Il naso di Cyrano: 2011

sabato 31 dicembre 2011

Natale con Cat

Vacanze natalizie ricche di attività piacevoli, come è logico visto che Cat è a Roma.

Abbiamo fatto lunghe passeggiate in centro, evitando le strade più affollate, percorrendo vie e viuzze che noi conosciamo e la maggior parte degli altri no. Stradine e piazzette sulle quali affacciano antichi palazzi, facciate deliziose di chiese poco note, eleganti negozi e botteghe artigiane rare ed affascinanti.

Siamo andate a teatro a vedere una esilarante commedia di Francesca Nunzi, si intitola Natale a Capracotta e abbiamo riso dall’inizio alla fine. E’ la storia di tre sorelle, alquanto demenziali, che si ritrovano la sera di Natale, tre tipe diversissime e molto umane, ciascuna con la sua storia e le sue manie che entrano in rotta di collisione ma sanno anche ritrovarsi. Uno spettacolo divertente ma che fa anche riflettere.

Ieri abbiamo visitato la mostra “Homo sapiens”, sull’evoluzione della specie Homo, un percorso interessante effettuato, purtroppo, tra adulti ignoranti e ragazzini annoiati e maleducati ma ormai ci siamo abituate. Abbiamo pranzato all’Open Colonna, il ristorante sul tetto del Palazzo delle Esposizioni, tra l’altro ho assaggiato una fantastica crema di lenticchie, da alta cucina.

Nel pomeriggio siamo andate a vedere il film di Sherlock Holmes, gradevole anche se c’era, a mio giudizio, un po’ troppa azione e poca riflessione, Il grande detective, nei romanzi di Conan Doyle, usava più il cervello che i cazzotti.

Deludente, invece, è stato Il gatto con gli stivali, visto l’altro ieri: una storia senza capo né coda, con un Humpty Dumpty, tradizionale personaggio inglese, emigrato, chissà perché, in Messico, nessuna battuta divertente dialoghi da decerebrati. Ai miei tempi i cartoni animati erano ben altra cosa, anche le figlie lo hanno irrimediabilmente stroncato, se io sono cresciuta con La bella addormentata e Cenerentola, loro sono state accompagnate nella loro crescita dalla Sirenetta e dalle Follie dell’imperatore, opere di ben altro livello sotto tutti i punti di vista!

Stasera Cat resta da mamma, io e la FG festeggeremo il nuovo anno a casa mia, viene anche una simpatica amica della FG, ho passato tutta la mattina a preparare tartine, ne ho fatte di tanti tipi diversi, con alcuni accostamenti arditi ma gustosi, ho cotto anche le lenticchie con le salsicce, uno dei pochi piatti che so cucinare bene.

Speriamo che il nuovo anno non ci faccia troppo soffrire, dovremo fare un po’ più di sacrifici ma io finché ho libri da leggere e spettacoli teatrali da vedere non mi spavento, quando proprio non ne posso più, mi infilo in una bella storia, stacco la spina per un po’ e poi riparto, lancia in resta e spada in mano, come don Quijote e il mio amato Cyrano.

sabato 24 dicembre 2011

Il ”Sugo di mamma”

Ieri, primo giorno delle tanto sospirate vacanze natalizie, ho passato tutta la mattinata a cucinare. Io non amo cucinare, è un’attività che mi snerva, temo sempre di sciupare gli ingredienti, di non riuscire a realizzare delle pietanze mangiabili. In effetti, cucino raramente, a casa mia è la FG che si occupa dell’ingrata incombenza; non so perché ma a lei piace, riesce a ridurre la cucina come Austerlitz dopo la battaglia famosa anche se cuoce due patate lesse ma, di solito, poi pulisce e riordina e a me va bene così.

Ieri però ho dovuto cucinare il famoso “Sugo di mamma”, mitico condimento, a sentire le mie figlie, che io farei da grande chef.

La cosa mi lusinga ma devo confessare che il sugo in questione non è che un banalissimo ragù a base di carne di vitella e maiale, con aggiunta di passata di pomodoro. Niente di che, insomma.

Le mie figlie il vero “Sugo di mamma” lo hanno assaggiato da piccole ma loro lo dovrebbero chiamare “Sugo di nonna”. Quello sì che era una poesia!

Quando ero piccola il suo aroma mi svegliava la domenica mattina ed era proprio un bello svegliarsi. La mia mamma si alzava presto e preparava il ragù, meraviglioso come quello di Donna Rosa nella commedia di Eduardo.

Anche la mia mamma usava gli stessi ingredienti che uso io (lei ci metteva pure la cipolla ma non si sentiva) però il suo sugo era incomparabilmente più buono del mio, non so perché, forse perché mamma amava cucinare e ci metteva il cuore nel farlo, forse perché gli ingredienti erano genuini allora, forse perché a noi figli sembrava più buono di tutti gli altri. Non so, sicuramente il “Sugo di mamma” mia era più buono del mio.

