Qualche anno fa, in novembre,
inserirono in una prima media dove insegnavo un ragazzo proveniente dalla
Romania.
Naturalmente, immediate furono le
proteste dei genitori italiani, proteste che partirono non appena la notizia fu comunicata, prima
ancora che il nuovo alunno entrasse in aula e che alunni e genitori potessero
farsene un’idea.
Poiché i genitori italici mi
conoscevano, per fama e di persona, provvidero a mascherare le loro tendenze
razziste sotto i più svariati pretesti pseudo didattici che io contrastai con
energia ma loro non si diedero per vinti.
Qualche tempo dopo, alla riunione
per l’elezione dei rappresentanti di classe, i genitori tornarono all’attacco,
forti del fatto che il ragazzo, che chiameremo Jan, nome fittizio ovviamente,
era piuttosto monello.
Jan era monello ma non più dei
suoi compagni italiani, era un normalissimo ragazzino di undici anni, pieno di
energia, curiosità e voglia di fare amicizia con i suoi nuovi compagni. Gli
altri alunni lo avevano accolto bene, tutto sommato Jan era un tipo divertente
e, a undici anni, si fa presto a entrare in confidenza.
La riunione fu, per me,
fastidiosissima, i genitori attaccavano e io rintuzzavo con determinazione le
loro posizioni.
Poi arrivò la madre di Jan: una
bella signora, truccata un po’ vistosamente, che avanzava su scarpe dal tacco
proibitivo (almeno per me che da quel tipo di scarpe sarei sicuramente franata
a terra!), fasciata in un elegante tailleur grigio dalla gonna al ginocchio e
dalla giacca impeccabile sotto la quale appariva una camicetta dallo scollo
mozzafiato.
E il fiato lo mozzò davvero alla
componente maschile dei genitori! La presentai a tutti e, immediatamente, i
padri, dimentichi di ideologie e teorie pseudoeducative, cessarono di fare polemiche, furono tutti gentilissimi e, oserei dire,
galanti. Dichiararono che avrebbero fatto di tutto per permettere a Jan di
inserirsi facilmente nel gruppo classe e continuarono con il classico
comportamento che i maschi assumono quando si trovano davanti ad una bella donna.
Io ridevo tra me e me, quei padri erano uno spettacolo ridicolissimo, anche
perché la madre di Jan, evidentemente abituata a tali modi, pur gentilissima,
li trattava con l'evidente superiorità di chi tiene a bada un branco di cagnetti che vogliono il biscottino.
Poi, visto che quella donna se la
cavava benissimo, mi diedi ad osservare la componente femminile dei genitori;
tra le madri l’espressione, sia di quelle belle sia di quelle bruttine,
era unanime: per loro quella donna non era e mai sarebbe stata la madre di un
compagno dei loro figli: quella era una rivale e potenzialmente pericolosa. Quelle
donne avrebbero voluto continuare nella loro protesta ma avevano capito che,
per il momento, la partita era persa. Continuarono nella loro guerra fredda per
tutti e tre gli anni ma Jan, nonostante il loro rancore e la sua indubbia
discolaggine, dopo tre anni si prese la sua brava licenza media!!
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