Il naso di Cyrano: marzo 2008

domenica 30 marzo 2008

La democrazia

Questa cosa l' ho scritta un po' di tempo fa ma mi sembra terribilmente attuale.

E' una storia triste, perciò, se non vi va, non leggetela!

Tra le tante forme di governo che l’ uomo ha inventato la migliore è la democrazia.
Lo avevano capito gli Ateniesi che, però, realizzarono una democrazia imperfetta, infatti alcune categorie umane, come le donne e gli schiavi, erano esclusi dall’ esercizio del potere.
Tra i moderni, il primo a ribadire l’ efficacia della democrazia fu Rousseau. Egli diceva che la sovranità non è un diritto divino ma appartiene al popolo, ai cittadini.
Uno Stato è buono quando i suoi cittadini accettano spontaneamente di conformarsi alla volontà generale che si esprime attraverso la democrazia diretta, la partecipazione, cioè, dei cittadini al governo dello Stato, nelle grandi nazioni tale democrazia diretta deve necessariamente essere sostituita da un governo rappresentativo, formato da persone elette dal popolo.
Perché si realizzi un tale genere di democrazia occorre che i cittadini vogliano il bene comune, che siano onesti e perché ciò si verifichi essi devono essere educati a tali valori.
Questi concetti erano incisi nel mio cervello, per anni li avevo sentiti ripetere da mio padre, l’ uomo più onesto che io abbia mai conosciuto. Egli odiava la menzogna, l’ ipocrisia, l’ ingiustizia. Dentro di sé conservava una legge morale che difendeva contro tutto e contro tutti. Non mentiva mai, aiutava gli altri anche a costo di sacrifici e, con il suo lavoro di insegnante, cercava di diffondere i valori che erano alla base della sua vita.
Per questo mi sono laureato in Giurisprudenza e sono entrato in politica.
Nel nostro Paese il partito ormai da decenni al comando ha tradito la democrazia, tutto è corruzione e ingiustizia, i governanti cercano il vantaggio personale a danno del bene comune. Per questo mi sono iscritto nelle fila del partito di opposizione.
Ho cominciato dalla gavetta, ho ricoperto alcuni incarichi minori, pensavo di dover aspettare ancora molti anni prima di ottenere una candidatura.
Invece, alcuni mesi fa, i dirigenti del partito mi hanno candidato in uno dei Municipi della mia città per le prossime elezioni. Hanno detto che ci vuole gente giovane, che piaccia agli elettori, Hanno detto che potremmo vincere questa volta.
Ero conscio della responsabilità, volevo realizzare i principi che mi aveva insegnato mio padre. Ho studiato la realtà del territorio, una realtà difficile fatta di corruzione e malavita, ho elaborato alcuni progetti possibili, ho preparato i discorsi per i comizi. Per la verità il consenso è stato tiepido ma non mi sono scoraggiato, come diceva mio padre, la gente deve essere educata alla democrazia. Quello che mi ha reso perplesso è stato il comportamento dei compagni di partito, certi sorrisetti di compatimento, certe frasi ambigue sul dire e il fare.
Oggi mi ha chiamato il segretario di sezione, mi ha detto: – Caro Giorgio, ho seguito la tua campagna elettorale, bei discorsi, fanno presa sulla gente ma io ho bisogno di chiarimenti, qui c’è gente che vuole delle rassicurazioni. –
– Non capisco – ho risposto –Il mio programma è chiaro –
– Fin troppo – ha esclamato – ma lasciatelo dire da chi ha più esperienza di te, qua non si tratta di costruire il mondo perfetto, qua dobbiamo navigare nella merda che c’è. Ci sono persone sono disposte a sostenere il partito e a farci vincere le elezioni ma vogliono garanzie. –
– Quali garanzie? – ho chiesto.
– Garanzie di poter continuare i loro traffici – ha risposto – tu lo sai, il quartiere è difficile, siamo in frontiera, c’ è gente che vive e lavora solo in certi settori che sono controllati da persone che non intendono certo perdere i loro guadagni, non ti sosterranno se non vieni a patti con loro, cosa intendi fare? –
Ho pensato a mio padre, avrei voluto continuare ma non ho potuto.
Ho ritirato la mia candidatura. Mi chiedo: “ Per chi voterò alle prossime elezioni?”