Adesso la mia mamma quel sugo non lo fa più, è anziana, si stanca facilmente, non può più dedicarsi a realizzare pietanze troppo elaborate ma io il suo ragù me lo ricorderò sempre.

Credo che anche le mie figlie il “Sugo di mamma” loro se lo ricorderanno per sempre; forse perché, alla fine, buonissimo o soltanto decente, il “Sugo di mamma” è un po’ il condimento di quel periodo bello della nostra vita che è l’infanzia il condimento dei ricordi felici, dei compleanni e dei Natali vissuti nell’abbraccio della famiglia.

mercoledì 21 dicembre 2011

I giacobini

Oggi sono stata a teatro a vedere “Vita, morte e miracoli del 1799” di e con Alfonso Sessa; un affascinante monologo, la storia di un sogno bellissimo, un sogno di giustizia e di libertà, il sogno dei giacobini napoletani della fine del Settecento.

Fu, è vero, il sogno di pochi, di un gruppo di intellettuali che non seppero o non poterono comprendere che le masse non li avrebbero di certo seguiti, il sogno di un gruppo di utopisti, di illusi ma, alla fine, i sogni più belli (e i meno realizzabili) li sognano sempre in pochi.

La rivoluzione del 1799 fallì, non poteva essere altrimenti, il re tornò e la repressione fu spietata.

Certo, poi, sessant’anni dopo arrivò Garibaldi, anche lui aveva un sogno, di giustizia e di libertà e per quel sogno partì, con pochi altri, si batté da leone e, contro ogni probabilità, vinse. Poi si svegliò. Quando, dopo aver sconfitto definitivamente “ ’o RE” Borbone, si trovò davanti “il RE” Savoia e comprese che nulla sarebbe cambiato, che ingiustizia, privilegio e tirannide avrebbero continuato ad imperversare in Italia. Allora si ritirò nella sua isola, altro non poteva fare ma, forse, continuò a sognare.

Ma quella è un’altra storia o forse no, forse è sempre la solita storia. Forse lo spettacolo di oggi ha messo bene in evidenza che i sogni appartengono a pochi, che le masse “vogliono” ‘o Re, perché non possono comprendere la grandezza della libertà o perché, in fin dei conti, è più facile essere Lazzari che cittadini, è più facile ubbidire che essere responsabili.

C’era nel monologo, almeno mi è sembrato, anche un’ansia di insegnare, di educare, c’era un messaggio forte contro l’ignoranza ma anche contro un apprendimento acritico, Tore e Lucio, i due fratelli protagonisti, l’uno Lazzaro ed ignorante, l’altro giacobino e indottrinato, rappresentano le due facce di una stessa medaglia, non sono liberi e non possono esserlo perché entrambi non riescono a capire.

Alfonso Sessa ha saputo coinvolgere me e quanti sono stati in grado di comprendere, ha suscitato emozioni profonde e anche dolorose: l’amore per la libertà e la giustizia, il desiderio di agire per conquistarle, la dolorosa delusione, la consapevolezza dell’impotenza di fronte all’ignoranza dei più, dei vecchi e dei giovani che si accontentano, oggi come ieri, di essere sudditi d’ ‘o Re.

domenica 18 dicembre 2011

Rinascimento e Risorgimento

Ieri sera, con la FG e la FI, siamo andate al Quirino a vedere La bisbetica domata. Come sempre, quando andiamo al Quirino, abbiamo prima cenato nel simpatico Bistrot del teatro e la cena è stata decisamente migliore dello spettacolo, che valeva proprio poco, dei caratteri inventati da Shakespeare non è rimasto nulla, gli attori, più che recitare, urlavano, costumi e scena erano del tutto inappropriati. La cena, invece, è stata gradevole.

Decisamente migliore è stato, dal punto di vista culturale lo scorso fine settimana, all’insegna del bello e della storia.

Giovedì, con l’inseparabile FG, sono andata a vedere la mostra su Filippino Lippi e Sandro Botticelli. Me ne sono andata a spasso per le sale circondata da una bellezza inenarrabile, mi sono riempita gli occhi di meraviglia ed il cuore di gioia; uno può fare tutte le analisi critiche o storiche che voglia, alla fine quello che ti rimane dentro è la felicità della bellezza. Tra i tanti dipinti c’era anche la formidabile Adorazione dei Magi di Botticelli, uno dei miei preferiti in assoluto, sono restata in adorazione anch’io, come i Magi ma io ero in adorazione del dipinto!

