Il naso di Cyrano: Macbeth

domenica 22 gennaio 2017

Macbeth



Venerdì sera, con la mia amica L., sono andata a teatro.
Era tanto tempo che non ci andavo più, un po’ perché, da quando la Fg ha traslocato dal suo Ab ed è emigrata, mi manca la complice delle nostre scorribande filologiche, un po’ perché ogni anno muoiono tanti veri attori, quelli che, per aver frequentato l’accademia o per aver fatto tanta gavetta nelle compagnie teatrali, sapevano recitare davvero, rimpiazzati da cani che, dopo aver fatto un po’ di cinema o qualche comparsata in tv, si credono attori. Ormai, se non si vuole rimpiangere di aver speso i soldi del biglietto, tranne rarissime eccezioni, si deve scegliere in base all’età: dai Settanta anni in su.
Franco Branciaroli ha giusto Settanta anni, fa teatro da una vita, ha lavorato con Luca Ronconi e Carmelo Bene e, venerdì’ sera, nel Macbeth ha confermato di essere un grande.
La messa in scena mi è piaciuta: la scena, minimalista, richiamava quelle del Globe, una serie di scivoli e parallelepipedi, quattro porte, uno scorrevole, una botola. Anche i costumi erano assai evocativi: rossi, bianchi e oro quelli del protagonista e della Lady, grigi, come la scena, quelli degli altri.
Le scene delle sorelle fatali e i due monologhi della regina sono stati lasciati in lingua originale con la bella musicalità del verso shakespeariano, sul fondo veniva proiettata la traduzione che a me non è servita: praticamente li conosco a memoria!
Branciaroli ha interpretato un Macbeth, molto moderno, troppo moderno: un irresoluto, secondo la tradizione certo, ma troppo introspettivo, troppo psicologico, a mio parere, più Amleto che Macbeth; mancava la cattiveria e l’enfasi declamatoria che in genere l’accompagna, che uno si aspetta quando assiste alla “Tragedia scozzese”.
Eppure lo spettacolo mi è piaciuto nonostante o forse proprio per quel senso di incompletezza che mi ha trasmesso, c’era comunque una grandezza nei personaggi del re e della sua lady, una grandezza della malvagità, dell’ambizione, dell’immoralità che caratterizza tanti dei “cattivi” del Teatro e della Letteratura e che, da sempre, affascina lettori e spettatori.

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