mercoledì 26 marzo 2008

Pasqua a Parigi 7

Sono tornata a Roma.
Stamattina ho fatto la valigia e, mentre la FG andava alla Sorbonne per seguire un corso, sono andata a fare un po’ di spesa.Al ritorno ho incontrato la mitica portinaia della FG, una signora portoghese gentilissima che adora mia figlia e non sopporta i francesi, abbiamo sparlato dei gallici e anche, visto che c’ eravamo degli inglesi e dei tedeschi. Siamo giunte alla conclusione che portoghesi, italiani, spagnoli e greci sono incomparabilmente più simpatici. Poi ho fatto una bella e lunga passeggiata sotto la pioggia.
Ormai sono diventata una vera parigina e non apro più l’ ombrello.
A Parigi gli unici che aprono l’ ombrello quando piove sono i turisti. Gli indigeni sanno che è perfettamente inutile farlo, infatti il vento che spira violento e continuo, a raffiche che non seguono mai la stessa direzione, gli ombrelli li distrugge con grande passione. Un parigino non apre l’ ombrello, semplicemente, tira su il cappuccio e continua a camminare e così faccio anche io, più pinguina che mai. Per me il problema sono gli occhiali, dopo un po’ non vedo più nulla, mi servirebbero due minitergicristalli da applicare alle lenti!
Ho raggiunto la FG e siamo tornate a casa dove abbiamo pranzato a panini, quiches e tartelettes, poi sono andata all’ aeroporto.
Ho aiutato due ragazzi italiani un po’ sperduti e me la sono cavata benissimo a parlare in francese con le signorine dell’ aeroporto.
L’ aereo è partito con la solita ora di ritardo, normale, io avevo il posto accanto al finestrino, nella mia stessa fila si è seduto un tizio che aveva sistemato la moglie, il figlio adolescente e una figlia piccola mostruosamente maleducata nei tre posti della fila accanto. Nel posto di mezzo della fila dove stavo io è venuta a sedersi una fanciulla vestita di veli molto trasparenti, un abbigliamento da ninfa che lasciava generosamente scoperti decolleté e gambe. Il tizio ha attaccato subito bottone, la ninfa, che evidentemente non gradiva, ha fatto finta di addormentarsi e il mandrillo ha passato tutto il tempo a guardarla. A me veniva da ridere e ho dovuto faticare per trattenermi, meno male che avevo un bel libro del grande Stefano Benni e mi sono distratta.
A casa ho disfatto le valigie, messo in lavatrice gli abiti da lavare, ho fatto toeletta e ho aperto la mia casella di posta elettronica dove ho trovato un bel po’ di messaggi ai quali ho risposto e infine ho scritto questo post.
Domani ricomincia la scuola e meno male perché già ho nostalgia della FG, mi manca tantissimo questa mia figlia così diversa da me, così affascinante e ironica, così intelligente e sognatrice, quando sono con lei mi sento compresa e sono felice, domani rivedrò i miei ragazzini, anche con loro sto bene, anche con loro sono felice!

lunedì 24 marzo 2008

Pasqua a Parigi 6


Oggi scrive la FG

Stamattina siamo andate a prendere zia in albergo, era necessaria, a sua detta, la mia presenza per pagare il conto (beninteso il conto lo pagava lei, io casomai servivo per tradurre) alla fine la zia Cat se l'è cavata da sola coadiuvata da quell'orrendo ibrido che è il franglese.

Uscite dall'albergo abbiamo fatto, giusto per allungare un po' Boulevard Raspail, trascinandoci dietro la valigia di zia che abbiamo depositato a casa mia (ma quanto è bello stare in ascensore stipate una sull'altra con valigia come delle sardine...).

Lo zio V, mago di tempismo, aveva pensato di chiamare la zia Cat per raccomandarle di portargli un pensierino da Parigi proprio la sera della domenica di Pasqua... Lunedì di Pasquetta è assolutamente impossibile trovare una chocolaterie aperta (e lo zio V non è uno a cui puoi regalare vestiario, salvo forse, se esiste, una cravatta del CHE) ma... il Monoprix era aperto e, se fossi stata solo con zia Cat non sarebbe stato un problema, il fatto è che con noi c'era anche la pinguina, alias mamma, reduce ben guarita dall'influenza... O-o

La pinguina ha fatto gli onori di casa mentre io zombeggiavo allegramente, questo significa che ha mostrato a zia Cat tutti ma proprio tutti i reparti dell'immenso Monoprix.

Dovevamo comprare SOLO dei cioccolatini (una sola scatolina per zio V in teoria a cui si è aggiunta una madostodontica scorta personale per tutte noi) e un po' di pane, io ne volevo approfittare per rimpinguare la mia scorta di mutande (non so davvero dove le ho messe, lo confesso) e doveva chiudersi lì.

Senonché la pinguina ha la malsana idea di suggerire alla sua esimia sorella, nonché passerotto salutista (ho una famiglia alata) di comprare delle viennoiserie... mia zia mi ha gentilmente costretta a fare la domanda più idiota di Francia ad un commesso esterrefatto, mentre immaginavo la neuro e un paio di flic che ci portavano via ho sentito la mia voce pronuciare l'orrenda domanda: “Vous avez quelque chose où il n'y a pas du beurre?” ovvero “Avete nulla senza burro?”.

La reazione del commesso:

= O-O =

con gli occhi sgranati è impallidito nello sforzo di non mettersi a ridere, invece la pinguina rideva ed io, povera martire circondata da folli, cercavo una vanga, per sotterrarmi.

Il fatto è che in Francia l'olio è poco reperibile ed il burro è dovunque, quasi quanto la cipolla.

Zia Cat si è arresa all'evidenza e a malincuore ha comprato due brioches che forse non mangerà mai.