La sera siamo andate a palazzo Braschi per una visita guidata con spettacolo teatrale incluso. Un’esperienza insolita ed affascinante tra papi, aristocratici, carbonari, pasquinate e sonetti del Belli.

Venerdì sera al teatro Argentina abbiamo visto “Quello che prende gli schiaffi”, un dramma di Andreev con Roberto Sturno e Glauco Mauri. Sturno è stato bravissimo, ha reso il suo personaggio con tragica ironia e mi ha commosso, Glauco Mauri ha costruito il suo con perizia estrema, ironico ed affettuoso, distaccato e tenero, con la sua voce unica, pazzesca trascinava lo spettatore nella storia dolorosa e sconsolata, persino gli studenti, che di solito a teatro rompono e non seguono, ieri sera stavano zitti, come sospesi nella irrealtà troppo reale del palcoscenico. Insomma, uno spettacolo da brividi!

A Roma hanno acceso le luci natalizie, via del Corso è coperta da un lunghissimo velario di luci tricolori, parecchio kitch ma a loro modo affascinanti, forse un richiamo all’Unità in un momento difficile per l’Italia. Peccato che gli Italiani, o almeno gran parte di loro, funzionino proprio male! E pensare che Botticelli, Lippi, Verdi, Donizetti e tanti altri grandi erano italiani, loro sì che funzionavano bene!

domenica 11 dicembre 2011

VERGOGNA!

In questo mio Blog io non parlo mai di politica o quasi mai. Non è un caso ma una precisa scelta: per me la politica è ben altra cosa rispetto a quello che l’ informazione ci dice riguardo all’operato di coloro che abbiamo eletto.

Oggi, però, faccio un’eccezione, oggi voglio esprimere tutto il mio disgusto.

In questi giorni il Governo dovrà varare una manovra tremenda, saremo chiamati a sacrifici economici che la maggior parte degli italiani sosterrà con grande difficoltà.

Quelli che siedono in Parlamento e i sindacalisti rivolgono pesanti critiche ai vari provvedimenti ma io ho l’impressione che, come dice Camilleri, facciano “Tiatru”, facciano la commedia, la sensazione è che a nessuno importi niente se la gente dovrà pagare.

Chi critica l’ ICI, chi la Patrimoniale, chi la riforma delle pensioni, su una cosa però quelli della casta sono tutti d’accordo: “Il mio stipendio non si tocca!”

Questo è il grido di dolore che si leva dai seggi parlamentari. “Gli Italiani paghino, noi no.”

Al telegiornale ieri hanno detto che i parlamentari italiani (senza contare altre prebende) ricevono 11.000 euro al mese (dico al mese!) di stipendio mentre la media europea sarebbe di soli (?) cinquemila euro.

Non so se la notizia sia vera, con i mezzi di informazione non si può mai sapere, se è vera e se si equiparassero le retribuzioni dei politici italiani a quelle europee, si avrebbe un risparmio di seimila euro al mese per seicentotrenta deputati e trecentoquindici senatori, che in un anno farebbe € 68.040.000.

Io il conto l’ho dovuto fare con la calcolatrice perché le cifre erano troppo alte per calcolarle a mente.

La cifra è grande ma, sono sicura che qualche acuto pensatore obietterà che, rispetto al debito pubblico, è una goccia nel mare. D’accordo ma il mare è fatto di gocce! E poi, possibile che le gocce di questo mare ce le dobbiamo mettere solo noi, gente comune?

Io, se potessi parlare con il Capo del Governo, gli direi:” Gentile Professore, non riduca di seimila euro gli stipendi dei parlamentari, faccia di più: li faccia vivere con lo stipendio pari a quello di un insegnante o con una cifra equivalente ad una pensione sociale, elimini tutti gli sconti e le gratuità, il debito pubblico si ridurrebbe, eccome!”

Certo, se questo non fosse un sogno impossibile, resteremmo senza parlamentari, infatti, credo, nessuno si candiderebbe più se non ci fosse più da guadagnare (e tanto) dalla politica.

