Il naso di Cyrano: Mangiare a Firenze

mercoledì 2 luglio 2008

Mangiare a Firenze


A me non piace mangiare nei ristoranti per turisti, dove ti spacciano per piatti tipici cose che trovi dovunque.
Un mezzo sicuro per trovare buono posti per mangiare è chiedere informazioni a gente che lavora sul posto.
La prima volta che io e mio marito andammo a Firenze, dopo aver lasciato due figlie offesissime ad una nonna molto perplessa, chiedemmo ad un edicolante un posto dove si potesse mangiare bene e a costi contenuti, lui ci indicò la trattoria di M.
Da M era proprio una trattoria, piccolissima, pochi tavoli, la finestra comunicante con la cucina, due camerieri e un bancone dietro il quale M spillava il vino da dei barilotti.
M sembrava uscito pari pari da una novella di Boccaccio: bassotto, grassetto, con una vistosa panciotta sotto il grembiule bianco, la facciona rossa e sorridente. Ci accolse come se fossimo vecchi amici ed era la prima volta che ci vedeva e ci invitò a sederci, tutte le volte che ci tornammo ci accolse così, con quel suo sorriso consolante e allegro.
C’ erano altri avventori, tutti si conoscevano tra loro, capimmo che erano commessi e impiegati dei negozi e degli uffici nei dintorni.
I camerieri consigliavano i clienti sui cibi con la bella pronuncia fiorentina, fatta di aspirate e raddoppi consonantici, che a me piace tanto.
Una signora chiese com’erano i fichi che accompagnavano l’antipasto di prosciutto.
La risposta del cameriere fu fulminante e illuminante: “Sono quelli del convento di Santa Dorotea,…mondiali!”
Ed era proprio vero, sì, perché li ordinammo anche noi e posso testimoniare che erano proprio mondiali!
Da M la cosa migliore era seguire il consiglio dei camerieri, se proprio uno voleva ordinare dal menù, loro ti servivano ma era certo che ti perdevi il meglio.
Come il caciucco, un sogno, una mescolanza di sapori e profumi, un cibo da dei o gli gnocchi topini, piccoli piccoli, col sugo bianco o l’ossobuco tenerissimo (come diavolo facessero a renderlo tenero è un mistero, l’ossobuco è la carne più dura del mondo).
Ma dove la trattoria eccelleva era, a detta di mio marito e, in seguito, della FG, nella ribollita.
Marito e figlia avevano sviluppato una passione smodata e morbosa per questo piatto povero, fatto di pane e verdure, sapientemente cotte e ricotte e innaffiato da un filo d’olio genuino.
La ribollita se la gustavano in religioso silenzio, rotto solo da commenti ammirativi e da sospiri di piacere.
In genere terminavamo il pasto con i cantuccini e il vin santo oppure con una fetta della torta della nonna.
Fin al giorno in cui mio marito per dessert chiese...un’altra porzione di ribollita!… Che gli fu prontamente servita dal cameriere, che ormai aveva imparato a conoscerci, senza il minimo cenno di sorpresa.
Poi M morì, i suoi figli cedettero l’attività e oggi la vecchia trattoria si è trasformata in un ristorante per turisti, caro e dove si mangia così così.
Sono tornata a Firenze tante altre volte ma non vado più a mangiare da M, preferisco un tramezzino o me ne vado in uno storico caffè fiorentino dove si mangia bene, anche se a caro prezzo.

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