Il naso di Cyrano: I supplì e la tirannide

domenica 27 novembre 2011

I supplì e la tirannide

La FG nutre una smodata ed insana (visto che ha il colesterolo alto) passione per i supplì. Quando era a Parigi ne soffriva la mancanza e, quando tornò, non baciò il suolo patrio ma mi chiese di comprargli un supplì insieme ad un cappuccino, bevanda che i francesi ignorano. L’accostamento era ardito e, a mio giudizio, rivoltante ma l’accontentai. Neppure Manzoni avrebbe potuto descrivere l’espressione beata che si dipinse sulla faccia della FG mentre se li gustava.
Il nome supplì è forse di derivazione francese, deriverebbe da surprise, in riferimento al ripieno ma quasi sicuramente fu inventato da un romano, del resto non deve meravigliare che i nomi di molti piatti nostri derivino da lingue straniere, di stranieri in Italia ne sono passati tanti, non come turisti, come conquistatori, dico, che qualcosa ce lo dovevano pur lasciare, si sono fregati quadri e statue e ci hanno lasciato nomi, un cambio decisamente favorevole, per loro.
Secondo me, il supplì (che è una delizia ben diversa dalle arancine o arancini siciliani, peraltro, quando ben preparati, niente affatto disprezzabili) se lo è inventato un romano libertario per consolarsi della tirannide papalina, quando non puoi essere libero, in qualche modo devi pur consolarti e il cibo, si sa, è un’ottima compensazione alla nevrosi, peccato che più è buono e più ingrassa.
La mia teoria si fonda sull’osservazione delle abitudini alimentari dei popoli: quelli che hanno subito tiranni ed invasioni sono quelli che cucinano meglio, ad esempio i polacchi. Quante ne hanno viste poveri polacchi! Ci sono stati periodi durante i quali la Polonia è scomparsa dalla carta geografica, divisa tra Russia, Austria e Prussia. Anche i russi cucinano alla grande; capirai, da Ivan il terribile in poi, di despoti ne hanno avuti a raffica.
Gli spagnoli, che oltre ai re se la dovevano vedere anche con il Grande Inquisitore, hanno raggiunto traguardi interessantissimi in campo alimentare, i francesi hanno smesso di cucinare bene con la rivoluzione francese, fino ad allora erano maestri in pasticci, paté, dolci, dopo aver conquistata la libertà non sono stati capaci che di inventare la nouvelle cuisine che è la cosa più triste che possa capitare ad un gourmet. La nouvelle cuisine è una faccenda a sfondo artistico più che alimentare: ti ritrovi davanti un piatto, dalle forme più strane, che sembra un quadro di Picasso: ghirigori di salse sconosciute, composizioni di cetriolini nani, carotine mignon, ravanelli invisibili; al centro (o di lato, secondo l’estro del creatore) c’è la pietanza vera e propria, quella che si mangia perché il resto è solo decorazione, in quantità sufficiente per un cardellino, certo non per un essere umano, anche di età e dimensioni ridotte. E’ inevitabile, chiunque, davanti a roba simile, pensa con nostalgia alla pastasciutta che gli faceva mamma sua!
Noi italiani siamo sicuramente in cima alla classifica, la libertà, quella vera, quella civile, noi non ce l’abbiamo avuta mai e allora ci consoliamo con la cucina. Piatti poveri e ricchi, primi, secondi, dolci, accompagnati dai vini più svariati, sono l’alternativa alla frustrazione ideologica. Una cura sicuramente più efficace, anche se forse altrettanto costosa, di una batteria di sedute psicoanalitiche. Forse è per questo che da noi le rivoluzioni e le guerre civili non attirano la gente. Ve l’immaginate, per esempio, un ragazzo romano che dice:” A ma’ oggi nun rientro, vado a fa’ ‘a guera civile”. La madre rilancerebbe subito con un:”Ma ‘ndo vai, bello de mamma? Guarda che a pranzo ce stanno li gnocchi!” E che volete che faccia il povero ragazzo?! Ritorna a casa per mezzogiorno, è evidente, a sbafarsi” li gnocchi de mamma che come li fa lei…”.
I popoli che godono della libertà non sanno cucinare, prendete gli statunitensi, a parte il panino del fast food, che altro hanno inventato, degno del nome di cibo? Nulla o quasi, da bere, poi, in mancanza di buon vino e di caffè potabile, si sono dovuti accontentare di una bevanda acida e zuccherosa dall’aspetto vagamente ripugnante.
E veniamo alla patria della libertà: la civilissima Gran Bretagna, il Paese della Magna Charta libertatum, la patria del parlamentarismo… e del pudding. Se non sapete cosa sia il pudding non vi preoccupate, potete vivere benissimo lo stesso, anzi vivrete meglio se non lo assaggerete mai. Io l’ho assaggiato una volta, non sono riuscita ad inghiottirlo e ho giurato che mai più avrei accettato l’immonda schifezza.
Gli inglesi non sanno cucinare perché non hanno bisogno di consolarsi, bene o male loro la libertà ce l’hanno. Voi mi direte che gli inglesi hanno delle carni squisite, dell’ottimo roastbeef, certo ma, come dice sempre la FG, mica è merito dei cuochi inglesi, semmai il merito è delle mucche britanniche!

2 commenti:

Mister P ha detto...

In difesa della cucina inglese, il chicken tikka masala è ottimo.

Tess ha detto...

Grazie per il commento ma mi viene assicurato da fonte attendibile(?) che il nome della vivanda non è di origine inglese bensì turco-ottomana, ergo...