domenica 4 dicembre 2011

Ancora sui libri

In questa settimana di influenza, quando gli analgesici facevano effetto ed il mal di testa diminuiva, ho letto tre libri, uno più interessante dell’ altro.
Rincantucciata sotto le coperte, piena di dolori, con il mio fido ebook reader mi sono tuffata nell’ultima storia di Alessandro Baricco: Mr Gwin. Mr Gwin è uno scrittore che non vuole più scrivere romanzi (forse), lui vuole “scrivere ritratti” della gente; non è una faccenda facile spiegare cosa vuol dire e poi non ve lo voglio spiegare, vi toglierei il gusto di leggere il libro che poi è una riflessione sofferta e dolcissima sul mestiere dello scrittore, sul valore della parola, sull’importanza delle “storie”.
A me è piaciuto da matti, forse è la cosa migliore di Baricco, a parte Novecento, ovviamente.
Poi ho letto L’educazione delle fanciulle, scritto a due mani da Franca Valeri e Luciana Littizzetto, pensieri e riflessioni sulla formazione sentimentale ed umana delle ragazze, quelle di ieri, quelle dell’altro ieri e quelle di oggi. Che nostalgia! D’accordo, noi ragazze dell’altro ieri venivamo tenute all’oscuro di molte cose, le nostre madri erano reticentissime, dovevamo arrangiarci con le letture, i film, le amiche più sveglie ma…
Noi avevamo il sogno, l’amore ci sembrava una conquista difficile, una sfida affascinante, un traguardo ed un punto di partenza che ti cambiava la vita. Per molte la realtà è stata deludente, per me no, io l’Amore immenso, infinito, quello che mi ha cambiato la vita ce l’ho avuto davvero.
Oggi è diverso, forse non si sogna più, i modelli proposti alle ragazze sono ben diversi, non più eroine romantiche (e un po’ sceme) ma tipe furbe che usano il sesso come scorciatoia per prendersi ciò che vogliono…e poi il vuoto. Certo non per tutte le fanciulle di oggi è così ma l’impressione che si ricava osservandole e leggendo il libro è quella.
La cosa che mi è piaciuta di più del libro è il contrasto tra la passionalità, a tratti rabbiosa, della Littizzetto e la pacata ironia della Valeri, così riposante e rassicurante.
L’ultimo dei tre libri che mi hanno tenuto compagnia nei giorni dell’influenza è “La manomissione delle parole” di Carofiglio, un’amara riflessione su come le parole vengano sistematicamente usate dal potere (in ogni epoca) per falsare la realtà, per ottenere consenso irragionato ed irragionevole. L’autore sostiene che i demagoghi sanno benissimo che le idee sono i loro peggiori nemici, bisogna uccidere le idee se si vuole uccidere la democrazia e sanno alla perfezione che la parola è il loro migliore alleato. Naturalmente se la parola viene sottoposta chirurgicamente ad una sistematica operazione di equivoco, di ambiguità di svuotamento. Allora, quando la parola non ha più senso o addirittura non esiste più, gli uomini non possono più pensare, quindi non possono più scegliere, semplicemente non “possono” più; “devono” subire il potere di turno, passivamente, come animali caricati di una soma, pesante o leggera non importa.
E’ avvenuto ed avviene ovunque il potere non “serve” il cittadino ma diviene monarca di sudditi, poi, se e quando quelli che le parole ce le hanno e le idee pure riescono a trasmetterle, succedono le rivoluzioni che, però, non sempre finiscono bene. Basta pensare a quella francese, gli Illuministi credevano alla libertà ma la loro rivoluzione ha prodotto uno come Napoleone.
Il libro di Carofiglio è angosciante perché descrive una realtà attualissima con la quale mi scontro tutti i giorni, io le parole (e le idee) cerco di insegnarle, è il mio mestiere ma mi rendo conto, ogni giorno di più, che non mi è più possibile. Da giovane vidi un dramma tremendo e bellissimo di Giuseppe Patroni Griffi, si intitolava “Prima del silenzio”, un dialogo doloroso tra un vecchio intellettuale ed un giovane, il vecchio cerca di spiegare al giovane l’importanza della parola ma non ci riesce. Ecco, io mi sento peggio del vecchio: a me pare che ormai non resti altro che il silenzio.