Mentre i miei occhi ancora cercavano inutilmente la vanga le due pennute delinquenti mi hanno condotta fuori dal Monoprix e siamo andate a casa a fare dei panini che per il nostro passerotto ziesco erano abbondanti ma per noi (universitaria a stecco + pinguina famelica) erano insufficienti.

Abbiamo accompagnato la zia alla stazione... ...in mezzo ai piccioni e ai passerotti (i secondi credo fossero venuti a salutare zia Cat) c'erano i migliori accenti dialettali italiani, del nord soprattutto, essendo il treno per Milano Centrale.

Il viaggiatore tipico Europeo è impassibile, si mostra lungamente esperto di stazioni od aeroporti, la sua valigia è composta ed il suo aspetto lo è ancor di più, viaggia in genere solo o in piccoli gruppi e sembra (o quantomeno presume) conoscere la lingua locale o almeno l'inglese.

Il viaggiatore italiano sembra appena uscito dalla centrifuga di una lavatrice impazzita, viaggia in mandrie ed è isterico per definizione, i suoi bagagli sono una catasta informe di borsoni e fagotti, siede deve può ed alterna l'aria iper agitata a quella esterrefatta con sorprendente velocita.

Aggiungerei che parla solo italiano e, talvolta, solo il proprio dialetto e lo fa a voce rimarchevole.

È già orrendo che i francesi mettano due treni su un solo binario (annunciato all'ultimo momento) e che si debba correre per tutta la lunghezza del treno per raggiungere la prima carrozza del suddetto ma farlo con negli orecchi l'urlo di “ FRANCESCO DOBBIAMO SALIRE” di una madre, padana. Impazzita mentre guida la sua madria familiare verso lo scompartimento rende il tutto tragicomico.

Zia Cat è partita (ed anche già arrivata) e noi ci siamo fiondate all'Orangerie.

Neve mista a pioggia, fila pressoché immobile per visitare una mostra su un fauve: Vlamink.

Punto positivo, affascinante studente Tedesco con cui fare due chiacchiere ma la sottoscritta, notevolmente tonta, non ci si è impegnata abbastanza (devo mordermi le mani?).

La pinguina mi stava per morire surgelata e non potevo mettermi a far chiacchiere.

Valeva la pena di fare la fila per la mostra: i quadri erano luminosissimi, cooratissimi e geniali ma la gente era tanta e la mamma pinguina formato tappo mi passava davanti alla gente senza accorgersene minimamente, completamente catturata dalle opere esposte... vedendo ripetersi questo scempio a danno di una povera signora che era persino più bassa di lei l'ho strattonata rischiando di ammazzare lei e... lo studente tedesco che era comparso PROPRIO in quel momento (la vanga! Volevo la vanga!).

Siamo tornate a casa a piedi, l'autobus ovviamente non passava, sotto un'acqua gelata ci siamo sistemate e riposate ed attaccate a youtube, nuova droga per la pinguina che profitta della mia connessione per navigare in rete (dovrò mettere il filtro bambini?).

Ora ci vedremo un film e poi andremo a letto.

Domani mamma parte e la mia vita tornerà ad una normalità rilassante e un po' piatta, senza volatili eccetto il piccolo francesino di cui sono baby-sitter che ogni tanto fa il pinguino pure lui (ma lui lo fa di proposito, per mia madre è una seconda natura).


domenica 23 marzo 2008

Pasqua a Parigi 5


Ma dico io, proprio a Parigi dovevo prendermi l'influenza.

Mi fa male tutto, ho la bocca piena di Herpes e stasera non sono nemmeno riuscita a cenare.

Stamattina stavo già malissimo ma avevamo prenotato per il museo d'Orsay e ci siamo andate.

A Cat Orsay è piaciuto da morire, sfido io, tra impressinisti, post-impressionisti, Art Nouveau e tutto il resto uno in quel museo ci passa momenti di vera goduria.

Ognuna di noi ha le sue preferenze: io stravedo per Degas, la FG impazzisce per Monet e Cat si è entusiasmata davanti a Renoir e soprattutto è rimasta affascinata dalla sala di Van Gogh.

Abbiamo pranzato nel restaurant del museo, nella sala ricca di affreschi, stucchi dorati e grandi vetrate.

Ci ha servito un impeccabile cameriere e, mentre la FG gustava un piatto di pesce e Cat si lavorava un entrcote, io mi sono tenuta leggera e ho preso un piatto di mini formaggini con l'insalata.

Per dessert figlia e sorella hanno preso il gelato, io un notevole profiteroles.

Tra un dolore e l'altro ho ripassato un po'di pittura francese.

Uscite dal museo, abbiamo portato Cat a vedere place de la Concorde, la piazza più kitch d'europa e gli Champs Elisées.

Non pioveva e in giro c'era un mucchio di gente.

Poi abbiamo preso la metro che Cat, nonostante sia claustrofobica, trova entusiasmante.

In effetti lo è, a Parigi con la metro vai dovunque e in tempi brevisssimi.

Ci siamo riposate, poi la FG e Cat hanno cenato mentre io boccheggiavo su una poltrona.

