Il naso di Cyrano: L’attentato

sabato 6 febbraio 2010

L’attentato

Per compiere in crimine, solitamente, sono necessari tre elementi: movente, occasione, arma.
Stasera è stato compiuto un attentato: hanno tentato di ammazzare Shakespeare.
L’occasione c’era: la messa in scena di Amleto.
L’arma c’era: una recitazione letale.
Stasera ho assistito all’ottavo Amleto nell’arco di due anni; mi spiego: causa studi della FG, passione smodata della medesima per l’immortale Prence di Danimarca, inarrestabile curiosità mia, pignoleria della sottoscritta nel cercare e trovare in dvd tutte le rappresentazioni del dramma shakespeariano, io in due anni ho visto otto messe in scena della stessa opera: Amleto!!!
Ormai lo so a memoria, potrei recitare tutte le parti, compresa quella che mi piace di più: il becchino.
A me Amleto non piace molto.
Voi potreste anche chiedervi: “Ma allora perché lo vedi?”. Non lo so, sarà perché sono tendenzialmente masochista, sarà per amore della FG che lo adora, sarà perché non è vero che non mi piace, nel senso che forse questo dramma, tutto sommato, mi affascina, fatto sta che stasera sono andata a teatro a vedere l’Amleto. L’Amleto?
Non sono molto sicura di aver visto l’Amleto, di sicuro ho visto il tentativo di assassinare Shakespeare.
La FG ancora schiuma dalla rabbia, nonostante abbia tentato di rabbonirla con un cocktail di mezzanotte.
Invano.
La FG ama troppo Shakespeare e nella fattispecie Amleto per farsi calmare da un cocktail, ce ne sarebbero voluti una diecina ma ho evitato, preferendo una figlia furibonda ad una figlia ubriaca.
Vi chiederete: “Ma cosa non andava nella rappresentazione?”.
Tutto: Innanzitutto la traduzione, evidente opera di una mente malata e pretenziosa, poi la scenografia ed i costumi, totalmente al di fuori del contesto, quindi le scelte registiche, penose imitazioni di un simbolismo surrealista privo di ogni senso, infine la recitazione.
Amleto era una rapa bollita, già l’espressione di Preziosi è quella di un tubero insipido se poi consideriamo la sua dizione piatta come la pianura Padana abbiamo un quadro abbastanza realistico del disastro.
A questo aggiungiamo un’Ofelia che parlava come un’adolescente di borgata corredata da gomma americana, una Gertrude priva di ogni valenza drammatica, che si rivolgeva al figlio come una signora bene al proprio parrucchiere, un Claudio che più che parlare ruggiva, un Laerte che sembrava un alunno isterico, un Orazio praticamente muto e saremo perfettamente in grado di ricostruire il piano criminale messo in atto dalla compagnia per perpetrare l’omicidio di Shakespeare.
L’unico che si salvava, almeno in parte, era Polonio.
All’inizio ho detto che per compiere un crimine occorrono tre elementi, l’occasione e l’arma ve li ho descritti.
Quello che non riesco a capire è il movente: Ma che gli ha fatto Shakespeare a quei cani che hanno tentato di farlo fuori?!?!?!
La cosa bellissima di questa assurda serata è che, nonostante l’incredibile impegno che gli attori hanno messo per distruggere un dramma immortale, Shakespeare non è morto.
Dietro l’incapacità criminosa degl’interpreti e del regista c’era il grande William, quella storia viveva, continuava a penetrare le coscienze degli spettatori, almeno la mia, le passioni, i sentimenti, la follia, l’amore, il dolore c’erano, vivevano sulla scena, si manifestavano in tutta la loro intensità,scatenavano la loro violenta forza, si opponevano al massacro.
Stasera, ancora una volta, il genio di William Shakespeare ha trionfato.

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