domenica 27 novembre 2011

I supplì e la tirannide

La FG nutre una smodata ed insana (visto che ha il colesterolo alto) passione per i supplì. Quando era a Parigi ne soffriva la mancanza e, quando tornò, non baciò il suolo patrio ma mi chiese di comprargli un supplì insieme ad un cappuccino, bevanda che i francesi ignorano. L’accostamento era ardito e, a mio giudizio, rivoltante ma l’accontentai. Neppure Manzoni avrebbe potuto descrivere l’espressione beata che si dipinse sulla faccia della FG mentre se li gustava.
Il nome supplì è forse di derivazione francese, deriverebbe da surprise, in riferimento al ripieno ma quasi sicuramente fu inventato da un romano, del resto non deve meravigliare che i nomi di molti piatti nostri derivino da lingue straniere, di stranieri in Italia ne sono passati tanti, non come turisti, come conquistatori, dico, che qualcosa ce lo dovevano pur lasciare, si sono fregati quadri e statue e ci hanno lasciato nomi, un cambio decisamente favorevole, per loro.
Secondo me, il supplì (che è una delizia ben diversa dalle arancine o arancini siciliani, peraltro, quando ben preparati, niente affatto disprezzabili) se lo è inventato un romano libertario per consolarsi della tirannide papalina, quando non puoi essere libero, in qualche modo devi pur consolarti e il cibo, si sa, è un’ottima compensazione alla nevrosi, peccato che più è buono e più ingrassa.
La mia teoria si fonda sull’osservazione delle abitudini alimentari dei popoli: quelli che hanno subito tiranni ed invasioni sono quelli che cucinano meglio, ad esempio i polacchi. Quante ne hanno viste poveri polacchi! Ci sono stati periodi durante i quali la Polonia è scomparsa dalla carta geografica, divisa tra Russia, Austria e Prussia. Anche i russi cucinano alla grande; capirai, da Ivan il terribile in poi, di despoti ne hanno avuti a raffica.
Gli spagnoli, che oltre ai re se la dovevano vedere anche con il Grande Inquisitore, hanno raggiunto traguardi interessantissimi in campo alimentare, i francesi hanno smesso di cucinare bene con la rivoluzione francese, fino ad allora erano maestri in pasticci, paté, dolci, dopo aver conquistata la libertà non sono stati capaci che di inventare la nouvelle cuisine che è la cosa più triste che possa capitare ad un gourmet. La nouvelle cuisine è una faccenda a sfondo artistico più che alimentare: ti ritrovi davanti un piatto, dalle forme più strane, che sembra un quadro di Picasso: ghirigori di salse sconosciute, composizioni di cetriolini nani, carotine mignon, ravanelli invisibili; al centro (o di lato, secondo l’estro del creatore) c’è la pietanza vera e propria, quella che si mangia perché il resto è solo decorazione, in quantità sufficiente per un cardellino, certo non per un essere umano, anche di età e dimensioni ridotte. E’ inevitabile, chiunque, davanti a roba simile, pensa con nostalgia alla pastasciutta che gli faceva mamma sua!
Noi italiani siamo sicuramente in cima alla classifica, la libertà, quella vera, quella civile, noi non ce l’abbiamo avuta mai e allora ci consoliamo con la cucina. Piatti poveri e ricchi, primi, secondi, dolci, accompagnati dai vini più svariati, sono l’alternativa alla frustrazione ideologica. Una cura sicuramente più efficace, anche se forse altrettanto costosa, di una batteria di sedute psicoanalitiche. Forse è per questo che da noi le rivoluzioni e le guerre civili non attirano la gente. Ve l’immaginate, per esempio, un ragazzo romano che dice:” A ma’ oggi nun rientro, vado a fa’ ‘a guera civile”. La madre rilancerebbe subito con un:”Ma ‘ndo vai, bello de mamma? Guarda che a pranzo ce stanno li gnocchi!” E che volete che faccia il povero ragazzo?! Ritorna a casa per mezzogiorno, è evidente, a sbafarsi” li gnocchi de mamma che come li fa lei…”.
I popoli che godono della libertà non sanno cucinare, prendete gli statunitensi, a parte il panino del fast food, che altro hanno inventato, degno del nome di cibo? Nulla o quasi, da bere, poi, in mancanza di buon vino e di caffè potabile, si sono dovuti accontentare di una bevanda acida e zuccherosa dall’aspetto vagamente ripugnante.
E veniamo alla patria della libertà: la civilissima Gran Bretagna, il Paese della Magna Charta libertatum, la patria del parlamentarismo… e del pudding. Se non sapete cosa sia il pudding non vi preoccupate, potete vivere benissimo lo stesso, anzi vivrete meglio se non lo assaggerete mai. Io l’ho assaggiato una volta, non sono riuscita ad inghiottirlo e ho giurato che mai più avrei accettato l’immonda schifezza.
Gli inglesi non sanno cucinare perché non hanno bisogno di consolarsi, bene o male loro la libertà ce l’hanno. Voi mi direte che gli inglesi hanno delle carni squisite, dell’ottimo roastbeef, certo ma, come dice sempre la FG, mica è merito dei cuochi inglesi, semmai il merito è delle mucche britanniche!

domenica 20 novembre 2011

Una fiaba meravigliosa

Il flauto magico è una favola bellissima e Mozart ne ha fatto un capolavoro con la sua musica geniale.

Ieri sera sono andata a vedere la rielaborazione del capolavoro mozartiano fatta da quell’altro genio che è il regista ottantaseienne Peter Brook.

Ero stanca morta, avevo passato tre ore in piedi, in attesa di risolvere un problema negli uffici dell’Acea, in pieno delirio, tra gente inferocita ed impiegati idioti. Pensavo che non sarei riuscita a seguire lo spettacolo e invece, dopo tre secondi mi sono ritrovata immersa nella magia della musica e della fantasia. Un transfert miracoloso che ha fatto sparire ogni traccia di stanchezza.

