Hanno scelto tutti il tema sul razzismo, tutti
tranne uno che ha svolto quello sulle innovazioni tecnologiche, forse perché
non voleva compromettersi o forse perché si sente troppo immaturo per parlare
di temi sociali.
Molti di loro mostrano comportamenti palesemente
razzisti ma, poiché è noto che la professoressa non lo è, tutti hanno impostato
il tema contro il razzismo.
La professoressa, tre volte a quadrimestre, è
chiamata all’ingrato compito di leggere e correggere i compiti in classe degli
alunni, tre, quattro ore buttate a leggere scemenze mal scritte. Anche questa
volta i compiti sono pieni di luoghi comuni, buttati sulla carta senza un
briciolo di analisi, di riflessione, di partecipazione, come in uno di quei
programmi delle tv mediaset: aria fritta, buona solo per gli ignoranti e gli
imbecilli. Poiché gli alunni della professoressa sono, a tutti gli effetti,
imbecilli ed ignoranti, l’aria fritta è espressa anche in uno pseudo-italiano,
farcito con errori ortografici, grammaticali e sintattici degni dei peggiori
talk-show televisivi.
La professoressa li legge, sottolinea
diligentemente in penna rossa gli errori più marchiani, attribuisce una
valutazione di sufficienza, come da ordini di scuderia (si sa, i dirigenti
scolastici non vogliono guai con genitori anche più ignoranti della loro prole
ma aggressivi e polemici), mentre una vaga nausea la prende alla bocca dello
stomaco e mentre si chiede che senso abbia ormai il suo lavoro e quando
riuscirà ad andare finalmente in pensione.
Poi accade un piccolo miracolo: un compito, uno
solo su ventiquattro, è incredibilmente perfetto: idee originali,
personalissime, esempi calzanti tratti dalla storia e dalla cronaca, uno stie
piano, scorrevole, ben strutturato. La professoressa rilegge, incredula ma non
troppo: sa che l’autrice è una alunna diligente, una delle pochissime che la
ascolta quando lei fa lezione, una ragazzina che sta crescendo bene tra
coetanei-spazzatura. La professoressa rilegge e poi, con un piccolo sospiro di
sollievo, scrive la valutazione: Dieci e sa che quella alunna, quel compito e
quel voto giustificano e danno ancora un senso al suo lavoro.