Uno spettacolo di rara eleganza, raffinatissimo, come, purtroppo, non se ne vedono molti oggi.
Mi è piaciuto tutto: le luci affascinanti che sottolineavano la recitazione, la musica, bellissima, classica, delicatissima.
La scenografia, in legno dal caldo colore di ciliegio, era affascinante nella sua essenzialità.
Gli attori hanno recitato con grande maestria sia quelli già esperti che i più giovani.
Claudia Balboni ha disegnato una Babette magistrale: la mitica cuoca del café Anglais trapiantata nella gelida Norvegia, fuggitiva dalla Parigi post-comunarda, al servizio di due anziane signorine protestanti che decide di cucinare “un vero pranzo francese”, ci ha trasmesso tutto l’orgoglio di una suprema artista dei fornelli.
Lydia Biondi ha saputo dare alla sua Martina la svagatezza un po’ sognante di un’anziana signorina che ritrova nei ricordi la dolcezza dimenticata della vita.
Cristina Noci ci ha offerto una Filippa che passa dalla durezza puritana nella quale si è corazzata alla lievità del canto e della musica ai quali aveva rinunciato in una giovinezza così lontana da sembrare fantastica.
Nicola d’Eramo è stato un generale perfetto: le esperienze della vita militare e mondana emergono come tratti ormai codificati del suo carattere.
Le ambiguità del cantante lirico Papin sono state sottolineate con grazia un po’ fané da Alessio Caruso.
Francesca Romana de Berardis ci ha proposto una Charlotte, cameriera e aiuto cuoca, ingenua, un po’ pettegola e tanto tenera.
Anche Giulia Adami e Daniele Grassetti, nelle parti di Filippa Giovane e del generale giovane sono stati decisamente convincenti.
L’apparato scenico, soprattutto la tavola apparecchiata, e i costumi erano perfetti, la regia di Riccardo Cavallo accuratissima e frutto di una attenzione quasi maniacale per i dettagli.
È stato uno spettacolo “all’antica” nel senso di una messa in scena filologica, precisa, puntuale, una messa in scena insomma di quelle che a me piacciono tanto.
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