In una scena quasi vuota, arredata solo dal pianoforte e da tante canne di bambù, che gli attori spostavano per creare ambienti e suggestioni, l’eterna storia del bene e del male si è dispiegata con la musica avvincendomi completamente. Le parti cantate erano in lingua tedesca, come da libretto, i recitativi in francese, su uno schermo scorreva la traduzione in italiano ma io non ne ho avuto bisogno: la storia di Tamino e Pamina e quella di Papageno, quella di Sarastro e della Regina della Notte la so a memoria. Durante l’assolo, mitico, della Regina ho addirittura chiuso gli occhi, non mi servivano, volevo gustarmi fino in fondo i gorgheggi, limpidissimi, della Regina.

Papageno è stato delizioso, divertente e ingenuo, Tamino e Pamina, giovani e sperduti, facevano tenerezza, Sarastro offriva una rassicurante immagine della saggezza che sconfigge il male ma, come al solito quando assisto a quest’opera, sono stata conquistata dalla Regina della Notte, che sarebbe il personaggio negativo ma che a me piace tanto.

Forse perché la Notte è il momento dei sogni, dell’evasione dalla realtà. Non so. So soltanto che a me la notte piace, io sono un tipo lunare (e lunatico), il buio, invece di spaventarmi, mi ha sempre rassicurato, anche quando ero piccola.

Non c’è stato intervallo tra la prima e la seconda parte, la mia concentrazione era al massimo e mi sono goduta ogni singola nota, ogni passaggio della storia, come se fossi tornata bambina, Peter Brook e Mozart mi hanno raccontato, magistralmente, una fiaba deliziosa ed affascinante.

sabato 12 novembre 2011

Ultimissima!!!


WIWA L’ITALIA

E’ finito un incubo. Forse.

I danni che governanti disonesti ed incapaci hanno prodotto restano e sono gravissimi.

Lo sappiamo tutti, l’Italia è sull’orlo di un baratro, un orrido spalancato sotto i nostri piedi. Sotto i piedi di tutti gli italiani anche di quelli che hanno votato per chi i guasti ha prodotto.

E allora? E allora non serve fare quello che sta facendo la FG: litanie laiche rivolte a Mazzini, Garibaldi, D’Azeglio e patrioti assortiti. Serve che tutti e dico proprio tutti ci armiamo di santa pazienza e di spirito di sacrificio. Non è un nuovo Presidente del Consiglio che può salvare l’Italia. L’ Italia o la salviamo tutti noi italiani o va a picco.

Dunque adesso sta a noi: se siamo uomini di carattere, come diceva Massimo D’Azeglio, ci rimbocchiamo le maniche, accettiamo sacrifici disumani, campiamo con pochi soldi, paghiamo le tasse e dimostriamo al mondo che non siamo ladri, puttanieri, ipocriti e disonesti.

Io sono pronta, posso risparmiare anche sul cibo, magari dimagrisco, spenderò meno che posso, farò il mio dovere. Sono certa che come me la pensano in tanti. Certo non tutti ma, se e quando avremo riportato l’Italia al rango di Nazione stimata a livello europeo, potremo guardare con disprezzo ed orgoglio i miserabili, ignoranti, disonesti che avranno continuato a rubare e a truffare, con la gioiosa consapevolezza di non essere come loro, con la felice certezza di poter con orgoglio affermare:”Io sono un italiano onesto”.

Eleonora

Ieri la FG ha incontrato un’altra grande Signora del teatro italiano: Anna Maria Guarnieri che ha interpretato un monologo su Eleonora Duse.

Interpretazione da brividi, inutile dirlo, da lacrime agli occhi, infatti alla fine la FG e anche la mia amica L. che era con noi gli occhi lucidi ce li avevano, io no ma ero affascinata.

Per un’ora la Guarnieri si è trasformata nella Duse, ormai anziana e malata, disillusa e capricciosa, orgogliosa e dolente, nostalgica e combattiva.

Un monologo triste, il consuntivo di una vita per il teatro, il ricordo di amori passati e disillusi, la consapevolezza di essere stata grande, la solitudine dell’attrice sul palcoscenico davanti al “mostro dalle tante teste” che è il pubblico, la solitudine di una donna al tramonto della sua vita.

Bellissimo. E magistralmente interpretato da una grandissima attrice e dalla … luce: il tecnico delle luci, Gino Potini, è riuscito davvero a fare un capolavoro, variando la direzione e l’intensità della luce ha creato sul volto dell’interprete magie incredibili, invecchiando e ringiovanendo, rendendo l’immagine della salute e della malattia, sottolineando sentimenti e stati d’animo.

