Io ho avuto la grande fortuna di avere dei buoni maestri. E ne ho avuti molti che mi hanno insegnato molto e in vari campi. Vorrei ricordarli qui ed esprimere tutta la gratitudine che provo nei loro confronti. Alcuni di loro, purtroppo non ci sono più se non nella memoria di chi li ha amati e nel retaggio di insegnamenti trasmessi. Comincio dalla signora V, mia insegnante di matematica alle medie. Io la matematica non la amo, arrivai alle medie con un bagaglio scientifico miserevole e convinta che mai avrei capito nulla di numeri e affini. Invece la signora V la matematica me la fece capire e anche bene. Era severissima ma spiegava così chiaramente che capivo tutto. Risolvevo problemi di geometria, equazioni, disegnavo grafici, impostavo proporzioni con una facilità che mi stupiva. Poi, al liceo, incontrai un insegnante folle e violento e tornai a non capire niente. Però al liceo incontrai anche due persone straordinarie: Margherita e la signora I. Margherita ( naturalmente non la chiamavamo per nome, ma io quando penso a lei la penso come Margherita, è un nome che le si addice) insegnava Storia dell’ Arte, amava così tanto la sua materia che la domenica organizzava visite ai monumenti cittadini per chi avesse voluto conoscere meglio la città. A me piaceva già l’ Arte ma con lei imparai a leggere un’ opera nelle sue componenti, a inquadrarla nel periodo storico-culturale, a gustarmela dal punto di vista estetico. Mi piacerebbe trasmettere ai miei alunni la stessa passione che Margherita è riuscita a trasmettere a me. La signora I. mi ha insegnato letteratura latina e greca. Lei amava in particolare quella greca, era un vero piacere ascoltare le sue lezioni, sui lirici greci o sul teatro ma anche coi latini andava forte, Le spiegazioni su Orazio furono una goduria. Le piaceva Cesare e su questo non andavamo d’ accordo, a ma Cesare sta antipatico, devo dire che lei ha sempre saputo rispettare il mio punto di vista. Mi ha insegnato il piacere di tradurre, operazione faticosa ma con lei ne ho capito tutta l’ importanza, mi ha insegnato il piacere di cercare e trovare la parola giusta, quella che rende meglio l’ idea dell’ autore che si legge. Mi ha insegnato l’ importanza della lettura metrica, dell’ espressione poetica. Se ho scelto di studiare Lettere classiche all’ Università lo devo a lei e gliene sono immensamente grata. All’ Università ho avuto maestri notevoli come il professore di Filologia classica, noto nel mondo accademico come e più di altri ma che, al contrario di molti altri, rispettava gli studenti, non li umiliava con battute offensive e li incoraggiava a progredire. Altri maestri ho avuto nella vita, quando ho cominciato a lavorare. Quando esci dall’ Università sai tante cose ma quella più importante non te l’hanno insegnata: Come si fa il lavoro che devi fare? L’ esempio degli insegnanti che uno ha avuto non è sufficiente perché i ragazzi cambiano nel tempo e a seconda della realtà sociale in cui vivono. Io ho avuto la fortuna di incontrare, nella prima scuola dove ho lavorato, il professor V. Aveva anni di esperienza alle spalle, era uno che dava pochissime risposte ma suscitava molte domande, poi ti guidava e alla fine le risposte le trovavi tu. Socrate sarebbe stato orgoglioso di lui, i suoi allievi lo adoravano, anche io gli ho voluto tanto bene e, con me, un altro insegnante che ha imparato molto del suo mestiere da lui e che, poi, divenne mio marito. Poi incontrai Franca T. Io avevo sempre insegnato alle Superiori, quando arrivai alle Scuole Medie mi trovai in difficoltà. Franca era alle soglie della pensione ma conservava intatta l’ energia e la passione per il nostro lavoro. Mi ha insegnato a rimettermi sempre in discussione, a non dare mai nulla per scontato, a cercare sempre nuove strategie per trasmettere conoscenza. Gli stessi insegnamenti di Franca li ho ritrovati in Simonetta C., una Preside incredibile. Io non mi trovo molto a mio agio con i Dirigenti scolastici, è un mio limite ma con Simonetta C. ci capivamo bene. Lei è una che non si occupa solo della parte amministrativa, per lei l’ aspetto fondamentale è la didattica. Conosce tutti gli alunni della sua scuola, talvolta anche più di quanto li conoscano gli insegnanti. Ho imparato molto anche da lei. Ecco, questi sono stati i miei maestri, a loro devo molto, se con il mio lavoro ottengo qualche risultato lo devo a loro, mi piacerebbe che qualcuno dei miei alunni avesse di me lo stesso buon ricordo che io ho di loro
