Capitolo 8
I quattro si avviarono per uno dei tanti vialetti che si diramavano dietro la scuola, intenti a dibattere sui voti dell’ultimo compito di matematica.
Costeggiarono un muro grigio e si infilarono in un cortiletto, abbastanza sporco e pieno di mobili da buttare, sul quale si affacciavano le immense saracinesche di diversi garage.
Claudio si fermò davanti ad uno con la saracinesca ricoperta di scritte disegnate con la bomboletta, vi si accovacciò davanti, estrasse una chiave da una tasca del giubbotto e ne tolse il lucchetto. Giorgio e Marco lo aiutarono a sollevare la pesante saracinesca che dava sull’ambiente completamente buio, Stella entrò e gli altri la seguirono.
Wolfango lasciò la sua postazione dietro l’angolo del muro grigio, vide che il locale era composto di due stanze: la prima piccola e completamente buia dove non c’erano che due panche di legno e la seconda, la stanza dove erano entrati gli altri, poco più grande e fiocamente illuminate da una luce rossastra.
Si lasciò scivolare nella prima stanza mettendosi quieto a sedere al margine della panca a sinistra e, protetto dal cemento della struttura divisoria, poté osservare nell’altra stanza.
Vide Stella aggiustare un microfono, Marco litigare con l’amplificatore della sua chitarra elettrica che lanciava tremendi fischi, Giorgio sistemare con calma l’attacco del suo basso, ripetendo più volte note metalliche e velocissime e Claudio carezzare, dapprima con lo sguardo quindi con le mani, la sua batteria.
In mezzo un abat-jour rosso, preso chissà dove, illuminò i preparativi.
Claudio batté tre volte le stecche una sull’altra e al terzo colpo fu musica.Wolfango socchiuse gli occhi gustando la voce di Stella e quella furia di strumenti sotto ma, mentre lei era nel pieno di un acuto, lui cadde con un gran tonfo. Il legno della panchina era evidentemente marcio.
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