Ieri pomeriggio, al teatro Quirino, con Cat e le mie figlie, ho visto La vedova allegra, l’operetta di Lehar e mi sono tuffata in un passato prossimo e remoto che ho amato tanto.
Il passato remoto è la mia infanzia, scandita dal canto di mia madre che aveva una voce bellissima, cantava per noi ragazzini canzoni e romanze e noi ascoltavamo rapiti. L’amore per la musica mamma ce l’ha trasmesso così: cantando e raccontandoci le trame delle opere e delle operette. E io mi incantavo e sognavo di incontrare il mio conte Danilo, l’affascinante protagonista della vedova allegra.
Poi l’ho incontrato il mio conte Danilo, che non si chiamava così ma era ugualmente affascinante, me ne sono perdutamente innamorata e anche lui si è innamorato, ci siamo sposati ed abbiamo vissuto una meravigliosa storia d’amore .Io continuo ad amarlo, anche se ora lui non c’è più.
E questo è il mio passato prossimo:io, lui e le due figlie che vediamo in televisione la vedova allegra, un’edizione memorabile con Raina Kavaibanska e Mikael Melbye e le figlie, anche loro, si innamorano del conte Danilo e della musica, del waltzer, un ballo che” non è una danza ma un sentimento che si balla” come dice proprio Danilo.
Ieri sera, ognuna a modo suo, tutte noi abbiamo fatto una passeggiata nel nostro ieri e non solo noi. Il teatro era pieno di persone che hanno vissuto la nostra stessa esperienza, qualcuna canticchiava sottovoce le romanze (e, incredibilmente,questo non mi dava fastidio), una signora ha detto a Cat che anche la sua mamma le cantava le romanze dell’operetta. Eravamo tutti un po’ commossi ma piacevolmente, credo che il sentimento più diffuso tra il pubblico fosse una gradevole e nostalgica malinconia, temperata dal divertimento prodotto dalle parti comiche del barone Zeta e del consigliere Negus e dal godimento offerto dalla bellezza dei costumi e dei balletti: waltzer, certo ma anche l’immancabile can can del terzo atto e dal coro maschile sulle donne: “E’ scabroso le donne studiar” che è un po’ la sigla dell’opera.
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