1. Qual è il tuo stato di famiglia? Vedova
2. In che data è il tuo compleanno? 21 Luglio
3. Vivi in città o in campagna? In città, a Roma
4. Che lavoro fai o hai fatto? Insegnante
5. Hai delle allergie? Troppe
6. Qual è il tuo odore preferito (per le candele, l’incenso, ecc. ...)? Chanel n°5
7. Ti piacciono i dolci? Trooooppo!
8. Quali sono i tuoi gusti culinari? Quasi tutto ma senza aglio e/o cipolla.
9. Quale genere di musica ti piace? Lirica, classica, Guccini, Vecchioni, Nannini
10. Qual è il tuo colore preferito? Tutte le sfumature del blu
11. Qual è la tua stagione preferita? Tutte
12. Collezioni oggetti? Bambole, cartoline, segnalibri, magneti per frigo.
13. Quale rivista leggi? Costano troppo
14. Sei abbonato/a a una rivista? No
15. Qual è il tuo stile nel vestirti? Quello che capita
16. Pratichi un’attività manuale? No
17. Qual è la tua materia preferita? Tutte quelle umanistiche
18. Qual è il tuo animale preferito? Rispetto gli animali ma me ne tengo alla larga
19. Quali sono i tuoi svaghi? Scrivere, suonare il flauto, leggere, andare in palestra
20. Come arredi gli interni della tua casa? In modo funzionale
21. Hai una lista di regali in linea? No
22. Un dettaglio in più? Mi sento sempre inadeguata
I figli La FG è partita oggi. Starà a Parigi un anno, forse più, per una che vuole laurearsi in Letteratura francese non è male. Già mi manca, non credo che sia istinto materno, quello non credo proprio di avercelo, piuttosto credo che sia il fatto che, in un mondo ad alta concentrazione di stupidità, una testa pensante come quella della FG fa sentire la sua mancanza, Però è giusto che sia partita, è giusto che i figli vadano per il mondo con le loro gambe, i genitori possono solo stare a guardare e, se serve, dare il loro aiuto, se i figli lo chiedono. Da due mesi mi ripeto una poesia che i genitori stentano ad accettare ma che i figli capiscono benissimo, finché sono figli. Ve la regalo. I vostri figli... (di Kahlil Gibran) I vostri figli non sono vostri. Sono i figli e le figlie della fame che la vita ha di se stessa. Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi e non vi appartengono, benchè viviate insieme. Potete custodire i loro corpi, ma non le loro anime, poichè abitano in dimore future che neppure in sogno voi potete visitare. Proverete a imitarli , ma non cercate di renderli simili a voi. Voi siete archi da cui i figli , le vostre frecce vive, vengono scoccate lontano. In gioia siate tesi nelle mani dell'Arciere.
