmo mai. I miei nonni non piansero, non piangevano
nemmeno quando morivano le persone, figuriamoci per un gatto! Però da allora
mia nonna, che di gatti ne aveva avuti tanti prima di Gigio, non ne volle mai
più nessun altro.
1 commento:
Molto commuovente dato che, a mio parere, i gatti sono quasi come persone.
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