Spero proprio domani di stare un po' meglio.

sabato 22 marzo 2008

Pasqua a Parigi 4


Oggi scrive la FG:

Dopo il trauma provocato dalle mie sette sveglie sono scesa a fare il caffè, mentre mia madre prendeva e perdeva coscienza a tratti in una sorta di simpatico delirio, ho buttato un occhio alla finestra per vedere un cielo più delirante di lei.

Infatti oggi il tempo ci ha regalato il seguente girotondo: grandine, grigiore, diluvio, pioggia, variabile, vento, neve, sole, freddo, il ritorno della grandine, schiarita, la grandine3 la vendetta, sole, grandine o forse neve (non si capiva bene) etc. Il tutto n sole 12 ore.

Se queste due (Zia e madre) mi diventano psicopatiche come il cielo di Parigi, vi è da pregare che io sia rinchiusa in manicomio.

Con un tempo simile chiunque e sottolineo chiunque se ne sarebbe stato a casa, o al massimo poteva andarsene al cinema, o fare l'inventario dei suoi calzini in ordine alfabetico...

... invece noi no.

Dopo il caffè la madre pinguino delirante si trasforma in madre scheggia, non faccio in tempo a riprendere coscienza e me la ritrovo con in mano: due baguette, verdure varie e due fondant au chocolat che in un lampo aveva comprato al monoprix, avevo appena finito di lavarmi i denti dopocolazione... ma a un fondant non si dice MAI di no! Anche perché se io ci avessi rinunciato la voracissima pinguina li avrebbe mangiati entrambi.

A zombeggiamenti finiti abbiamo raggiunto in albergo zia cat, che come zombie ci batteva tutte e due infatti non aveva dormito.

Con il suo baschetto verde, che faceva perfettamente contrasto con i suoi occhi arrossati, la mansueta e inconsapevole zia Cat è finita nella rete dell'orrido piano della pinguina ferox che aveva studiato un itineriario che al Mortirolo (tremenda tappa del giro d'Italia) gli fa un baffo.

È cominciata così l'odissiaca passegiatina per lo shopping.

Se c'è una cosa che la sottoscritta è lo shopping, per essere precisi lo shopping fatto senza alcuna idea di ciò che si vuole comprare.

Anche la pinguina lo odia, se non lo pianifica lei, per zia Cat è invece un'esperienza gratificante. Anche se temo che oggi abbia cambiato leggermente idea.

Inizio della via Crucis: a piedi da Montparnasse al Carousel du Louvre, indi dapprima zia incantaa davanti ai negozi di scarpe quindi lo scatenarsi del Pinguino furioso in gioielleria. Per bilanciare un pochino la situazione ho approfittato della distrazione delle due parenti per prendermi un po' di bestioline di pietra dura e farmi un nuovo micro-soprammobile.

Si era fatto mezzogiorno e la zia cat si era leggermente stancata ed era, cosa per lei miracolosa, leggermente affamata.

Naturalmente le amanti del Cyrano l'hanno trascinata da Raguenau che l e è piaciuto un sacco.

E, per la prima volta, ho visto mia zia mangiare con appetito (lasciando poco o nulla nel piatto e sparandosi il dessert invece di mangiare come un passerotto) ovviamente io e la pinguina abbiamo mangiato come due condor.

Dopo pranzo io, il passerotto e la pinguina abbiamo preso l'orrenda decisione di andare alle galeries Lafayette.

Essendo Sabato Santo e per di più piovoso la stessa identica decisione l'avevano presa tutti i parigini ed i turisti dei dintorni.

Folla, spinte, mariti disperati che piangevano sui portafogli, prezzi da capogiro e voglia di prendere a calci gli astanti.

Zia Cat si è comprata un profumo, anche io mi sono comprata un profumo (galvanizzando la commessa e rimendiando un copioso numero di campioncini dello stesso.). Stranamente la pinguina non si è comprata niente, in realtà non è per niente strano perché lei si interessa solo a profumi, gioielli, cibo, libri e dischi di musica classica.

Vestiario e scarpe li compra solo se ne ha estremo bisogno. Ora, gieielli ne aveva già comprati, profumi ne ha una bella scorta e libri, dischi e cibo da Lafayette non li vendono.

Quando siamo usciti zia Cat era sull'orlo del collasso nervoso.

Mentendo clamorosamente le abbiamo detto che i passages erano lì vicino e ce l'abbiamo portata. Le sono piaciuti ma da La Fayette alla metropolitana più vicina alla fine dei passages significa fare a piedi tre arrondissements.

A zia Cat la stazione della metro è sembrata la terra promessa.

La sera l'abbiamo passata a casa mia dove abbiamo cenato con i soliti paté e poi siamo scese per accompagnare zia in albergo.

L'unica cosa più piccola del mio bagno è il mio ascensore, e noi siamo entrate sistemandoci come tre cioccolatini dentro una mini confezione.

Forse vi sembrerò zoofila ma vi giuro che al pianterreno un signore che aspettava l'ascensore, vedendoci, ci ha domandato: “Il n'y a pas un autre petit lapin?” ovvero “non c'è un altro coniglietto?” poiché la nostra formazione era compatta come quella dei coniglietti pasquali che si vendono a scatoline di tre.

venerdì 21 marzo 2008

Pasqua a Parigi 3


Vento, grndine, tempesta.