Oggi vi regalo una poesia di Trilussa. Non è una di quelle più famose e l’ ho cercata a lungo. Alla fine me l’ ha trascritta un gentile signore che amava le poesie romanesche e ne scriveva anche. E’ morto, improvvisamente, l’ altro ieri. Pubblicare questa poesia è anche un modo per salutarlo: “Ciao. Signor Orlando” LA PUPAZZA Quann'ero regazzino, mi' sorella, che su per giu.' Ci aveva l'eta' mia, teneva chiusa drento a 'na scanzia ‘na pupazza bionna, tanto bella. Era de porcellana, e m'aricordo che portava un bell'abito da ballo, scollato, co' la coda, tutto giallo, guarnito con un bordo. Cor giraje 'na chiave sospirava, moveva l'occhi e, in certe posizzione, pijava un'espressione come avesse penzato a chissa' che.... Se chiamava Bebè . Io ce giocavo, e spesso e volentieri la mettevo sul letto a la supina pe' vedeje spari' l'occhioni neri: e co' la testa piena de penzieri dicevo fra de me:- Quant'e carina! Chissa' che belle cose ciavra' drento pe' move l'occhi tanto ar naturale, pe' sospira co' tanto sentimento” Ecchete che una sera, nun se sa come, tutto in un momento me sarto' in testa de vede' che c'era. A mezzanotte scesi giu' dal letto detti de guanto a un vecchio temperino e come un assassino je lo ficcai ner petto! La squartai come un pollo, poverella: ma drento nun ciaveva che 'na molla, un po’ del fil-de-fero, una rotella e un soffietto attaccato co' la colla. D'allora in poi, si vedo ‘na regazza che guarda e che sospira benanche me ce sento un tira-tira nun me posso scorda' de la pupazza. Trilussa
La FG aveva circa due mesi quando la battezzammo. Era una pupa buonissima, a patto che le dessimo cibo. Piangeva solo quando aveva fame, adorava succhiare, succhiava tutto e, infatti, durante la cerimonia se ne stette, avvolta in veli e organdis rosa, tranquillissima a succhiare il mio braccio. La FI, che all’ epoca aveva tre anni, elegantemente abbigliata e saldamente ancorata alla mano del padre, seguiva tutto con la massima attenzione. Le avevamo spiegato che anche lei era stata battezzata, le avevamo fatto vedere le fotografie, il bigliettino, la bomboniera del suo battesimo ma era chiarissimo che la gelosia la divorava. Per questo avevamo deciso di tenercela vicino e di farla partecipare alle varie fasi del rito. Quel giorno le creature da battezzare erano quattro, tre femmine e un maschio. Venne il momento in cui il sacerdote versa l’ acqua sulla testa del battezzando. Noi eravamo gli ultimi. Gli altri tre bambini strepitarono non poco al fatidico momento, la FG continuò imperterrita a succhiare il mio braccio che ormai grondava saliva e non mostrò nessun segno di fastidio per l’ acqua che il prete le versò in testa. Il sacerdote, a questo punto, rivolse un sorriso alla FI che ricambiò con uno sguardo pieno di odio ed esclamò:”Tu a me la testa non me la lavi!” In effetti, se c’ era una cosa che non sopportava era farsi lavare i capelli. Il prete si affrettò a rassicurarla e tornò ad officiare il rito che proseguì senza ulteriori incidenti fino alla fine.
Sedici Agosto. Voi ve ne state al mare o in montagna, io, invece, ho passato la mattinata girando per ambulatori medici ma non mi lamento, sono riuscita a divertirmi persino là. La FG doveva fare delle analisi improrogabili, così stamattina siamo andate alla ASL. Di solito quello è un luogo che io evito accuratamente ma il laboratorio privato dove tutto funziona perfettamente, dove troviamo cortesia e professionalità, è chiuso per ferie. Alla ASL, stamattina, c’ era pochissima gente, per fortuna, ma i prelievi che dovevano iniziare alle sette e quaranta ( nel nostro laboratorio cominciano alle sette ) sono cominciati ben dopo le otto perché l’ infermiera è arrivata in ritardo. Meno male che la FG, che ieri ha tirato tardi con la FI e i suoi amici, praticamente dormiva, altrimenti avrebbe cominciato a lamentarsi. Alle otto e mezza abbiamo finito e siamo usciti dai fatiscenti locali della Pubblica Sanità. Siamo poi andate