Io adoro viaggiare in treno, non so se ve l’ho mai detto. E’ il mezzo di trasporto che mi piace di più, soprattutto amo gli Eurostar, è vero che costano parecchio ma si viaggia proprio bene, almeno in prima classe. Quando vado a trovare Cat viaggio sempre in Eurostar. Sono veloci e confortevoli e, in genere, rispettano gli orari. In genere.
Una volta, qualche anno fa, presi l’Eurostar da Torino per tornare a Roma. Era la fine di Giugno ma il treno ha il condizionatore e io, anche se ero un po’ triste perché mi dispiaceva lasciare mia sorella, me ne stavo tranquilla. A Milano, stranamente, l’Eurostar aveva già accumulato un’ora di ritardo, per lavori sulla linea ferroviaria. Alla stazione meneghina salirono moltissime persone. Erano tutti nervosissimi. Eleganti manager con regolamentare notebook al seguito, giovani donne in carriera, rigorosamente vestite Armani, giovani rampanti muniti di ventiquattrore, palmari e attrezzi vari hi-tec diedero l’assalto allo scompartimento e si sistemarono sui sedili inveendo furiosamente contro le FFSS.
Poi cominciò il balletto dei cellulari: più o meno tutti insieme, sfoderarono i loro telefonini di ultima generazione e cominciarono a telefonare per avvertire i loro contatti romano che avrebbero tardato.
Mi innervosii anche io, mi avevano contagiato, caspita! Un’ ora di ritardo da Torino a Milano! E fino a Roma quanto avremmo accumulato? Era preoccupante!
E invece no. Per me, non era affatto preoccupante: Io ero in vacanza! Nessuno mi aspettava (la FG era anche lei in vacanza e la FI pure), non avevo appuntamenti di lavoro, Io.
Allora mi misi tranquilla, assolutamente soddisfatta della mia condizione, e mi dedicai al mio sport di viaggio preferito: osservare la gente. E vi garantisco che ce n’era da osservare. Con spiccata cadenza padana, commenda, manager, giovani rampanti e donne in carriera non facevano altro che sbraitare al telefono o tra di loro, commentando l’ inefficienza delle ferrovie, chiedevano ogni due minuti al capotreno se stavamo recuperando oppure no, si agitavano come leoni in gabbia e, in un certo senso, in gabbia ci stavano per davvero.
ABologna le ore di ritardo erano diventate due e si era fatta ora di pranzo, così me ne andai nel vagon restaurant dove pranzai tranquillamente, circondata da individui isterici attaccati ai loro portatili, servita da camerieri che mi guardavano sorridendo con aria complice, avevano compreso che io non avevo fretta e che mi divertivo quanto loro allo spettacolo decisamente comico dei milanesi frustrati.
Arrivammo a Roma con quasi tre ore di ritardo e con i lumbard in piena crisi di nervi; l’ altoparlante annunciò che i viaggiatori potevano recarsi al box Eurostar per avere il rimborso per il ritardo e io, sghignazzando, pensai che, invece del denaro, sarebbe stato meglio che le Ferrovie avessero messo a disposizione un certo numero di confezioni di tranquillanti, magari formato gigante.
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