Al termine del monologo, che quasi tutto il pubblico (i cafoni ci sono sempre) ha seguito in silenzio e con il fiato sospeso, c’è stato un attimo di silenzio prima degli applausi, quasi che non ce la facessimo ad uscire dall’incantesimo, poi una standing ovation.

La FG, che sa riconoscere una grande attrice, è voluta andare in camerino a ringraziare la signora Guarnieri, io e L. l’abbiamo seguita, eravamo molto emozionate, abbiamo ringraziato la Guarnieri e siamo tornate a casa con il cuore felice.

sabato 5 novembre 2011

Bellezza perduta

In questi giorni Cat è stata a Roma e, insieme, abbiamo fatto alcune cose belle.
Abbiamo visitato la mostra degli Orientalisti italiani dell’Ottocento che ci è piaciuta parecchio e quella di Mondrian, affascinante se pur funestata da un branco di ragazzini maleducati. In realtà le bestiole erano soltanto tre ma così insopportabili da sembrare un branco, le loro madri erano anche peggio.
Comunque, eseguendo passaggi strategici in modo da evitare il più possibile contatti con madri e figli, la mostra ce la siamo goduta.
L’opeara che mi è piaciuta di più è un dipinto dove un piccolo quadrato blu è imprigionato da righe nere su fondo bianco. Mi è sembrata una metafora adatta a me, io mi sento proprio come quel quadratino sperduto in una realtà soffocante.
Siamo anche andate a teatro a vedere un Paolo Rossi strepitoso in una sua personalissima riedizione di Mistero buffo.
Cat avrebbe voluto anche fare shopping ma non ci siamo riuscite: in giro c’era troppa gente, i negozi in realtà erano quasi vuoti, un po’ perché in vendita ci sono abbastanza schifezze e un po’ perché ormai i soldi ce li hanno in pochi.
Anche nei teatri c’è molto meno pubblico e mi dispiace per le compagnie teatrali che guadagnano poco ma per me va meglio: ormai le persone sono così arroganti e insopportabili che io trovo sempre più difficile starci a contatto; assistere ad uno spettacolo senza telefonini accesi (nonostante l’espresso divieto), senza adolescenti cretini nei dintorni, senza vecchietti logorroici accanto è una goduria senza pari!
Le strade invece sono affollate, la gente cammina ma non passeggia; non è la stessa cosa, passeggiare vuol dire osservare, ammirare, godere della bellezza che, incredibilmente a Roma ancora esiste. La gente cammina, non guarda, le persone parlano tra loro o al cellulare, se non si sta attenti si viene urtati e spintonati da mandrie di umani in movimento.
Io ormai soffro di agorafobia, mi riesce sempre più difficile uscire di casa; passeggiare per le vie di Roma è ormai possibile solo a tarda notte, allora è bello sentire il rumore dei propri passi sul selciato, guardare le stelle del cielo di Roma e la luna che abbraccia di luce le fontane ed i palazzi, allora Roma torna bellissima e mia.
Domani Cat ripartirà, tornerà per le vacanze di Natale e faremo ancora cose piacevoli insieme, abbiamo in programma altre mostre e spettacoli e stiamo studiando percorsi ed orari alternativi per le nostre passeggiate.

sabato 29 ottobre 2011

Poesia dell’Autunno

Cos’è che rende poetico l’autunno?
E’ forse il colore rosso brunastro delle foglie che cadono lentamente dai rami, ricoprendo l’asfalto delle strade cittadine e provocando rovinose cadute di nonnetti ed attempate signore che scivolano sul bruno manto? No.
E’ forse il colore triste del cielo al mattino, quando frotte di studenti infelici e di in felicissimi professori esce di casa, rimpiangendo il bel sole d’agosto? No.
E’ forse il volo di qualche rara rondine che fugge verso le calde terre del sud? No.
E’ forse il piacere di tornare nel tepore dolce della propria casa, nell’involtolarsi nella copertina di pile, stesi sul divano a leggere un libro? No.
E’ allora la pioggia che scroscia con il furore dei tropici e fa saltare le fogne che l’amministrazione comunale, pur avendo aumentato, di molto, la tariffa della tassa sui rifiuti, si guarda bene dal fare ripulire, con effetti disastrosi e talvolta drammatici per la cittadinanza? Neppure.
Sapete in che consiste la poesia dell’autunno per la mia incomparabile FG?
La FG me lo ha rivelato oggi a pranzo, precisamente al momento del dessert.
La poesia dell’autunno per la FG sta… nella squisita marmellata di castagne con la quale aveva farcito dei minicornetti che ci stavamo sbafando in perfetta letizia al termine del nostro pranzo!!!

domenica 23 ottobre 2011

Week end risorgimentale

Ieri e l’altro ieri ho partecipato con la FG ad un convegno sul Risorgimento visto dagli altri, sarebbe a dire dagli altri popoli.

