Il naso di Cyrano: Una settimana fantastica

domenica 17 ottobre 2010

Una settimana fantastica

Lettori cari, vi avverto: questo mio post sarà un po’ più lungo del solito ma ho tante cose da raccontare e tutte belle, quindi sarò meno sintetica del solito; vorrà dire che se vi annoierete a leggermi potrete sempre interrompere e fare cose più interessanti.

Martedì sera, io e la FG siamo andate alla prima dello spettacolo”Il caso Majorana show”. Avevo i biglietti omaggio e ci sono andata molto dubitosa, vuoi perché pioveva, vuoi perché il giorno dopo dovevo andare a scuola presto, vuoi perché la scomparsa di Ettore Majorana, il geniale fisico collaboratore di Enrico Fermi, non è proprio un argomento divertente.

Invece mi sono divertita da pazzi. Lo spettacolo era una feroce satira dei talk-show che fanno sistematicamente sciacallaggio mediatico su ogni morte, rapimento, sparizione, catastrofe naturale che accade nel mondo.

Il geniale testo di Massimo Pallottino (che tra l’altro interpreta magistralmente lo “storico”), diretto da Marco Simeoli, che ci diverte e ci fa riflettere ormai da vent’anni, prima come attore dello storico gruppo dei “Picari” e poi come regista, mette alla berlina presentatori cinici e asserviti al potere, cantanti e ballerine mononeuroniche, psicologi e tuttologi che straparlano in una lingua che ha solo qualche lontana parentela con l’italiano, valletti superraccomandati, insomma la solita fauna televisiva.

Dal 1938, anno della scomparsa di Majorana ad oggi, nulla sembra mutato, i soliti furbi si spartiscono soldi e potere, gli altri abbozzano, nonostante la Costituzione, nonostante la libertà, che forse è ancora solo un miraggio.

Si ride per tutto lo spettacolo, le battute sono fulminanti, intelligentissime, caustiche. Si ride ma, poi, si pensa e non sono pensieri divertenti, si pensa che tanta gente è morta per cambiare le cose e le cose sono cambiate ma in peggio. Un esempio: se i giovani di ieri, Fermi , Amaldi, Majorana, giocavano a palletta nei corridoi dell’Istituto di Fisica (come i giovani di tutti i tempi da che mondo è mondo) ma poi scoprivano i fondamenti della fisica atomica, i giovani d’oggi, per lo meno quelli raffigurati nella commedia, non scoprono nulla, neppure provano a pensare.

Gli interpreti hanno saputo dare vita a personaggi godibilissimi ma credibili, Cristian Ginepro è un anchor man arrogante con i deboli e servile con i potenti, pronto a servirsi di ogni piaggeria per raggiungere il traguardo dell’audience; Sebastiano Colla e Stefano Messina ci offrono un’irresistibile duo comico: un Fermi,che parla con inequivocabile accento romano e a tratti ci ricorda Alberto Sordi, geloso di Majorana e del suo genio e un Amaldi, timido, logorroico e preciso fino all’esasperazione, suo il tormentone ricorrente:” Alla fine del 1932, primi giorni del !933..” che scatena le risate degli spettatori, prima ancora di venir pronunciato.

Una menzione speciale merita il giovane Edoardo Baietti, convincente nel doppio ruolo dell’avanguardista Verderame, segretario del ministro fascista che si occupò del caso nel 1938, e del valletto Verderame, raccomandatissimo figlio dell’onorevole Verderame, imposto al presentatore che lo odia ma deve sopportarlo.

Venerdì sera, con entrambe le figlie e con la mia amica L., ho festeggiato il mio onomastico al teatro Argentina, ho visto un affascinante “Misantropo” di Moliére. Massimo Castri, Popolizio e gli altri interpreti ci hanno offerto uno spettacolo di grande rigore, nessuna concessione ai barocchismi seicenteschi, a cominciare da scena e costumi. In scena alcuni sgabelli bianchi di forma vagamente barocca, alle pareti specchi, tutto rigorosamente bianchi. Tutto era fascinosamente giocato sul bianco e nero di scena e costumi. Uniche note di colore: le parrucche, bionde e rosse, dei personaggi. Lui, Alceste, il misantropo la parrucca non la porta, forse perché lui è l’unico uomo libero, forse perché lui è l’unico che non concede nulla alla menzogna e alle false cortesie. La commedia è tutta in questo alternarsi di essere ed apparire, di verità crudeli e cortigianerie feroci e gli specchi ne sono metafora, riflettono realtà ed immagini riflesse. La verità, le menzogne si moltiplicano all’infinito, tanto da rendere difficile, ad un certo punto, comprendere cosa sia reale e cosa no.

Nel gioco di ruffiane cortesie e cortesi malignità, spicca lui, il misantropo, l’uomo che non viene a patti, l’uomo che vorrebbe lealtà nei rapporti umani, anche a costo di sembrare scortese, l’uomo che si innamora, disperatamente, della più incallita e maligna “preziosa” che non può, perché non sa, ricambiare lealmente un amore prezioso che lei non comprende.

Popolizio ha interpretato un Alceste dolorosamente lacerato, disadattato in una società, quella francese del Seicento, che egli non capisce o capisce anche troppo bene ma alla quale non può, poiché è onesto, adattarsi. Nessuna concessione al gigionismo che pure il ruolo offrirebbe, l’attore ha interpretato il personaggio attraverso una recitazione asciutta, chiara, diretta, minimalista ed essenziale come la scena.

Io, venerdì sera ero stanchissima ma lo spettacolo mi ha catturato e ho dimenticato tutta la fatica, mi sono tuffata nella storia e per due ore sono stata Alceste, ho sofferto con lui e, come lui, mi sono sentita migliore dei cortigiani e delle preziose del suo e del mio tempo.

Oggi, con l’immancabile FG, sono andata a vedere la mostra sui pittori del Risorgimento, alle scuderie del Quirinale. Non erano esposte molte opere ma c’erano dei dipinti interessanti, non tanto per la qualità quanto per il loro valore documentario. L’Unità di Italia è un tema fin troppo declamato, in passato e di nuovo oggi ma a me non interessa la retorica del Risorgimento e del Patriottismo; io, da studiosa della Storia, sono interessata ad indagare con attenzione critica su un movimento che conosco assai bene (faccio par
te di quella generazione che veniva cresciuta “a pane e Risorgimento”) ma che vale la pena di approfondire.

Al book shop ho comprato alcuni testi sull’argomento e la FG ha voluto una raccolta di canti popolari che oltre ai canti del Risorgimento contiene anche quelli della Resistenza e delle lotte operaie, adesso, mentre scrivo questo lunghissimo post, stiamo ascoltandolo e viaggiamo tra la marcia di Garibaldi e “padron dalle belle braghe bianche”.

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