al Policlinico per pagare il ticket di una visita che la FG deve fare in settembre. E qui andiamo nel surreale. Badate bene, quello che vi racconto adesso non è un’ invenzione, è tutto assolutamente vero, ho i testimoni. Anche al Policlinico c’ era poca gente. Mi sono messa in fila mentre la FG continuava nel suo stato di trance in sala d’ aspetto. C’erano quattro persone davanti a me, una, con la scusa che si sentiva male, è bellamente passata avanti, sistema italico brevettato. Ai due sportelli aperti lavoravano, si fa per dire, due impiegati, una signorina e un tizio di mezza età. Il computer della fanciulla non funzionava e quindi doveva usare quello del collega, sembrava di vivere in un universo parallelo dove tutto andava al rallentatore. Ad un certo punto è arrivata una signora straniera. Il tizio di mezza età ha cominciato ad inserire i dati anagrafici della signora sul computer ma si è fermato quasi subito. “ Non mi prende la nazione” ha esclamato, poi ha chiesto “ Ma Lei in quale Stato è nata?” “ In Perù” ha risposto la signora. Quello ha riprovato, più volte, ha chiamato anche la collega, che ha lasciato la pratica di un altro paziente a metà e ha cercato di risolvere il problema ma non c’è stato nulla da fare. A me un dubbio era venuto e stavo quasi per esternarlo, il dubbio, cioè, che non fosse il computer il problema ma l’ ignoranza dei due impiegati. Poi sono stata zitta e il tizio ha telefonato all’ assistenza informatica, spiegando la questione. Dalla cornetta è uscita la seguente domanda:” Ma ce l’ hai messo l’ accento sulla u ?”, dalla bocca del tizio è uscita questa sorprendente risposta:” Ma perché, ci va l’ accento?”. Evidentemente quello dell’ assistenza conosceva bene il tizio e io sono molto intelligente, perché il dubbio che era venuto a me era proprio che il tizio avesse scritto Peru senza accento. Comunque il tizio a trafficato con i tasti e poi ha comunicato a quello dell’ assistenza:” Ce l’ ho messo l’ accento ma non me lo piglia lo stesso ”, al che la cornetta ha gracchiato:” Hai usato la u accentata o quella normale e c’ hai messo l’ apostrofo? “ segno che quello dell’ assistenza conosceva molto bene il tizio. Il tizio di mezza età era sorpresissimo di apprendere che su una tastiera di computer ci sono anche le vocali accentate. Ha impiegato un po’ di tempo a trovare la benedetta ù e l’ ha digitata. Il computer gli ha preso finalmente il dato. Dopo è stato tutto semplice: In circa mezzora l’ impiegato è riuscito a scrivere il resto dei dati ( due ) e finalmente è passato ad un altro paziente.Ora, mi chiedo io, ma quando assumono gli impiegati,al Ministero della Sanità, richiedono uno speciale attestato di imbecillità?!
Ve lo ricordate il post di Lupo? Adesso leggetevi la storia di Cappuccetto rosso da altri punti di vista. Cappuccetto rosso Ieri mattina mia madre (che è nata par rompere) mi sveglia alle SETTE! Mi fa: – Tua nonna sta male, devi portarle il pranzo – Stavo per risponderle: – E chi se ne frega – ma lei continua a raffica: – E stai attenta che mi hanno detto che nel bosco si aggirano di nuovo i lupi, passa per la strada esterna che è più sicura – e blablà e blablà, non la finiva più. Quando fa così è inutile resistere, mi sono alzata e sono uscita con un paniere pesantissimo. Faceva un freddo cane e non mi sono sognata di dar retta alla rompipalle, ho preso il sentiero nel bosco, mi avrebbe fatto risparmiare un’ora di cammino. Mentre camminavo, da dietro un albero chi ti spunta? Il lupo, ovvio! Che fico! Una pelliccia ganza da impazzire e un aspetto così feroce, lo sguardo da “bello e maledetto”, da eroe negativo che mi ha subito conquistato. Mi ha chiesto dove andavo e gli ho risposto che andavo da nonna. Si è interessato, mi ha fatto tante domande sulla sua salute e mi ha spiegato che c’era una strada più breve e me l’ ha indicata ma devo aver capito male perché ho impiegato un sacco di tempo ad arrivare. Quando sono arrivata dalla