Il convegno era organizzato dal dipartimento di Letteratura italiana della Facoltà di Lettere della Sapienza: la mia Facoltà. Mi sono sentita di nuovo studentessa ed ero felice come quando studiavo per laurearmi.

C’era molto pubblico e anche tanti studenti maleducati che, invece di stare a sentire i relatori, chiacchieravano o giocavano con i telefonini.

Io ho preso tanti appunti; sul Risorgimento ho letto montagne di libri ma la prospettiva del convegno era insolita ed interessante. Quello che ne è emerso è che gli altri popoli non ci stimavano molto: a parte il solito Garibaldi, visto da tutti i democratici del mondo come un eroe puro, coraggioso e disinteressato, gli altri padri del Risorgimento ed il popolo italiano non ci fanno una bella figura. Gli italiani erano e sono considerati per lo più poco coraggiosi, litigiosi, disonesti. Il processo di unificazione è considerato, a ragione, più un’opera di annessione territoriale al Piemonte dei Savoia che la creazione di una nuova entità politica. Lo Stato unitario mostra alle altre Nazioni, fin dal suo nascere, i difetti che mai, poi, saranno corretti: divario tra Nord e Sud, esosità fiscale sui ceti più deboli, corruzione e sete di potere di quelli emergenti, miopia politica, per non dire assoluta cecità del ceto dominante. Insomma, roba da vergognarsi.

I relatori, qualificati ed esaurienti, hanno illustrato i risultati delle loro ricerche, effettuate su testi vari: resoconti di viaggio, romanzi, opere teatrali, lettere; la loro gentilezza non ha attenuato il mio disagio, è davvero triste doversi vergognare di essere italiana. La FG non doveva star meglio se il convegno le ha suggerito il disegno che illustra questo post: il funerale dell’Italia pianta da chi l’ha voluta e ci credeva: Cristina di Belgioioso, Garibaldi e suo figlio, Mazzini, prostrato sulla bara, Massimo D’Azeglio e Cavour che si morde le mani, forse per il rimorso.

Forse io e la FG siamo troppo pessimiste, sicuramente c’erano e ci sono degli italiani onesti e coraggiosi, capaci di fare il loro dovere,donne e uomini di carattere, come diceva D’Azeglio ma è un po’ difficile riconoscerli tra gli altri.

domenica 16 ottobre 2011

Pascaloosa sauce

La FG adora il Quartetto Cetra, mitico gruppo attivo quando io ero piccola ed anche prima, conosce a memoria e canta un mucchio di loro canzoni. Tra queste una delle sue preferite è Pascaloosa sauce, amabile canzoncina che descrive la ricetta di una salsa usata, forse, dai cowboys.

Oggi ci è venuto in mente di provare a realizzare la Pascaloosa sauce.

Ovviamente, essendo entrambe affette da colesterolemia,abbiamo apportato alcune varianti al fine di non restarci secche.

Qui di seguito vi do la ricetta originale e poi vi segnalo le nostre varianti, rigorosamente in versi.

Dal Testo originale :

Pascaloosa sauce

(Savona - Chiosso - Giacobetti)

Laggiù a Pascaloosa si apprezza il fagiolo

Ne mangiano a pranzo ciascuno un paiolo

E zia Caterina divenne famosa

Unendo al fagiolo la sauce Pascaloosa

Pascaloosa, Pascaloosa, Pascaloosa, Pascaloosa sauce

Pascaloosa, Pascaloosa, Pascaloosa, Pascaloosa sauce

Si prende del whisky e dentro la tazza

Con uova di struzzo così si strapazza

Si aggiunge del sale e del pepe rosso

E un mazzo di menta raccolta in un fosso

Varianti nostre:

Al posto del whisky, dentro la tazza

La panna ed il porto così si strapazza

Mentuccia e fagioli col pepe tu unisci

Aggiungi del sale, frulla e condisci.

Abbiamo cotto il tutto e realizzato la salsa ma eravamo alquanto dubbiose sull’esito dell’esperimento.

In effetti la salsa l’ha realizzata la FG che ama cucinare (al contrario di me) ed è stata così brava a dosare gli ingredienti che la salsa è riuscita veramente squisita.

L’abbiamo usata per condire dei ravioli con ripieno di piselli e per insaporire il pollo.

È venuto fuori un pranzo insolito e gradevolissimo, la FG sostiene che il termine esatto è “sopraffino” ed ha pienamente ragione!

Sicuramente rifaremo la Pascaloosa sauce, se volete stupire i vostri ospiti con una ricetta certamente molto originale vi consiglio di realizzare anche voi la salsa, magari mentre ascoltate i Cetra che cantano Pascaloosa sauce.