Questa è la sveglia che ci ha riservato stamattina questa infernale città che più la conosco e meno mi piace.

Per di più stamattina toccava a me alzarmi e fare il caffè.

Visto che non potevamo uscire ho stirato i vestiti della figlia che avevo lavato ieri.

Ho anche fatto un po' di pulizie e, visto che c'ero, ho rifatto i colpi di sole alla FG che dopo energica protesta, si è sottomessa sia pur brontolando.

Era quasi mezzogiorno e sembrava che si stesse rasserenando, abbiamo deciso di scendere per mangiare qualcosa.

Il tempo di arrivare al portone e quella strana cosa che i francesi chiamano sole e che non ha nulla a che vedere con il sole italiano è stata sepolta da una coltre di nuvole e si è scatenato di nuovo l'inferno, stavolta però era neve.

Comunque eravamo arrivate al Pomme de Pain dove abbiamo fatto un pasto leggero: insalata (io furba) pasta scotta (lei tonta), un paio di quiches e un delizioso flan per dessert.

Lo so che in questi miei post sembra che io parli solo di cibo ma il cibo è una delle pochissime cose decenti di Parigi.

Dopo pranzo abbiamo fatto una piccola passeggiata digestiva e qualche acquisto voluttuario, sfidando la tormenta.

Alle 14.00 la FG è andata a lavorare ed io sono andata a Gare de Lyon ad accogliere mia sorella Cat che arrivava per passare la Pasqua con noi.

Ho preso due metro e fin lì era tutto facile, ormai sono diventata bravissima a prendere le Metro.

I guai sono cominciati a Gare de Lyon: intanto ho dovuto capire da che parte si doveva andare per raggiungere i treni, non era tanto difficile, bastava seguire le frecce e la scritta aux trains, Il problema è che i francesi non distinguono treno da treno nelle indicazioni, per le pensiline invece si.

Dopo aver fortunosamente capito in quale settore della stazione dovevo andare mi si è posto il problema di sapere a quale binario sarebbe arrivato il treno di mia sorella.

Ovviamente sul monitor degli arrivi il binario è stato segnalato un minuto prima che arrivasse il treno, in questo i francesi sono proprio uguali agli italiani.

Intanto era uscito il sole e anche il vento, freddissimo.

Mi sentivo praticamente un ghiacciolo.

Lo so che in questi miei post parlo quasi continuamente del tempo ma in questa demoniaca città il tempo fa così schifo che non si può non parlarne.

Cat è arrivata e con la metro (lei odia la metro, è claustrofobica) siamo passate a lasciare la valigia nel suo albergo (nei 6 metri quadri Parigini della FG in tre non ci si può proprio).

Poi, a piedi, l'ho portata a fare una passeggiata, lei era un po' stanca e io le ho detto che saremmo andate vicino, infatti, da Montparnasse l'ho portata al Giardin de Luxembourg (che le è piaciuto da matti), boulevard Saint Michel, Sorbonne, boulevard Saint Germain, Quartier Latin, Notre Dame.

A questo punto lei mi ha confessato che era un “po'” stanca, ci siamo sedute in un cafè e abbiamo fatto merenda. Io non faccio mai merenda ma stavolta me la sono goduta: mousse au chocolat!

Poi siamo andate a casa della FG e Cat era talmente stanca che ha preso la metro senza angosce.

Quando la FG è arrivata siamo andate a cena in brasserie (lo so che adesso voi vi aspettate che io vi dica il menu, invece stavolta non ve lo dico) e poi abbiamo accompagnato una provatissima zia e sorella in albergo.

Domani, se il cielo sarà meno psicopatico (ma sarebbe un miracolo) la porteremo a fare shopping in centro.

giovedì 20 marzo 2008

Pasqua a Parigi2


Oggi scrive la FG:

Stamattina mamma si è svegliata dichiarandosi affetta da un malditesta forte al punto da costringerla a non mangiare... io non ho detto nulla... pensavo nel mio cervello, a volte troppo veloce, al momento in cui si sarebbe trovata accanto all'odore magnetico e fragrante di una boulangerie... ma non ho detto niente.

Comunque si è sparata le solite trenta gocce di analgesico e siamo uscite:

Il cadavere-zombie mamma equipaggiata in versione pinguino, ovvero involtolata in sciarpa cappottone e cappelluccio, il tutto rigorosamente in blui, ha incontrato dapprima la mia portiera, o meglio: il mio fidato mastino dei Baskerville e si è un po' rianimata deprecando il comportamento dei miei cari vicini (che fanno gara di urla fino alle tre di notte, ovvero chiacchierano in francese).

Verso la fine della conversazione, che io traducevo visto che il pinguizombie si rifiutava di parlare francese, la mia “dolce” portinaia (dolce con chi la saluta, vedi ME) le ha consigliato un centro commerciale e il pinguizombie è diventato, nuovamente, un pinguigrillo.

