sabato 13 dicembre 2008
Giulio Cesare
Ieri sera, a teatro, mi sono rivista il Giulio Cesare di Shakespeare e mi sono chiesta ancora una volta perché l’immortale genio abbia intitolato così questa tragedia, io ho sempre pensato che sarebbe stato meglio intitolarla Bruto.
In effetti, Cesare muore quasi subito, pugnalato dai congiurati, la fine più logica di un tiranno ambizioso.
Il personaggio che riempie la scena non è Cesare è Bruto, l’idealista, l’uomo che crede nella libertà, nel rigore morale, nell’integrità stoica di un’ etica politica peraltro irrealizzabile.
Infatti, dopo che lui ha ammazzato il tiranno, vede i suoi ideali traditi dai suoi stessi compagni, vede la vittoria dell’ opportunista Marcantonio e, soprattutto, vede l’ascesa di un tiranno peggiore di Cesare: Quell’ Ottaviano che affosserà definitivamente la Repubblica romana.
Ieri sera lo spettacolo è stato buono, a parte le discutibili scelte dei costumi: tute mimetiche e divise militari, forse a voler dire che la lotta tra l’integrità morale e la corruzione della politica sono ancor oggi attuali (ma lo sapevamo!).
Bruto ha recitato alla grande, chiuso in un sogno che spera di trasformare in una realtà che sa impossibile.
Al momento del celebre discorso mi sono commossa, io sto dalla parte di Bruto, sempre; avrei quasi voluto consolarlo, dirgli che i sogni sono la consolazione degli idealisti, purché si abbia la consapevolezza che è assolutamente inutile tentare di trasformarli in realtà, se ci si prova si rischia inevitabilmente la delusione. E infatti Bruto alla fine, quando tutto è perduto si uccide, non perché così evita di cadere nelle mani di Antonio e Ottaviano, no. Bruto si suicida perché non vuole vivere in una società che accetta i compromessi, la corruzione, l’avidità, la tirannia.
Bruto si suicida perché in un mondo di omiciattoli ambiziosi lui è un eroe.
Ogni volta che assisto ad una rappresentazione del Giulio Cesare ringrazio silenziosamente Shakespeare per aver scritto questa storia, tanto bella, tanto commovente,tanto vera.
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