vegliarda ero stanca morta. Ho bussato e lei mi ha invitata ad entrare. Quando l’ ho vista mi sono impressionata: Era proprio ridotta male, un colorito grigiastro, gli occhi sbarrati, i denti lunghi e gialli! Come potevo sapere che quella non era mia nonna? Mia nonna se l’era divorata il lupo che ora stava per divorare anche me. E infatti l’ ha fatto. Ho capito tutto nella pancia del lupo, quando ho ritrovato mia nonna. Si stava stretti da matti e la vecchia non faceva che lamentarsi! Ho cominciato a tirare calci nella pancia del lupo, volevo uscire, poi ho sentito un botto, poi una luce, il cacciatore, un fico da paura, tipo Harrison Ford, stava aprendo il ventre del lupo e ci ha tirato fuori me e mia nonna, così mi toccherà tornare a trovarla. Ma non poteva farla secca con una coltellata, così io mi evitavo futuri fastidi? La Ma dre Ma io lo ammazzo, giuro lo ammazzo quel maledetto! Una fa tutta quella fatica, prepara la torta per la suocera, aiuta la figlia a prepararsi, le indica la strada, le fa tutte le raccomandazioni… Ovviamente, la piccola idiota fa di testa sua e si va a cacciare nei guai. Infila il sentiero nel bosco, quello che le avevo proibito (si sa, quando proibisci a una ragazzina qualcosa, quella la fa subito), incontra quella brutta bestia del lupo, che si fa raccontare tutto, la mette sulla strada sbagliata, arriva prima, si pappa la vecchia e poi anche l’insopportabile ragazzetta. Insomma, era andato tutto così bene, in un colpo solo mi ero liberata di suocera e figlia, ma non arriva quell’idiota del cacciatore Anselmo che spara al lupo e le salva tutte e due!? Ma io lo ammazzo, lo ammazzo! La moglie del lupo In fin dei conti l’ha fatto per la famiglia, solo per la famiglia. L’inverno è duro, i piccoli hanno sempre fame e hanno bisogno di proteine per crescere sani e forti. E poi l’istinto, santo cielo, se sei un lupo non puoi mica essere un agnello. Al massimo l’agnello te lo puoi mangiare. Se ci riesci, che i pastori fanno buona guardia e hanno buona vista e buona mira. E allora acchiappi quel che trovi, anche le vecchie e le bambine. La piccola se l’è mangiata lui, poverino era stanco morto, la vecchia voleva portarla ai figli, nella tana, ma è arrivato quella bestia del cacciatore e l’ha fulminato con un colpo di lupara. E ora io, povera vedova, come faccio a mantenere questi poveri cuccioli? Che faccio, cerco il cacciatore e i suoi figli e li faccio fuori tutti? Beh, avrei provviste per tutto l’inverno!
Avevo vinto il concorso per l’ insegnamento e aspettavo di essere chiamata in Provveditorato per l’ assegnazione della sede. Sapevamo che i posti disponibili erano tutti fuori Roma. La sede più disagiata era Carpineto, non era raggiungibile con mezzi pubblici e io non guido, significava trovare un alloggio e andarci a vivere, abbandonando casa e famiglia ma anche le altre sedi erano lontane. Io e mio marito considerammo la cosa, io volevo rinunciare ma lui mi dissuase perché uno stipendio in più serviva, perché sapeva quanto amo insegnare e perché sarebbe stata comunque una situazione temporanea, in seguito avrei potuto avvicinarmi. Informammo le figlie delle varie possibilità, compresa Carpineto. Alla FI brillarono gli occhi, con la madre lontana avrebbe realizzato il sogno della sua vita: avere il padre tutto per sé. La FG, che aveva cinque anni, non disse niente, era donna di poche parole. La domenica andammo, come al solito, a Messa. Nel silenzio della Consacrazione, sotto la volta del sacro edificio e sotto gli occhi allibiti e furibondi del prete risuonò questa preghiera:” Dio, ti prego, non mandare mamma a Carpineto!” La FG, che aveva compiuto il misfatto, era facilmente identificabile, infatti, a causa delle sue più che ridotte dimensioni, stazionava sempre al primo banco. All’ uscita molti dei fedeli ci chiesero spiegazioni e noi raccontammo i fatti, poi richiamammo la figlia, invitandola a pregare silenziosamente. Ci rispose:” Ma se prego a