Al centro commerciale dove il pinguigrillo iniziava a saltellare incerto non abbiamo trovato ciò che cercavamo (sebbene il pinguigrillo avesse drizzato le antenne in presenza di cioccolateria varia).

Indovinate dove siamo andate?

Ebbene si.

Al mitico Monoprix!

Dopo le solite difficoltà con la porta girevole (trasformazione temporanea in pinguipinguino, ovvero il pinguino puro) l'esimia genitrice si è trasformata in una pinguidinamite, con scoppio iniziale nel settori vestiario per bambini, infatti doveva comprare un regalino per la nipotina di una sua amica e ne ha presi tre.

Era già evidente mentre chiacchierava IN FRANCESE con la cassiera che il mio ragionamento del mattino andava via via concretizzandosi.

Oltre a cibarie varie (tra le quali delle fettine di petto di tacchino proprio per mangiare almeno qualcosina a pranzo...) si è scatenata a comprare SEI borsine che regalerà alle sue amiche (già in altre occasioni ne aveva fatto incetta.).

Siamo uscite dal Monoprix e, sulla strada di casa, esattamente attaccata al Monoprix sta una Boulangerie da cui usciva il famoso odore magnetico e fragrante di Boulangerie.

Ora nessuno può resistere ad un odore di boulangerie, figuriamoci mia madre!

Non ci ha provato nemmeno, è entrata e da pinguimalaticcia è diventata pinguivoracissima.

Abbiamo comprato mezza boulangerie, dolce e salato, per non fare preferenze.

Nel salato si includono due Quiches Lorraines, maladetta la mia lingua quando IO ho chiesto che fossero riscaldate!!!

Il dolce cataclisma che mi rese figlia si è trasformata in un pinguiSchumacher.

Ha coperto in quattro minuti netti la distanza dal negozio a casa mentre io le arrancavo dietro trascinando il mio pesantissimo carrello della spesa (da notare che IO, scema, le faccio sempre le buste leggere).

Oltre le Quiches, a pranzo, l' “inappetente” si è sparata, assieme a me, una mega-insalata con surimi, gamberi, mais e formaggio Chévre e per finire la rituale tartelette.

Mentre io boccheggiavo lei si è messa a lavare i panni e a stirare (fra le sue scuse: “il freddo di Parigi mette appetito”).

Oggi pomeriggio mentre io accudivo il pupo, lei se ne è andata a spasso ed io al pensiero tremavo perchè il suo andare a spasso coincide con l'andare a fare shopping di un turista mastercard.

Infatti è passata in libreria e mi ha comprato l'ultimo di Pennac, poi è passata in Chocolaterie e ha comprato uno zoo di cioccolatini.

Stasera, poiché avevamo il malditesta tutte e due, ci siamo fatte un aperitivo di analgesico e abbiamo cenato con due superpanini ripieni di petto di tacchino, Chèvre (immancabile) e olive.

A seguire nidi di cioccolata con uova di zucchero.

Domani viene mia Zia, cioè sua sorella.

Notoriamente da domani sarò a contatto con: una maniaca dell'ordine (la mamma) e una maniaca dell'igiene... io sono una casinara brevettata, Cosa sarà di me?


N.B. Il pinguino dichiara, sotto la propria responsabilità, che la FG ha un pochino esagerato nello scrivere questo post ma la FG sotto sua responsabilità giura solennemente di aver scritto tutta la verità, nient'altro che la verità, la tremenda verità.

Pasqua a Parigi 1


Sono le due del mattino e io sono a Parigi.

Stamattina mi sono alzata all 6.20.

Ho pulito la mia casa, sono andata a scuola, alle quattro è arrivato il taxi che doveva portarmi all'aereoporto, il tassista ha impiegato un'ora per portarmi all'aereoporto e mi ha rapinato 36 euro, scatenando il mio più riposto istinto omicida.

L'aereo era, ovviamente, in ritardo.

Sono atterrata ad Orly alle undici e mezza.

Mentre stavo andando a ritirare la valigia, sperando che fosse arrivata, ho riacceso il cellulare e ho trovato il disperato messaggio di mio cognato (romanista) che, come da accordi presi, mi comunicava che l'inter aveva pareggiato e la Roma aveva perso il derby con la L.azio.

Ho preso un taxi che, per accompagnarmi a Montparnasse, mi ha preso solo (!) 26 euro

La figlia mi aspettava sotto casa.

Siamo salite nel suo, si fa per dire, appartamento.

Praticamente il caos, credo che dall'ultima che sono venuta non abbia mai lavato i piatti.

Ero troppo stanca per urlare, lei si è messa a pulire e io mi sono organizzata.

Nonostante avessi rosicchiato (uso scoiattolo) cioccolatini per tutto il viaggi (sono la mia droga contro la paura) non ho saputo resistere e ho inaugurato il mio soggiorno con uno spicchio di camembert.

Adesso me ne vado a dormire, che forse è pure ora.

