Fu, è vero, il sogno di pochi, di un gruppo di intellettuali che non seppero o non poterono comprendere che le masse non li avrebbero di certo seguiti, il sogno di un gruppo di utopisti, di illusi ma, alla fine, i sogni più belli (e i meno realizzabili) li sognano sempre in pochi.
La rivoluzione del 1799 fallì, non poteva essere altrimenti, il re tornò e la repressione fu spietata.
Certo, poi, sessant’anni dopo arrivò Garibaldi, anche lui aveva un sogno, di giustizia e di libertà e per quel sogno partì, con pochi altri, si batté da leone e, contro ogni probabilità, vinse. Poi si svegliò. Quando, dopo aver sconfitto definitivamente “ ’o RE” Borbone, si trovò davanti “il RE” Savoia e comprese che nulla sarebbe cambiato, che ingiustizia, privilegio e tirannide avrebbero continuato ad imperversare in Italia. Allora si ritirò nella sua isola, altro non poteva fare ma, forse, continuò a sognare.
Ma quella è un’altra storia o forse no, forse è sempre la solita storia. Forse lo spettacolo di oggi ha messo bene in evidenza che i sogni appartengono a pochi, che le masse “vogliono” ‘o Re, perché non possono comprendere la grandezza della libertà o perché, in fin dei conti, è più facile essere Lazzari che cittadini, è più facile ubbidire che essere responsabili.
C’era nel monologo, almeno mi è sembrato, anche un’ansia di insegnare, di educare, c’era un messaggio forte contro l’ignoranza ma anche contro un apprendimento acritico, Tore e Lucio, i due fratelli protagonisti, l’uno Lazzaro ed ignorante, l’altro giacobino e indottrinato, rappresentano le due facce di una stessa medaglia, non sono liberi e non possono esserlo perché entrambi non riescono a capire.
Alfonso Sessa ha saputo coinvolgere me e quanti sono stati in grado di comprendere, ha suscitato emozioni profonde e anche dolorose: l’amore per la libertà e la giustizia, il desiderio di agire per conquistarle, la dolorosa delusione, la consapevolezza dell’impotenza di fronte all’ignoranza dei più, dei vecchi e dei giovani che si accontentano, oggi come ieri, di essere sudditi d’ ‘o Re.
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