voce alta, Dio mi sente meglio!” Per altre tre domeniche, nonostante le nostre proteste e gli sguardi di fuoco del prete, si ripeté la pietosa scena. Ormai tutta l’ assemblea pregava perché io non dovessi andare a Carpineto. Infatti non ci andai, fui assegnata ad una scuola di Arsoli, paesino a 64 Km da Roma ma raggiungibile con mezzi pubblici. Ormai tranquilli, la domenica andammo a Messa sicuri che la FG sarebbe stata finalmente tranquilla. Infatti. Al momento della Consacrazione, celebrante ed assemblea furono sorpresi dalla voce squillante della piccola criminale che disse:” Grazie Dio, che non hai mandato mamma a Carpineto”. All’ uscita della chiesa ricevetti le congratulazioni di molti fedeli. La FG è ancora convinta che, se non sono finita a Carpineto, è stato solo per merito dei suoi colloqui con Dio
La Signorina P. è stata la bravissima maestra della FG per tutti gli anni delle elementari. Una Maestra con la maiuscola, esperta, capace di dare ai ragazzi metodi e strumenti validissimi. Tant’ è vero che la FG, ancora adesso, quando studia usa il metodo che ha imparato dalla Signorina P. La Signorina P., quando incontrò la FG, era già piuttosto matura, non molto alta, con una faccia che risplendeva di intelligenza. A me piaceva molto, il problema è che piaceva molto anche alla FG. Ora voi direte: ma non è un problema, anzi! Invece era un problema, perché la Signorina P. era una persona molto severa e poco espansiva, teneva la disciplina con mano “severa ma giusta”, come diceva la FG, solo che la FG la disciplina la intendeva tutta a modo suo. Ad esempio: all’uscita da scuola, mentre i ragazzini delle altre classi fuoriuscivano dall’ istituto a valanga, urlando, gli alunni della Signorina P. arrivavano in fila al portone, come un plotone dei marines e uscivano dicendo educatamente:” Arrivederci, Signorina Maestra”. Anche la FG lo faceva ma poi faceva un’ altra cosa: tirava per la giacca la Signorina P. che era costretta a chinarsi ( visto che la FG era allora formato bonsai ) e le stampava un bacio sulla guancia, lasciando la Signorina P. alquanto in imbarazzo, credo che mai prima di mia figlia un alunno si fosse permesso una cosa del genere con lei. La prima volta che andai a parlare con la Signorina P. fu quando la FG stava in prima elementare, La Signorina P. mi guardò severamente e mi disse:” Certo, studia ed è molto intelligente ma non sta mai seduta nel banco e canta per tutta la lezione!” Cosa potevo risponderle? Mi scusai e le promisi che avrei rimproverato la FG. Infatti, a casa, provai a richiamare all’ ordine la figlia ma lei mi rispose:” Ma io canto perché a scuola sono felice!” La pregai di esprimere la sua felicità in altro modo ma non ci fu nulla da fare, andò avanti per tutto l’ anno scolastico. In seconda elementare facemmo un passo avanti, infatti, quando andai a parlare con la Signorina P., lei mi disse che almeno stava seduta nel banco “ Ma canta sempre” aggiunse seccamente. Come potevo spiegarle che era perché la FG era felice di stare a scuola, con lei? Non glielo spiegai, le rinnovai le mie scuse. Poi la FG smise di cantare a voce alta ma dentro di sé cantava, eccome! Per cinque anni, andare a parlare con la Signorina P. fu per me un esame terribile, più terribile di quelli dell’ Università. La Signorina P. amava sicuramente mia figlia ma non poteva ammettere che lei si comportasse al di fuori dei suoi schemi educativi.Anche alle Medie la FG si comportò fuori da ogni schema, anche al Liceo, è sempre andata bene a scuola ma ha sempre studiato a modo suo ( cioè al modo della Signorina P. ) e le insegnanti si sono sempre lamentate ma io non mi sentivo a disagio con loro, forse perché ormai c’ ero abituata o forse perché non le stimavo quanto la mitica Signorina P. Ecco perché, quando vengono i genitori dei miei allievi mi sforzo di metterli a loro agio, perché non voglio vedere sui loro volti il disagio che ho vissuto io per cinque, lunghissimi, anni.