Bonne nuite o me moglio Bonjour

domenica 16 marzo 2008

Memoria e poesia

Quando andavo alle elementari avevo un problema: non riuscivo ad imparare le poesie a memoria, non è che non ne fossi capace, mi rifiutavo proprio!!
Da grande le poesie le ho imparate ma solo quelle che mi piacevano e perché volevo farlo.
Certo, sono consapevole che la memoria bisogna esercitarla ma si può farlo studiando le tabellone, che almeno servono a qualcosa, oppure i verbi latini, che non servono a molto nella vita ma se studi Lettere classiche sono indispensabili, o, perché no, un copione teatrale.
Einstein diceva che trovava intollerabile riempirsi il cervello di nozioni che poteva trovare in qualsiasi libro ed era un genio, senza contare che far imparare a memoria una poesia è il modo migliore per farla odiare a chi la impara!
Ho due ricordi buffi legati a questo problema.
Il primo riguarda mia sorella.
Cat era alle elementari e doveva imparare il Sabato del villaggio, la sentivo ripetere a voce alta ( più che altro urlava come una belva ferita) gli immortali versi leopardiani sbagliando tutti gli accenti delle parole desuete.
Andai da lei e le chiesi:”Ma capisci quello che stai leggendo?”
Lei, che già da allora aveva sviluppato una logica ferrea (al liceo aveva sempre 10 in matematica!) mi rispose serafica:”Il maestro ci ha detto di studiare a memoria la poesia, non ci ha detto di capirla.”
Ecco. Io invece voglio che i miei ragazzini le poesie le capiscano e, se possibile, le amino, perciò non gliele faccio mai studiare a memoria, gliele leggo, le spiego e poi gliele faccio leggere a voce alta, perché la poesia è musica e, per apprezzarla bisogna sentirla con le orecchie.
Il secondo ricordo vede implicata la FG.
La sua maestra le diede da imparare a memoria il solito Sabato del villaggio, i maestri sembrano amare smodatamente questo canto e forse è per questo che tutti gli alunni lo odiano.
Fu una settimana da incubo, peggio del viaggio dantesco nell’ inferno!
La FG la poesia l’ aveva capita (la Signorina P., esimia maestra della fanciulla, era una donna intelligente: le poesie le spiegava e bene) ma sembrava estremamente riottosa ad impararla a memoria e voi non potete neppure immaginare cosa voglia significare quel “riottosa”.
Dal lunedì al sabato ripetemmo i versi all’ infinito, alla fine la sapevo a memoria anche io!
La FG l’ aveva imparata e la sapeva dire molto bene, con l’ intonazione giusta, con molta grazia e partecipazione emotiva ma non sembrava contenta.
La sera della domenica ( il compito era stato assegnato per il lunedì) la trovai in lacrime, in un mare di lacrime e singhiozzi. Gliene chiesi il motivo e lei rispose che era per la dannata poesia. Le ricordai che ormai la sapeva, che avrebbe potuto dirla anche dormendo, che non c’era motivo di piangere e intanto, dentro di me, maledivo Leopardi, i villaggi, il sabato e tutta la categoria degli insegnanti.
“ Sì che c’è il motivo!!” urlò la FG “la Maestra (diceva sempre la Maestra con la M maiuscola), se uno si ferma un attimo a riprendere fiato, dice che la poesia non la sa e lo rimanda a posto con un votaccio! La poesia è lunga, io non la posso dire senza respirare!!!”
Rassicurai la figlia e scrissi una lettera alla Signorina P. nella quale esponevo il problema e chiedevo comprensione.
Quando andai a riprendere la FG il lunedì, la trovai tranquilla, mi disse che la poesia l’ aveva recitata bene, così bene che la maestra gliel’ aveva fatta ripetere anche davanti alle altre maestre.
Oggi la FG è una studentessa di Letteratura, ama le poesie e le legge e le recita in quattro lingue, c’è solo un poeta che non ama affatto, naturalmente è il povere Giacomo Leopardi!

domenica 9 marzo 2008

Questione di gusti


Oggi vi regalo una storia che ho scritto un po' di tempo fa, a me piace, a voi?


