L’anno scorso avevo visto la stessa opera interpretata da Anna Marchesini ( avevo commentato lo spettacolo nel post intitolato “Una grande attrice”) e ieri sera ero curiosa di “fare il confronto”, di vedere quale delle due attrici fosse più convincente.
In realtà il confronto non c’è stato perché l’interpretazione di Adriana Asti è stata diversa ma ugualmente affascinante di quella della Marchesini.
Robert Wilson, il regista, ha offerto una lettura essenziale, stringatissima, minimalista, direi, della solitudine umana, incarnata da Winnie, la protagonista, e la Asti ha interpretato da par sua: sola in scena per quasi due ore, sepolta nel buco, tra rocce vagamente laviche, parla, parla, parla. Soliloquia rivolgendosi a Willie, un marito pressoché invisibile, che risponde, talvolta, a grugniti e versi bestiali. Winnie incarna la nostra solitudine, l’impossibilità di comunicare, il che sembra assurdo in un’epoca come la nostra fornita di formidabili strumenti di comunicazione. Ma Winnie, cioè tutti noi, non può trasmettere agli altri che il nulla dell’esteriorità, non può comunicare i suoi sentimenti più veri, i suoi sogni, la sua vita interiore, ammesso che ne abbia una. Proprio come tutti noi.
Adriana Asti ha disegnato un personaggio statuario, scolpito quasi anch’esso nella roccia della quale è prigioniero, con la sua inconfondibile voce, a tratti metallica, con un sostrato di accento lombardo che rendeva più secca la sua dizione, ci ha portato nel deserto profondo della solitudine e dell’insignificanza della vita umana.
Ora, voi potreste chiedervi se io sia folle ad andare, dopo una settimana di fatiche, a vedere drammi di tale portata. La risposta è che sì, forse sono pazza ma a me lo spettacolo è piaciuto da morire, io mi ci riconosco in Winnie, anche io come lei non riesco a comunicare agli altri i miei pensieri più profondi. E mi sento sola quasi sempre. A meno che non ci siano nei dintorni alcune persone che riescono a capirmi: le mie amiche L. e M., mia sorella Cat e…la mitica FG, naturalmente!
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