E’ incredibile che io possa ancora infuriarmi per delle cose che succedono da sempre. Eppure io non riesco a sopportarle. Prendiamo il caso dello sport. Che io sia una tifosa lo sapete, seguo il calcio, l’ automobilismo, il ciclismo, il nuoto e l’ atletica. Ebbene, in TUTTI questi sport c’ è qualcosa che non va. Sappiamo tutti cosa sta succedendo in Formula uno, il caso di spionaggio ai danni della Ferrari, restato bellamente impunito. Mi chiedo: se la Ferrari, invece che vittima, fosse stata implicata in un caso simile l’ avrebbe passata liscia? Tutti conosciamo la corruzione nel calcio, lo scandalo degli arbitri, il giro di soldi; la Juventus torna in serie A, se, come è quasi sicuro, vincerà un altro scudetto, chi ci darà la certezza che ha vinto in modo pulito? Il ciclismo: oggi è finito il Tour de France, ha vinto uno spagnolo ma le notizie più importanti in questi giorni sono state quelle sui casi di doping, diversi corridori non sono stati ammessi alla corsa o sono stati espulsi durante la gara e anche sul vincitore corrono voci inquietanti. Sospetti di doping ci sono anche nel nuoto e nell’ atletica. Insomma, oggi non ci si può godere una gara perché, invece di occuparci del talento e della bravura degli atleti, dobbiamo chiederci se non si stiano comportando in modo disonesto. Gioire per una vittoria sta diventando impossibile, è una vittoria vera o comprata? Il fatto è che nello sport girano un mucchio di soldi e quando ci sono quelli la faccenda diventa inevitabilmente sospetta. E allora io sono furibonda, come tifosa perché non mi diverto più e come educatrice perché il mondo dello sport sta dando pessimi messaggi ai giovani. I ragazzi amano lo sport, seguono le vicende dei campioni, li imitano o vorrebbero imitarli. In che cosa? Nell’ impegno degli allenamenti, nella fatica della preparazione o nella ricerca di un successo facile e disonesto? Io sarò forse stupida o ingenua ma tutto questo mi fa molto schifo, forse sono soltanto vecchia e legata a una visione superata del mondo e dello sport ma, tra un atleta dopato che sale sul Mortirolo senza fatica e Gino Bartali che saliva stringendo i denti e sudando come una fontana, preferisco Ginettaccio e la sua onestà, lui resta nel ricordo, degli altri resta solo una grande amarezza e molta delusione.
Sono tornata oggi da Parigi dove ero andata per trovare un alloggio per la FG che in settembre partirà per studiare un anno alla Sorbonne, il sogno della sua vita. L’ alloggio l’ ho trovato, una mansarda a Montparnasse. La FG ha trovato anche lavoro come baby sitter, il che non è male: Studiare, lavorare e vivere da sola è una bella esperienza di crescita. Poiché avevamo tempo abbiamo anche girato per la città. Io c’ ero già stata un anno e mezzo fa ma cose da vedere ce n’ erano ancora tante. Il problema è che non lo so se mi piace Parigi. Voi direte: Ma tu sei matta! A chi non piace Parigi? Io ho visto molte cose interessanti ma non riesco a capire se mi piacciono oppure no. Certo, davanti ai quadri di Degas e Van Gogh ho provato emozioni, il museo di Cluny, sul medioevo, è affascinante ma altre cose non mi hanno colpito poi tanto. Poi faceva freddo, a Luglio! E pioveva pure. Una cosa che mi piace sono i biglietti della Metro: sono piccoli, un terzo dei nostri, un bel risparmio di carta. Poi mi sono piaciuti i passages, dove ci sono tanti bei negozi e dove non sai mai in che posto sbucherai all’ uscita. Mi hanno colpito le tombe dei grandi al Pantheon, c’erano quelle di Voltaire, Rousseau, dei Curie, di Hugo, Zola e Dumas ma Santa Croce a Firenze è proprio un’ altra cosa! A Parigi tutto è grande, troppo grande. Le strade non finiscono mai, gli incroci sembrano piazze. E poi i ponti sono piatti e non sembrano ponti ma semplici strade. Il cibo mi è piaciuto, fanno dei panini pazzeschi! E poi il pesce e l’ anatra sono buoni. Il problema più grosso è il caffè, i francesi l’ espresso non lo sanno fare, ti servono una broda lunga che ricorda la sbobba dei fanti della prima guerra mondiale. Solo in un Café abbiamo trovato un espresso che vagamente ricordava il nostro. Poi magari può capitare quello che è successo a noi, una mattina in una strada abbiamo visto un’insegna in italiano, siamo entrate e ci siamo bevute un caffè ristretto a regola d’ arte, fatto da un italiano, naturalmente. Per concludere voglio raccontare due episodi curiosi. A rue de Rivoli ho visto una ragazza che, uscita dal lavoro, si è tolta le scarpe con i tacchi e si è messa le infradito, sembrava molto sollevata dopo. Ad un incrocio, un automobilista stava per passare ad un semaforo rosso proprio mentre sopraggiungeva un vigile in moto che l’ ha bloccato con un gesto imperioso della mano e gli ha urlato:” Renculez!”, quello è tornato indietro buono buono.Insomma, Sarà che in Italia abbiamo tanta arte e tanta bellezza, sarà che sono stanca, sarà che sono un po’ stupida ma io proprio non riesco ad appassionarmi a Parigi.
|