Questione di gusti

Il ragionier Feletti era irrimediabilmente scapolo. Era vissuto per quarant’ anni con la madre vedova, era figlio unico e amatissimo.
Quando la madre morì per lui fu una tragedia, si ritrovò solo in una casa grandissima e atrocemente silenziosa.
Cadde in depressione, il medico gli prescrisse dei farmaci ma il ragioniere era sempre più depresso. Andava a lavorare tutti i giorni ma svolgeva i suoi compiti meccanicamente, stava perdendo la voglia di vivere.
Il ragionier Feletti era timidissimo, non aveva amici, trovava difficile scambiare quattro chiacchiere con i colleghi, infatti raramente interveniva nei loro discorsi ma almeno sentirli parlare gli teneva compagnia. Quando tornava a casa, invece, trovava soltanto il silenzio e i ricordi.
Il medico, un giorno, gli chiese: – Perché non si prende un animale domestico? Un cane o un gatto possono tenere molta compagnia. –
Il ragionier Feletti ci pensò a lungo, un cane no, l’ idea non gli piaceva, un cane sarebbe stato troppo impegnativo, era necessario portarlo fuori e poi lui tornava a casa soltanto la sera, un cane è un animale sociale, ha bisogno di avere gente intorno.
Il ragionier Feletti pensò che un gatto fosse più adatto.
Egli era un tipo riflessivo, prima di decidersi si documentò su internet, studiò con attenzione ed in breve divenne un esperto in felini domestici. Finalmente acquistò un gatto, un maschio persiano che chiamò Carlomagno, un personaggio che aveva sempre amato.
Carlomagno era bello, aveva il pelo bianco con chiazze nere, la coda, lunga e folta, era nera anch’ essa. Si adattò subito alla casa e al ragioniere che, al suo ritorno, la sera, veniva accolto con miagolii e strusciatine.
Il ragionier Feletti non si fermò a Carlomagno, accolse a casa sua anche altri gatti, quattro per l’ esattezza, randagi che aveva incontrato per caso lungo il tragitto verso l’ ufficio.
Il mondo felino lo affascinava, osservava i suoi amici a quattro zampe, parlava con loro, li amava ma sapeva rispettare la loro indipendenza e Carlomagno, Giuliocesare, Nerone, Napoleone e Lincoln ricambiavano a modo loro il suo affetto con fusa e miagolii.
Al ragionier Feletti passò la depressione, la casa non era più vuota e silenziosa.
Ormai da cinque anni, quando terminava il suo lavoro, tornava a casa felice, non vedeva l’ ora di ritrovare i suoi amici.
Una sera, mentre tornava a casa con le braccia cariche di scatole di cibo per gatti e la testa nelle nuvole, urtò contro una donna, le scatole caddero a terra ed entrambi si chinarono a raccoglierle. La donna gli chiese: – Lei ha un gatto? –
La domanda era davvero stupida, pensò Feletti, ma rispose con orgoglio: – No, ne ho cinque! –
–Cinque! – esclamò la donna, poi continuò: – Pensi che io ne ho sei! –
Il ragioniere la guardò perplesso, non capiva se lei dicesse la verità o lo stesse canzonando. Decise di metterla alla prova, iniziò a parlare di gatti e sfoderò tutta la sua sapienza: parlò di vibrisse, di cuscinetti plantari, di unghie protrattili e soprattutto di psicologia felina.
Parlò a lungo, come non aveva mai fatto in vita sua e intanto guardava la donna. Quella lo ascoltava incantata e rispondeva a tono. Anche lei era una vera conoscitrice, sapeva tutto sui gatti e li amava quanto lui. Il ragionier Feletti la osservò con rinnovato interesse, non era bella e neppure giovane, dì istinto gli occhi di lui corsero alle mani di lei, non aveva anelli.
Il ragioniere si presentò e lei gli disse che si chiamava Ada; lui la invitò a prendere un aperitivo e lei accettò. Quando si salutarono, lui le chiese il numero di telefono e lei glielo diede.
Com’ era volato il tempo trascorso insieme! Il ragioniere era meravigliato dalla facilità, per lui davvero inusuale, con la quale aveva esternato la sua passione, la sera a casa raccontò ai suoi mici l’ incontro ed era tanto piacevole ricordare.
Il ragioniere e Ada si rividero, lei gli presentò i suoi gatti, unici compagni della sua solitudine e consolazione della sua tristezza, lui le fece conoscere i suoi cinque campioni e continuarono a vedersi e a parlare di gatti.
Oggi Ada e il ragioniere non sono più soli e tristi, si sono sposati e vivono insieme, loro due e gli undici gatti, in un’ unica grande famiglia felice.

domenica 2 marzo 2008

Non si fa


A casa mia gli adulti usavano tre pargolette magiche per insegnarci l’ educazione: “Non si fa”.
Ce le sentivamo ripetere spesso e per molte ragioni.
Avevamo un elenco pressoché infinito di cose proibite.
Mentire, non si fa
Mostrarsi vili davanti ad una prova, non si fa
Non compiere al meglio il proprio dovere, non si fa
Non svolgere fino in fondo i propri compiti, non si fa
Fumare di nascosto nel bagno della scuola, non si fa
Lasciare cibo nel piatto, non si fa
Arrivare in ritardo, non si fa.
E così via. E noi quasi sempre ci adeguavamo, qualche volta facevamo quello che “non si fa” ma avevamo la consapevolezza che saremmo stati scoperti e puniti, inevitabilmente.
Mi sono chiesta per lungo tempo come facessero gli adulti a beccarci, ora lo so: Noi ci sentivamo così in colpa che loro ce lo leggevano in faccia.
L’ aspetto più sorprendente della faccenda è che non abbiamo mai chiesto: “Perché?”
Non si doveva fare. Punto. Basta.
Io, diventata grande, me lo sono chiesto e la risposta credo di averla trovata: se uno fa quello che non si deve fare, deroga dalla sua dignità di uomo e quindi danneggia gli altri ma soprattutto se stesso perché, guardandosi allo specchio, vede quello che vedevano a suo tempo i nostri genitori: una persona che ha perso di vista il suo significato.