
Per i ragazzini andare al supermercato è una cosa normale, quasi una noia, se la mamma li costringe.
Io me la ricordo la prima volta che sono andata al supermercato. Avrò avuto otto o nove anni quando ne aprirono uno vicino a casa mia.
Prima c’ erano i negozi: Il macellaio, il panettiere e il mercato per frutta e verdura.
La pasta si vendeva sfusa, il panettiere la teneva in un grande mobile, pieno di cassetti, la prendeva con una paletta e la metteva in un cartoccio di cartapaglia dopo averne pesato la quantità richiesta. Le massaie avevano la retìna, cioè una borsetta a rete dove mettevano la spesa. La spesa si faceva quasi tutti i giorni, i congelatori non erano diffusi e non molte donne lavoravano. Le uova si compravano dall’ ovaro, un signore che aveva il banco al mercato e che le incartava nella carta di giornale.
Poi arrivarono i supermercati.
Quello vicino a casa mia si chiamava Romana Supermercati. Ci andammo il pomeriggio dell’ inaugurazione. Era immenso, o almeno così apparve ai miei occhi, e c’ era tutto ma proprio tutto. Naturalmente io e i miei fratelli litigammo per chi doveva portare il carrello, meravigliosa novità, io dicevo che toccava a me perché ero la più grande, mio fratello rivendicava il privilegio per sé in quanto maschio e mia sorella sosteneva che toccava a lei perché era piccola.
Non ricordo chi vinse, certo non io.
Percorrevamo i corridoi osservando e meravigliandoci. C’ erano tante novità, la frutta era impacchettata in piccoli e grandi vassoi, così come la carne e i salumi, non c’era il signore che te la tagliava dello spessore voluto, tutto era già pronto. C’ erano i barattoli di fagioli, i vasetti di marmellata di tante marche diverse e la pasta era confezionata in scatole di cartone e involucri trasparenti. Si poteva scegliere il prodotto e verificarne il prezzo senza chiedere a nessuno.
Il settore che mi colpì di più fu quello per l’ igiene personale. C’ erano saponette di tutte le marche ( non quante quelle di oggi ), shampo, balsami, profumi e deodoranti e anche l’ acqua di rose che usava mia nonna e che io adoravo perché aveva un profumo delizioso.
Per pagare, invece di dare il denaro al fornitore, si faceva la fila alla cassa, dove c’ erano delle graziose signorine con la divisa.
La retìna non serviva più, alla cassa ti davano delle grandi buste che, all’ epoca, erano di carta e sopra c’ era scritto il nome del supermercato.
Tutto era molto luminoso e scintillava di neon e formica.
Io non me ne resi conto ma il supermercato chiudeva un’ epoca e ne apriva un’ altra, cambiava il modo di fare la spesa, apriva la strada al consumismo e all’ inquinamento
( pensate solo alle buste e agli involucri di plastica dispersi nell’ ambiente ) ma, anche, concorreva a liberare le donne dalla schiavitù domestica. Il supermercato aveva orari diversi dai negozi, il pane lo si poteva comprare anche di pomeriggio, cosa impossibile dal fornaio che a mezzogiorno lo aveva già finito.
Ero, allora, troppo piccola per fare questi ragionamenti, per me allora il supermercato fu solo una bella scoperta, ci divertimmo quel pomeriggio anche se io, lo ricordo bene, sentivo dentro di me un disagio, un piccolo fastidio che allora non seppi definire ma che oggi conosco perché l’ ho provato tante altre volte, tutte le volte che mi rendo conto che sta finendo qualcosa, è un misto di paura per il nuovo e di rimpianto per il passato